MUSICA
E LETTERATURA
di Angelo Gaccione
Il
rapporto tra la musica e la parola ha radici antiche. Tuttavia, senza andare
troppo lontano nel tempo, possiamo citare alcuni generi musicali che gli
appassionati ed i cultori continuano a seguire ancora oggi con immutata
fedeltà: il melodramma, la romanza, il Lied. A livello popolare la canzone è
l’esempio più comune. Tutti sappiamo che questo genere tanto in voga, al di là
della qualità di entrambe, si compone di parole e di una partitura musicale. Per
un genere più colto, com’è certamente quello operistico, l’incontro fra la
musica e la parola avviene su un piano più alto e complesso, e al testo rigorosamente
letterario deve corrispondere una orchestrazione altrettanto elaborata. Le
scelte espressive del compositore devono tener conto necessariamente della
forma verbale del librettista, della poetica di cui è intrisa, ma anche della
vocalità di chi interpreta. Perché la storia, la trama, è resa comprensibile a
chi ascolta proprio attraverso l’uso della parola. Al racconto che la parola ne
fa. La musica, da parte sua, si mette al servizio della parola e le dà vigore:
la nobilita, ne sottolinea le sfumature, ne esalta la potenza con altrettanto
potenza, e servendosi di un vasto apparato strumentale è in grado di riprodurre
tonalità e suoni che a nessuna voce umana è dato di eguagliare. Al colore e al
timbro della voce si accompagnano il colore e il timbro degli strumenti. Ma che
succede quando la parola non c’è e il compositore si è cimentato con un testo
letterario? Come facciamo noi ascoltatori a seguirne il racconto? Devo
confessare la mia inanità sia per l’ascolto di Sonata a Kreutzer messa
in musica da Leoš Janáček, e mutuata dal romanzo breve di Leone Tòlstoj di cui
pure conosco la trama; sia per l’ascolto del Quartetto per archi di Bedrĭch
Smetana ispirato alla sua vita (Z mého života), di cui nulla sapevo. In
un brano di una lettera all’amico Debrnov, Smetana scrive: “Ho voluto
rappresentare attraverso i suoni il corso della mia vita”. Ma qui si tratta
solo di musica, di musica pura, di musica assoluta priva di parole. Come
avrei potuto io cogliere dall’agglomerato delle note dei due quartetti le
trame? Il percorso umano delle esistenze dei creatori? Come avrei potuto intuire
dalla sola musica la tragedia della sordità che la sifilide aveva causato a
Smetana, di cui pure avevo letto alcuni minuti prima nelle paginette del
programma di sala? Non potevo che rapportare a me stesso e al mio sentimento,
il variare dei timbri che i violini, la viola e il violoncello del “Quartetto
Guadagnini” esprimevano. Al mio umore del momento, della sera inoltrata e della
pioggia che cadeva sulla città. Ai miei pensieri fugaci e alla penombra che
avvolgeva l’Aula Magna dell’Università degli Studi di Milano, dove il concerto
prendeva la sua forma.