DOVE DORMI LA
NOTTEdi Anna Lina Molteni
Un
racconto di Resistenza, pesca e socialismo. Dove
dormi la notte (MonteRosa
Edizioni 2024) è un racconto di Resistenza, pesca e socialismo.
Lo enuncia nel sottotitolo l’autore stesso, Michele Marziani, giornalista e
scrittore riminese che da anni vive in alta Valsesia, alle pendici del Monte
Rosa. La precisazione è solo apparentemente un’enunciazione
di argomenti, in realtà anticipa il tono, a tratti volutamente dimesso, da “chiacchierata” tra amici, magari sulla riva di un fiume o di un lago,
nell’inerzia forzata tra il lancio dell’esca e il momento fatale in cui il
pesce abbocca, e scatta la gioiosa frenesia del recupero. A volte penso che la storia, quella grande con la esse maiuscola
andrebbe scoperta e raccontata così, un
boccone alla volta, legando un nome, una vicenda, una cosa che accade
all’altra, rendendola viva, scrive Marziani che non si fa scrupolo di
precisare che sarebbe molto bello:
l’intersecarsi apparentemente casuale di fatti, persone, luoghi, incontri che
raccontano come sono andate più o meno le cose. Ma non bisogna farsi
ingannare da quel più o meno e accusare
di pressapochismo, o peggio di falso storico costruito per rendere il racconto
più affascinante, Marziani conosce gli avvenimenti, li riporta con precisione,
né avrebbe potuto essere altrimenti, vista la guida dalla quale ha scelto di farsi
accompagnare lungo le pagine: Giovanni Battista Stucchi (1899 - 1980), che nel
racconto diventa lo zio Battista, in
una parentela di mente e di spirito se non di sangue, e il suo Tornim a baita*,
corposo libro di memorie che, nella parte dedicata alla ritirata di Russia,
Mario Rigoni Stern definì uno dei migliori racconti di quella tragedia, insieme
a La guerra dei poveri di Nuto
Revelli e I lunghi fucili di
Cristoforo Moscioni Negri.
Non è certo casuale che Tornim a baita riecheggi la domanda, un’invocazione in cerca di una
certezza a cui aggrapparsi, che risuona più e più volte sulla bocca degli
alpini ne Il sergente nella neve: Ghe rivarem a baita, sergent maggiù?E, come annunciato nel sottotitolo, anche Stucchi
è stato un partigiano, un pescatore, un socialista. La sua foto più celebre lo
mostra in prima fila alla sfilata di Milano del 6 maggio 1945 con i comandanti
del Corpo Volontari per la Libertà, tra Mario Argenton e Ferruccio Parri, gli
altri sono Raffaele Cadorna, Luigi Longo ed Enrico Mattei. Quest’ultimo,
compagno di lotta partigiana e amico dello zio
Battista, che lo introdusse ai segreti della pesca al timolo in una
giornata trascorsa sul Chiese, in cui le pause tra un lancio e un recupero si
colmarono di discorsi “seri” di politica e di progetti per un Dopoguerra che si
stava rivelando una lunga serie di disillusioni.Nato nel 1899 a Monza, Stucchi ha attraversato il
secolo alternando la professione di avvocato, alla partecipazione a entrambe le
guerre mondiali. Volontario a diciotto anni nella Prima e capitano degli Alpini
nelle Seconda; ufficiale di collegamento in Svizzera con inglesi e americani,
dai quali però ottiene più promesse che azioni concrete, come lanci di armi,
viveri e medicinali. Stanco di prendere il tè nelle belle ville del lungolago
di Lugano e di chiacchiere inconcludenti, scrive a Ferruccio Parri che vuole
imbracciare il fucile e rientrare in Italia. Con il nome di battaglia di Marco
Federici, diventa comandante unico della Repubblica dell’Ossola, con un mandato
assegnatogli dal CLNAI, che la dice lunga sulle sua capacità organizzative e di
mediazione: “Provvedere con urgenza al
coordinamento militare delle divisioni, brigate e reparti del CVL ivi operanti
e cioè potenziare, attraverso una stretta unione e cooperazione, la lotta di
resistenza e di liberazione delle formazioni partigiane (…)”. In sostanza,
mettere d’accordo fazioni di matrici e visioni differenti. Nel Dopoguerra, dal 1953 al 1958 è eletto alla
Camera tra le fila del Partito socialista, ma è una parentesi breve. Torna alla
professione, anche se continua l’attività politica come consigliere, sempre
all’opposizione, nel Comune di Monza e si dedica alla stesura delle sue
memorie, che saranno pubblicate postume nel 1983.
Ci sono tutti questi avvenimenti nel libro di Marziani, che però,
esaurito il racconto propriamente biografico e storico, si pone in ascolto della
“voce” dello zio Battista, a volte
usando le sue parole precise tratte dal memoriale, a volte presumendole. E tali
parole suggeriscono e aiutano a comprendere l’attualità, a scavare nei comportamenti
degli uomini, in uno cambio continuo di prospettive e di luoghi, che via via si
popolano di altre figure, tante, in qualche maniera a lui legate. Ognuna con il
proprio pezzetto di storia e di vissuto, che alla fine si compone nel grande
arazzo, mai terminato, tessuto dalla storia. Nomi noti come Umberto Terracini,
don Carlo Gnocchi, Giorgio Scerbanenco e Mario Bonfantini. Sconosciuti come Claudio Schivalocchi,
l’attendente che, scrive Stucchi riferendosi agli alpini che lo avevano seguito
nella fuga dall’Alto Adige alla Valtellina nel settembre del ’43: Oggi come oggi quello che vogliono è tornare
a casa. Se li incitassi alla ribellione mi seguirebbe solo Claudio Schivalocchi.
L’alpino, che prima di morire, chiede di avvertire il “suo” capitano rappresenta
la fedeltà assoluta e generosa, nata nella condivisione del pericolo e delle
privazioni, e mai venuta meno. Ugualmente umile e grandiosa. C’è un passo in particolare di Tornarim
a baita che raffigura l’uomo attraverso i cui occhi Marziani vede, e cerca
di comprendere, anche le proprie esperienze ed è la trasformazione, operata
dalle vicende storiche, dell’uomo singolo in uomo collettivo. Aderendo alla
Resistenza, Stucchi ha dismesso i panni di alfiere
dell’antifascismo dietro le persiane che era stato durante il Ventennio e
preso anima e corpo negli ingranaggi
dell’immane lotta che era nel genuino senso della parola lotta di popolo,
scrive: Sembrava che l’individuo un tempo
presente in noi fosse evaso dalla sfera del privato, fattasi insopportabilmente
stretta, e fosse cresciuto a misura dell’uomo collettivo, parte cosciente e
senziente di un tutto inscindibile.Una lezione che travalica il tempo in cui fu concepita. Note* Giovanni Battista StucchiTornim a baita: dalla
campagna di Russia alla repubblica dell’OssolaVangelista - 1983
Nato nel 1899 a Monza, Stucchi ha attraversato il
secolo alternando la professione di avvocato, alla partecipazione a entrambe le
guerre mondiali. Volontario a diciotto anni nella Prima e capitano degli Alpini
nelle Seconda; ufficiale di collegamento in Svizzera con inglesi e americani,
dai quali però ottiene più promesse che azioni concrete, come lanci di armi,
viveri e medicinali. Stanco di prendere il tè nelle belle ville del lungolago
di Lugano e di chiacchiere inconcludenti, scrive a Ferruccio Parri che vuole
imbracciare il fucile e rientrare in Italia. Con il nome di battaglia di Marco
Federici, diventa comandante unico della Repubblica dell’Ossola, con un mandato
assegnatogli dal CLNAI, che la dice lunga sulle sua capacità organizzative e di
mediazione: “Provvedere con urgenza al
coordinamento militare delle divisioni, brigate e reparti del CVL ivi operanti
e cioè potenziare, attraverso una stretta unione e cooperazione, la lotta di
resistenza e di liberazione delle formazioni partigiane (…)”. In sostanza,
mettere d’accordo fazioni di matrici e visioni differenti.
Vangelista - 1983