IL MONDO
MULTIFORME DI BAJ
di Angelo Gaccione
Enrico Baj
Prima di
andare a vedere la mostra di Enrico Baj alla Sala delle Cariatidi di Palazzo
Reale qui a Milano, ho voluto andare a rileggermi l’intervista che gli avevo
fatto oltre un ventennio fa, confluita poi nel volume pubblicato nel 2001 dalla
Viennepierre edizioni sotto il titolo: Milano la città e la memoria.
L’ho fatto per almeno due ragioni: perché il rapporto dell’artista Baj con le istituzioni
pubbliche della città in cui era nato il 31 ottobre del 1924 (giusto un secolo
fa), non era stato dei migliori; e perché volevo rinfrescarmi la memoria a
proposito di quella che lui stesso nell’intervista definisce “una grande messa
in scena di dodici metri di larghezza per 4 o 5 di altezza, più cinque di
sporgenza”.
Baj in una foto giovanile
Mi sto riferendo alla gigantesca installazione realizzata nel 1972 dal titolo I funerali dell’anarchico Pinelli, perché è proprio con la creazione di quest’opera di denuncia sull’omicidio del ferroviere e partigiano Giuseppe Pinelli, che il rapporto fra Baj e Milano sarà destinato a divenire conflittuale e insanabile. L’opera avrebbe dovuto essere esposta nella Sala delle Cariatidi di quell’anno, in occasione della mostra che il Comune aveva fissato a Palazzo Reale, ma un evento tragico e inaspettato farà saltare tutto. Ecco come Baj lo racconta nella mia intervista: “L’inaugurazione della mostra doveva aprirsi il 17 maggio del 1972, il giorno stesso in cui alle 9 del mattino una mano misteriosa sparò al commissario Calabresi…”. Per i lettori più giovani ricordiamo che era stato il commissario Luigi Calabresi a convocare in questura Pinelli da cui uscirà cadavere.
“La mostra, preparata con gli auspici e con l’accordo del Comune di Milano, fu censurata e mai più riaperta, per via di quella magnifica coincidenza dell’inaugurazione con la soppressione del commissario Calabresi”. Il Comune “era stato sopraffatto dagli eventi”, continua Baj “la destra indicava in me uno dei principali agenti della sedizione, se non addirittura l’ispiratore di quel gesto delittuoso”. Insomma, niente mostra a Palazzo Reale, e l’installazione non venne più esposta a Milano; in compenso venne, nel corso degli anni, ospitata nelle città principali di mezzo mondo. Non andò meglio con quello che era stato battezzato “Spazio Baj”. Era stato aperto a Palazzo Dugnani in via Manin, “uno dei più bei palazzi di Milano” che contiene anche “un affresco meraviglioso del Tiepolo” mi diceva orgoglioso Baj, nel 1986-1987, con una forte donazione: “Ottocento incisioni, cento multipli, una decina di pezzi unici”, ma ha avuto vita breve, “Ha funzionato un anno o due”. I giudizi negativi che allora esprimeva Baj nei confronti della gestione pubblica dell’arte a Milano, erano molto severi, e ne aveva pienamente ragione.
Questa mostra compresa sotto il titolo “Baj chez Baj” messa in piedi a distanza di oltre mezzo secolo, suona come un vero e proprio atto di risarcimento. Una tardiva riparazione della città, nei confronti di uno dei suoi artisti più geniali ed inventivi. L’installazione del Pinelli arriva nella Sala delle Cariatidi a ridosso dell’anniversario della strage di piazza Fontana e della morte dell’anarchico. E ci arriva con tutta sua forza dolente e drammatica per ammonirci e farci riflettere, come voleva il suo artefice. Ci arriva accompagnata dall’altra gigantesca installazione dal titolo Apocalisse (1978-1983) affollata di mostri divoratori, di occhi, di mani mozzate, di bisce, di arti monchi, di volti umani grotteschi, di teschi, di visceri, di animali, e da un corpus di circa una cinquantina di opere, se non ho contato male. Tra queste spiccano le figure picassiane, i generali che l’artista prende di mira e mette alla berlina appuntando contro le gerarchie militari e il militarismo la sua critica e il suo sarcasmo; gli otto Meccani costruiti negli anni Sessanta con strutture metalliche di colore verde, posizionati su un basamento a specchio che ne amplifica la presenza attraverso il rimando delle immagini nel fondo, dove anche la splendida volta del Salone è andata a conficcarsi creando una suadente rifrazione visiva.
Strutture che evocano corpi umani e che nella loro immobilità ci danno anch’esse l’idea di una pattuglia di militari posizionati sull’attenti. Le dame idrauliche, o donne fiume, costruite con gli assemblaggi tipici di Baj che non rinuncia a nessun oggetto o parte di esso, se appena appena la sua forma si presta a diventare un occhio, un naso, un seno, una testa o una parte anatomica purchessia che dia eleganza, decorazione, slancio, alle figure che si appresta a comporre. Bottoni, cordoni, stoffe con ricami, medaglie, rubinetti, prese, tubi di plastica, bulloni, dadi, pomelli, e quant’altro.
In questa fantasmagoria tutta giocata sull’occhio e sullo stupore, Baj ci dice che l’arte si è emancipata dal classico concetto di bellezza e della anatomia come le abbiamo conosciute; ci si presentano invece come sfida ironica in cui non c’è più posto che per la sorpresa, per come gli oggetti, anche i più comuni e abusati della nostra quotidianità, la genialità visionaria dell’artista, la sua capacità manipolatoria sa comporli su una tavola, una tela, un cartone, un pezzo di compensato, per dar loro nuove forme, nuove figure in grado di sorprenderci.
Due bottoni collocati ai lati di una spirale di cordoncini che diventa una testa, non sono più dei semplici bottoni, sono due pupille, due occhi; così come due pomelli possono diventare un seno, una ferma tende con nappe diventare un collo, la circonferenza di una testa e così via. Allo stesso modo di come i peperoni, le zucchine e ogni tipo di frutta possono comporre una testa vegetale, come ci ha insegnato Arcimboldo.
Uno specchio frantumato, e in questo allestimento ce ne sono due, può diventare una scultura geometrica astratta da ammirare, ma anche il riproduttore del volto di colui che vi si avvicina per guardare e rimirarsi. Lo stesso vale per i “mobili” che non poggiano su una superficie solida, né hanno una struttura tridimensionale; occupano il limitato spazio di una tavola, o di una tela, che nessun pennello ha dipinto, assemblati come sono da stoffe, e dal repertorio affollato di oggetti da cui Baj attinge.
Fedele e consapevole come pochi alle sue concezioni teoriche e alle idee che è andato via via elaborando nel corso degli anni, Baj ha dato corpo a quelle idee e a quelle concezioni incarnandole in manufatti estetici di indubbia originalità, costruendosi una cifra personale fantasiosa, ironica, e insieme riconoscibilissima.
P.S. Con enorme soddisfazione ho
appreso che, finita questa mostra, I funerali di Pinelli saranno
collocati in pianta stabile nel Museo del Novecento al Palazzo dell’Arengario
di Piazza del Duomo. Baj ne sarebbe stato felice, e anche noi.
Scheda tecnica
Titolo: BAJ. BajchezBaj
a cura di: Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj
sede: Palazzo Reale Milano Piazza del Duomo 12
Mostra: Comune di Milano-Cultura Palazzo Reale
Electa
in collaborazione con: Savona, Museo della
Ceramica e Albissola Marina, MuDA Casa Museo Jorn
progettazione dell’allestimento: Umberto Zanetti,
ZDA Zanetti Design Architettura
sponsor tecnico: UniFor
lighting: Viabizzuno
Con il supporto di: Vinavil, COOP
media partner: Lucy sulla cultura, Radio Popolare
catalogo: Electa
aperture speciali
Martedì 24 dicembre 2024 (Vigilia di Natale): 10.00 -
14.30
Mercoledì 25 dicembre 2024 (Natale): 14.30 - 18.30
Giovedì 26 dicembre 2024 (Santo Stefano): 10.00 - 22.30
Martedì 31 dicembre 2024 (San Silvestro): 10.00 - 14.30
Mercoledì 1° gennaio 2025 (Capodanno): 14.30 - 19.30
Lunedì 6 gennaio 2025 (Epifania): 10.00 - 19.30