UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 2 dicembre 2024

AIDS: CONVIENE PENSARCI PRIMA
di Vittorio Agnoletto


 
 
Ciao Angelo,
in occasione del 1° dicembre, giornata mondiale ho scritto questo articolo sul suo blog su ilfattoquotiano.it
Ovviamente, come ricordo nel mio pezzo, l’AIDS c’è da quarant’anni e il Covid da cinque. Ma l’articolo vuole evidenziare il diverso impatto che le due patologie hanno avuto nelle differenti parti del mondo e come questa differenza pesi nella sottovalutazione, da parte del mondo occidentale, dell’impatto che ancora oggi ha l’AIDS. 
Un caro saluto,
Vittorio
 
 
Aids batte Covid 42 a 7. Secondo alcuni osservatori il risultato è frutto di una truffa, l’arbitro è stato comprato, il verdetto corretto sarebbe 42 a 15. Comunque sia, vince sempre l’Aids, nel primo caso per ko, nel secondo ai punti. Ma il vincitore resta lui: Mr. Hiv.
Secondo Unaids, il programma delle Nazioni Unite per l’Hiv/Aids, dall’inizio della pandemia negli anni ’80 sono 42,3 milioni le persone decedute per patologie correlate all’Aids. Secondo l’Oms, dall’inizio della pandemia nel 2019 ad oggi, i morti per Covid sono circa 7 milioni; altre stime arrivano a parlare di 15 milioni considerando anche le morti indirettamente attribuibili all’azione del Coronavirus. Se provassimo a fare una veloce inchiesta tra i nostri conoscenti è molto probabile che gran parte di loro, forse la maggioranza, risponderebbe che sono morte più persone per Covid che per Aids. Certamente la distanza temporale ha la sua responsabilità nel deformare i ricordi; ma almeno due generazioni, tra quelle oggi viventi, sono state testimoni dirette delle fasi più calde della pandemia da Hiv. Perché allora c’è questa dispercezione?Addentriamoci nei dati, senza esagerare, senza infilarci in calcoli complicati, con la consapevolezza che le cifre possono non essere precisissime, ma questo limite non potrà comunque modificare in modo significativo il risultato. Così facendo, forse, troveremo qualche risposta.



Dei 42 milioni di morti di Aids, 32 sono stati, fino ad ora, i decessi in Africa, 700.000 negli Usa e circa 48.000 in Italia. Dei 7 milioni di decessi per Covid (in questo caso consideriamo solo i casi ufficialmente segnalati, ma anche con numeri più alti il ragionamento che vi propongo non cambierebbe) 1,2 milioni si sono verificati negli Usa e circa 200mila in Italia. La somma dei morti per Aids in Italia e negli Stati Uniti – due nazioni per le quali sono disponibili cifre ufficiali per ambedue le patologie e che prendo come rappresentanti del mondo occidentale al quale noi apparteniamo – è meno del 2% dei decessi totali; nel caso del Covid tale somma è circa il 20% delle morti a livello globale. Una bella differenza!



È forse banale, ma non fuori luogo, scomodare Walter Benjamin per ricordarci che la Storia è scritta dai vincitori o comunque dai più potenti. Infatti, dal 1996 con l’arrivo di nuovi farmaci, gli inibitori delle proteasi, i decessi per Aids cominciarono a diminuire ed oggi di Aids non si muore (quasi) più. O meglio, questo avviene nel primo mondo, in Europa, Nord America, Giappone, Australia ecc. Sul pianeta invece si continua a morire: 630mila decessi nel 2023, uno ogni minuto, anzi più di uno al minuto. Ma quasi tutti in Africa e comunque nei Paesi del sud globale, dove 9,2 milioni di persone, quasi il 25% – una su quattro – dei 39,9 milioni di persone oggi viventi con l’Hiv, non hanno accesso alle terapie antiretrovirali.



Ma noi non li vediamo, sono fuori dalla nostra vista e fuori dagli interessi di Big Pharma, le grandi multinazionali farmaceutiche. Noi la pandemia da Hiv la abbiamo rimossa. Noi ce ne ricordiamo solo quando casualmente il nostro sguardo – in prossimità del 1° dicembre, giornata mondiale per la lotta contro l’Aids – cade su qualche titolo di giornale; Big Pharma se ne ricorda quando deve condurre qualche trial clinico in quei Paesi, lontano da occhi indiscreti e da fastidiosi controlli sull’eticità della ricerca. Per gli altri 364 giorni all’anno la rimozione è totale. Ma, così facendo, facciamo male a noi stessi! Sono poche le scelte umane così fortemente autolesioniste.



“Non c’è alcun motivo di credere che l’Aids rimarrà l’unico disastro globale della nostra epoca, causato da uno strano microbo saltato fuori da un animale – scriveva David Quammen nel famoso libro Spillover: Animal Infections and the Next Human Pandemic; qualche Cassandra bene informata parla addirittura del Next Big One, il prossimo grande evento, come un fatto inevitabile… Sarà causato da un virus? Si manifesterà nella foresta pluviale o in un mercato cittadino della Cina meridionale?…”. Spillover è stato scritto nel 2012; chi lo ha scritto non era un indovino, ma un acuto osservatore di quanto stava (sta) accadendo nel nostro pianeta.
Otto anni dopo, il 28 gennaio 2020, quando la pandemia da Covid si stava mostrando in tutta la sua gravità, Quammen pubblicava un articolo sul New York TimesWe made the Coronavirus Epidemic. It may have started with a bat in a cave, but human activity set it loose (Noi abbiamo causato l’epidemia di Coronavirus. Potrebbe aver avuto inizio con un pipistrello in una grotta, ma l’attività umana l’ha scatenata). E se la causa non fosse un pipistrello, ma un virus proveniente da un laboratorio, sempre di attività umana si tratterebbe.



L’Aids è stato un campanello d’allarme, anzi, una forte sirena che ha suonato ovunque in tutto il pianeta. Abbiamo preferito non ascoltare, voltarci dall’altra parte, una volta messi in salvo noi stessi. È arrivato il Covid e abbiamo pagato un prezzo molto alto, ma anche questa volta sembra più facile rimuovere i ricordi, non far tesoro della lezione e proseguire nella medesima direzione. Ma scriveva Qammen nell’articolo sul New York Times: “Invadiamo foreste tropicali e altri paesaggi tropicali…Tagliamo gli alberi; uccidiamo gli animali o li mettiamo in gabbia e li mandiamo ai mercati. Distruggiamo gli ecosistemi e liberiamo i virus dai loro ospiti naturali. Quando ciò accade, hanno bisogno di un nuovo ospite. Spesso siamo noi”.
Hanno bisogno di un nuovo ospite, spesso siamo noi. Forse conviene pensarci prima.

 

 

domenica 1 dicembre 2024

DICHIARAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL
di Pierpaolo Calonaci



 
 
Il seguente documento, di cui fornisco il link https://www.amnesty.it/manifestazione-del-5-ottobre-a-roma-gravi-violazioni-dei-diritti-umani/
consta di quattordici pagine dove Amnesty International descrive puntualmente le dinamiche e i fatti circa il comportamento del Governo e degli organi di polizia che di fatto hanno cercato, in palese violazione se non repressione dei diritti nel titolo richiamati, di non fare affluire le persone alla manifestazione in favore del popolo palestinese. En passant, mentre l’opinione pubblica si divide a causa del linguaggio capzioso di chi nega il termine genocidio, vorrei semplicemente ricordare che i palestinesi sono ogni minuto massacrati. Se non giungiamo presto ad una mobilitazione forte - anche espressa con il boicottaggio dei prodotti importati da Israele quanto con la cessazione della vendita di armi, come del riconoscimento dello Stato di Palestina (che ora è allo stato ibrido per l’ignavia politica dell’Occidente), organizzando scioperi mirati e continuativi (in quello snodo altamente strategico che è il porto, ad esempio) - in favore della loro causa, credo che il termine umanità dovremmo cancellarlo dal nostro vocabolario. L’enorme importanza di leggere cosa questa denuncia contenga si spiega da sola.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

DESTRA E POTERE
di Angelo Gaccione


 
 
Con la presa del potere delle destre in Italia, si è tornati a suonare la grancassa sull’egemonia culturale e sulla “rinascita” di una cultura di destra. Francamente non mi ero mai accorto che la cultura di destra fosse morta, anzi: visto che il conformismo intellettuale e la discriminazione hanno sempre rappresentato la sua cifra. Quando diversi anni fa alcuni intellettuali di sinistra scrissero su questo giornale che parlare di cultura, riferendosi alla destra, era una aberrazione, mi permisi di ricordare un acuto scritto sul “Corriere della Sera” del poeta Giovanni Raboni uscito un po’ di anni prima. Raboni si soffermava su alcune figure eminenti della letteratura e del pensiero, io lo feci scrivendo un lungo articolo che pubblicai sul numero di “Odissea” di novembre-dicembre del 2010, all’epoca edizione cartacea. Per quanto mi riguarda ho sempre giudicato movimenti, ideologie, partiti e governi, usando un binomio infallibile. Controllare come agiscono nei riguardi della guerra, e quali interessi tutelano quando amministrano e governano. Un binomio infallibile per distinguere una pratica di destra da una di sinistra, e per sapere se si tratta di spazzatura reazionaria o di decenza progressista. Se applichiamo questo criterio, ci rendiamo immediatamente conto che l’etichetta “sinistra”, si deve usare con molta cautela e parsimonia. Lo stesso vale per la definizione di “democratici” di cui si fa disinvolto uso. Ve la sentireste di definire democratici veri e propri guerrafondai come Obama, Biden, Macron, Starmer e gente simile? Purtroppo la cultura di destra è sempre stata egemone e maggioritaria e lo è in maniera più ampia ai giorni nostri. Accomuna i guerrafondai di ogni specie che non si chiedono chi le fomenta le guerre e per quali interessi. Ma si avvale soprattutto di un arco parlamentare composito, ai cui vertici dirigenziali siedono figure che, per come vivono e per come agiscono, non hanno nulla a che spartire con gli interessi dei ceti popolari e con gli oppressi. Sul piano dei fatti concreti le differenze fra la destra e questo genere di sinistra, sono diventate marginali. È non è un caso che il partito maggioritario in Italia sia quello degli astensionisti: privi di difesa e di rappresentanza. Ecco qui sotto quel lontano scritto.  
 
DESTRA E CULTURA
di Angelo Gaccione



Ritorna la litania sulla cultura di destra. A cicli. Chi solleva periodicamente la querelle, forse è convinto che essa (la cultura) sia unica, monolitica, indivisibile. Eppure il dibattito è vecchio di qualche secolo; dai tempi di Hegel con la distinzione in campo filosofico fra destra e sinistra hegeliana; con gli schieramenti politici della destra e della sinistra storica così come si sono configurati nel corso dell’Ottocento italiano, o in Francia ai tempi dell’Enciclopedia e del conflitto che darà vita alla Rivoluzione francese. Per stare stretti. Dunque dovrebbe essere così scontatamente ovvio che perderci altro tempo dovrebbe suonare pernicioso. Chi riapre la questione vuole in realtà rivendicare alla destra un ruolo non subalterno nei confronti della cultura come merce di un’unica bottega; come appannaggio non esclusivo della sinistra, dell’uomo di sinistra, cui la cultura sarebbe quasi consustanziale. Più precisamente all’intellettuale di sinistra che nel corso di alcuni periodi storici ha imposto il suo dibattito, ha prodotto oggetti culturali, ha tenuto un’egemonia di luoghi, ambiti, idee, ha occupato spazi e tribune di discussione, ha esteso numericamente le sue milizie, ha annoverato figure di prestigio.  

                             

Heidegger
                                  
La destra, soprattutto oggi qui da noi con il berlusconismo trasformista e vincente, (quanti di questi intellettuali che erano andati a rimorchio dei partiti di sinistra ricevendone prebende e privilegi, costruendosi fortunate e fortunose carriere, hanno abbandonato la nave traballante della sinistra che stava colando a picco per adagiarsi comodamente sulla nave col vento in poppa del vincitore? Di questi trasformisti, - esiste anche un trasformismo intellettuale e culturale, un voltagabbanismo culturale che investe loschi individui il cui motto è: stare sempre a galla, come gli stronzi - ma si sa, gli stronzi galleggiano sempre in acque fetide) vuole farsi un pedigree e presentarsi come a sua volta pensante, sofisticata, raffinata, intellettuale, colma di idee e di proposte, di una sua concezione del mondo il cui modello possa abbracciare la società nel suo insieme, il vivere comune. 


Céline
                          
Il mio compianto amico, lo scrittore Giuseppe Bonura, su queste pagine aveva ironizzato sul fatto che la destra potesse avere a che spartire con la cultura e come fra destra e cultura ci fosse un abisso incolmabile, una barriera invalicabile. Un muro. Un’altra cara amica, la scrittrice Gina Lagorio, aveva fatto altrettanto, seppure per brandelli di riflessioni; quasi a voler significare che il rapporto fosse così assurdo e inconsistente da non spendervi tempo più del dovuto. Per lei, ma credo per la gran parte degli intellettuali di sinistra, questa visione restava predominante, pacifica, assodata. A me però quelle idee non convincevano. La questione m’era sempre parsa mal posta, tanto più che essendo il mio pensiero formatosi nella tradizione libertaria, non è che la cultura di sinistra (intesa come cultura marxista nelle sue molteplici varianti) e dei suoi intellettuali, e ancor più e in maggior misura il loro comportamento di vita personale-individuale, il loro agire politico separato dalla morale, mi entusiasmasse più di tanto o mi facesse impazzire. Proprio per niente. Non mi piacevano come si comportavano nelle università, non mi piacevano come agivano politicamente, non mi piaceva il loro legame mortifero e mortale con quel fecciume che erano i Paesi dell’Est con il loro comunismo da caserma, non mi piaceva il loro dogmatismo, il fideismo verso la storia che mi sembrava simile a quello delle chiese più reazionarie, detestavo certa sicumera, l’empietà verso i sentimenti, la desacralizzazione della natura che come giovane appassionato di versi annaspavo sulle pagine dei poeti, e tanto, tanto, tanto altro ancora. I convincimenti di quei dotti amici, mi facevano tornare alla mente un lontano e denso intervento del critico e poeta Giovanni Raboni sul Corriere della Sera, che disquisiva appunto sulla questione, assegnando alla destra un’alta cultura di appartenenza, citando nomi del calibro di Ezra Pound, Céline, Heidegger, Smith, Ernst Jünger e così via. E come dargli torto?             

                              
La Rochelle
                                                                                

Bonura che non era, com’è noto, né un teorico né un filosofo, ma uno scrittore e un critico, è stato perentorio. Recensendo il libro di un autore decisamente di destra, il francese Pierre Drieu La Rochelle, La commedia di Charleroi, su Avvenire*, esordisce così: “Un intellettuale di destra è un fenomeno contro natura”, e ne spiega le ragioni. Egli è profondamente convinto che “un vero intellettuale non può essere che un critico antagonista dello status quo” sempre in contrasto con il potere dominante e la sua ideologia. Dunque non ne può glorificare le gesta né piegarsi al suo opportunismo. Perché come sostiene Julien Benda, egli deve farsi paladino dei valori universali e dei diritti dell’individuo, in opposizione a quelli disumani della massa e degli stati. Occupandosi poi sullo stesso quotidiano di Louis-Ferdinand Céline, l’autore di capolavori come Viaggio al termine della notte e Morte a credito, non può fare a meno di rilevare l’ammasso di aberrazioni contenute nei suoi libelli “politici”, visceralmente razzisti e antisemiti. Si chiede stupefatto come “l’energumeno antisemita” (così lo chiama Bonura) sia potuto diventare un grande scrittore, e annota: “In arte, genio e criminalità vanno spesso d’accordo. Così vuole la natura. L’uomo Céline resta un mistero”. Da parte sua Sossio Giametta riecheggia Bonura, e parlando della compiacenza del filosofo tedesco Martin Heidegger nei confronti del nazismo, così si esprime nel volume di elzeviri filosofici dal titolo Il volo di Icaro: “D’altronde nel filosofo, come in tutti gli uomini, mente e carattere sono due cose distinte e separate. S’intrecciano, ma rimangono intimamente autonome. Un grande filosofo può essere un uomo meschino”. Politicamente e umanamente un altro mistero come Céline. 


Junger

Per parte mia sono stato sempre convinto, e lo rimango, che la stragrande maggioranza degli intellettuali (di ogni campo del sapere e della creatività) sia fondamentalmente di destra. Nelle idee e nell’agire pratico. Nel conformismo e nelle credenze. Se così non fosse, il consorzio umano avrebbe messo al bando già da tempo molte delle mostruosità che continua a trascinarsi dietro, come se i secoli fossero passati invano. In verità l’uomo nella sua essenza resta mentalmente pigro e gregario, ed in ogni tempo solo una esigua minoranza intellettualmente “pericolosa”, si distacca dal senso comune della massa e propone idee “pericolose”. Non c’è bisogno di andare lontano con gli esempi, basta guardarsi intorno per rendersi conto di quanta gente di “pensiero” e delle professioni intellettuali, ruota intorno a figure del potere insignificanti e mediocri, prive di uno straccio di idea di qualche interesse. Una caterva. Fra i ridicoli vassalli che hanno giurato nelle mani del signore feudale Berlusconi, pubblicamente e senza arrossire, sul ridicolo programma elettorale del Popolo delle Libertà, c’era gente che ha frequentato le migliori Università. 


Schmitt

Durante la guerra nel Golfo Persico scrittori e letterati di primo piano, che pure avevano scritto libri molto umani e in difesa della vita, sposarono il senso comune; con motivazioni di sconcertante ebetismo, si fecero tifosi dei bombardamenti senza tentare un minimo di analisi, fosse pure di grado zero. A pochi metri dalle loro fornitissime biblioteche, per esempio nei mercati rionali o sui tram, si potevano sentire dialoghi in cui la guerra più banalmente veniva definita un crimine. Ora io credo che se si vuole affrontare seriamente una volta per tutte la questione della cultura di destra, alta o bassa che sia, (che non si può liquidare con un atteggiamento superficialmente snobistico) occorra procedere con una serie di stringenti interrogativi che la mettano con le spalle al muro: qual è la concezione del mondo della cultura di destra e dei suoi cantori? Quali le idee e l’agire, quali i valori e le impalcature su cui poggia? Posta in termini così concreti il dibattito esce dalla finzione e noi possiamo vederne tutta la miseria. 


Evola

Sì, perché essa si sustanzia in un impasto di idee e progetti criminali da un lato; di disconoscimento dei diritti, di legittimazione della disuguaglianza, di disprezzo per ogni visione solidaristica fra gli uomini, di affermazione del dominio e della conquista, di esaltazione del male e dell’indifferenza verso la pietas, di celebrazione della guerra, della pena capitale, della nazione e dello stato nelle sue forme più esaltate, totalitarie e violente dall’altro. Le gerarchie, l’ubbidienza al capo assoluto, l’odio per le diversità e le minoranze (religiose, sessuali, razziali), il disprezzo per i valori democratici, l’infatuazione per la forza, il mito del sangue, del suolo, della propria elitaria, aristocratica, egoistica separatezza. E quel che è peggio: l’uomo come strumento, come mezzo; adoperato per un fine che si presenta mascheratamente metafisico, fintamente teologico, ma che nella realtà è di puro servaggio e sfruttamento. La cultura di destra difende i valori della tradizione, quelli più reazionari, e della religione prende il peggio. Ne respinge infatti l’afflato di carità, di perdono, di solidarietà, di amore per la pace, di nonviolenza, di rispetto di tutte le creature, di sacralità degli elementi, di gratuità del donare, del soccorso dei derelitti come insegna il sacrificio della Croce o il prendersi cura del buon samaritano. 


Pound

La cultura di destra è un fenomeno contro natura perché si presenta apertamente come sua nemica: saccheggiatrice, mercificatoria. Ma è anche un’aberrazione, come dimostrano i pamphlet politici di Céline o Ezra Pound, infarciti di spazzatura della peggiore specie. Per produrre qualcosa di grande questi autori hanno dovuto entrare in collisione con la canagliesca furfanteria del potere, bellico o finanziario poco importa. I Canti pisani o Viaggio al termine della notte ne riscattano l’aberrazione e l’abiezione morale, perché questi sono libri apertamente anarchici, contusivi e contro la destra.
 

Ora nel volume: L’industria del complimento (a cura di Alessandro Zaccuri) Ed. Medusa, pagg. 233 e segg. 

[“Odissea” edizione cartacea, anno VIII n. 2 novembre-dicembre 2010]          

A BOLOGNA CONTRO LA GUERRA




A TRIESTE SULLA SANITÀ



IL RACCONTO
di Claudio Zanini


 
Il libro scarlatto
 
Un affresco pompeiano mostra una donna che, seduta su uno scranno, tiene tra le mani una sorta di volume aperto da cui escono alcune pagine, altre giacciono sparse sul pavimento. I fogli sono scarlatti. Di fronte a lei un uomo in piedi sembra ritrarsi, mentre porta al viso le mani aperte come fosse spaventato da ciò che vede. Lei è Penelope, lui Antinoo, il capo dei Proci. I fogli si prolungano sul pavimento in una sorta di lungo arazzo raccolto in pieghe sovrapposte l’una sull’altra come pagine d’un libro senza fine. Orifiamma che lascia intravedere lettere di scrittura arcana, fili colorati, nodi purpurei, grafia aggrovigliata in matasse fiammanti. Il libro si srotola, appena sfuggito dalle dita di Penelope e, onda scarlatta, scivola a terra. Lei lo raccoglie pazientemente e lo riavvolge, attenta che di nuovo non le travalichi dal grembo a turbare la vulnerabile animuccia di Antinoo. Ma, ci si chiederà, cos’è questo tessuto, in cui i colori giallo e arancio ma, soprattutto, il rosso scarlatto sono dominanti, e che incessantemente lei mescola, intesse e annoda? Che cos’è, dunque? E perché Antinoo trasale? Non è la tela fatta e disfatta da Penelope per ingannare il suo scoramento, il tempo rapace e l’avida protervia dei Proci. 



No! Non la smisurata lista delle spese per i fastosi banchetti che ogni sera vengono apparecchiati; e neppure è l’uggioso lavoro di cucito, rattoppo o rammendo di strappi nelle lussuose tovaglie o mascheramento di quei buchi nella biancheria di Antinoo e suoi truci compagni. No, non è questo tipo d’incombenza, tra l’altro compito di minute serventi, invisibili ma provette; bensì è faccenda ben più delicata e d’ardua decifrazione poiché segreta. Il manufatto di carta e stoffa che tra le dita della donna si svolge e prolunga il proprio ordito in lunghe pagine, pezze e giunture contenute da cimose sfrangiate, reca - entro la trama -, un lessico fatto di nodi e asole e lacci e spaghi; e consegna, in forma di bizzarri disegni, strane cifre, sillabe e parole, impetuosa narrazione. Di Penelope, il libro scarlatto è la voce. 



Da piccola e per lungo tempo, Penelope viene posta dai genitori sull’altalena del giardino per reprimere e ordinarle la vivacità e l’intelligenza vivida, entrambe fuori dal comune, entrambe foriere di dinieghi e ribellioni. Sull’altalena dell’infanzia, mentre suoni, voci, colori, la avvolgono con stupore e turbamento, passa dalla gioia che la illumina quando raggiunge l’apice dell’ascesa, nell’immensità del cielo prossima alle stelle; alla subitanea ansia di precipitare, con il cuore in gola, nell’abisso che le si spalanca sotto i piedi. Tuttavia, impara presto che la discesa vertiginosa altro non è che straordinario accumulo d’energia per risalire in alto, per spingersi più in alto ancora, sempre più in alto. L’esposizione prolungata alle brezze fredde e mutevoli, agli sbalzi repentini di temperatura, all’esercizio vocale messo in pratica imitando i gorgheggi degli uccelli, il frinire degli insetti e versi degli animaletti del giardino; ma, soprattutto per comunicare con loro; ebbene, questa multiforme e diuturna pratica le modifica l’apparato fonatorio trasformandolo in una voce oltremodo stravagante e originale. Magnifico, sebbene eccentrico e inusitato, strumento musicale. 



Penelope, bambina tenace e di fervido intelletto, tuttavia, impara a parlare correttamente la lingua materna e con singolare proprietà; nondimeno, quando è sola, e qualcosa la turba o le balza repentina nel pensiero, le accade d’ansimare, d’emettere rantoli rauchi e sibilanti gemiti, suoni desueti e primitivi, che annota su foglietti sparsi color amaranto. Oppure sono fonemi allo stato puro, dal rintocco cristallino; disinvoltamente le sue labbra modulano radici verbali prive di desinenze ma prolungate fino ad assottigliarsi in un sospiro fievole. Viceversa, possono esclamare desinenze perentorie accompagnate da una risatina sottile, canzonatoria. Una voce, dunque, che parla a se stessa, e di cui lei prende nota e appunti in un taccuino vermiglio. Voce che si sente riecheggiare dentro, evocando assopiti ricordi e improvvise emozioni; suono che non riesce sempre a uscire nitido - forse neanche vorrebbe farlo - incompreso e represso dall’altrui presenza esorbitante, come spesso accade a ogni donna. È l’enigmatica e mutevole vocalità d’un mondo altrove che attraverso la sua bocca s’esprime. Multiforme e selvaggio idioma, sviluppatosi in anni d’esercizio, che pare inconsapevolmente riecheggiare le infinite sonorità della natura e diventa, sulle pagine d’un quaderno purpureo, pura poesia. 



Quella voce che qui, ammutolita dal fastidio e dall’incomprensione dei pretendenti, non si spegne né annichilisce ma, in altra, forma riprende vita. Il suono delle parole s’assottiglia sulle labbra mormoranti e, mentre si ritrae nel silenzio, puro bisbiglio nella mente, prende forma visibile dalle dita che manovrano docili matite e penne e stili e aghi e filo. Sfumatura d’agili pennellate. Diventa fluido discorso figurale che, nell’accumularsi degli in-folio si fa ininterrotto segno e arabesco; nodi ora inestricabili e aggrovigliati, ora sciolti in fili morbidi, quasi serico crine serpeggiante. Così, quella lingua ostica, densa di monosillabi anglosassoni, rauchi vocalizzi, versi brevi e secchi; linguaggio altresì ammorbidito in dolci versi e modulato in canore vocali; quella lingua d’altrove di Penelope si trasforma, dunque, in un selvaggio arazzo fauve, una mappa fantastica punteggiata da una bizzarria di lemmi, parole, vocali e consonanti; popolata da bestie stupefacenti, apparizioni di scimmie dal vello amaranto, affiorare di gatti dalla grande testa zafferano, guizzare di serpi dai denti aguzzi e lingua bifida. Poi, teste umane insieme a creature dai grandi globi oculari e occhi ossidiana. 



Una casa felice e un figlio forte e amorevole, accanto a buffi scheletri con ginocchia dalle rotule purpuree e le occhiaie vuote stupefatte. Mescolate a queste favolose apparizioni sono presenti anche quelle cose oscene e perverse che si devono tacere. Quelle cose che turbano e suscitano allo stesso tempo gioia e l’orrore di segreti spasimi; ma che, soltanto consapevolmente dette - e qui presenti in parola, forma e colore - liberano la loro straordinaria energia positiva mentre, nell’ombra dell’inaudito, del sottosuolo impenetrabile, sprigionerebbero quel potere letale e distruttivo che annichilisce. Quelle cose che Antinoo ha creduto di vedere quando il libro scarlatto, sfuggitole dal grembo, srotolandosi sul pavimento, lo turbarono tanto che, subitanea, a lui balenò in mente l’immagine del sangue mestruale. Si, sangue e misteriosa sofferenza, ma anche sostanza di quella passione creatrice che, stolto e cieco, lui non ebbe, né volle il coraggio di riconoscere. Indizi d’un commovente poema d’amore, quell’amore che dal cuore di Penelope, è stato prematuramente estirpato da una crudele partenza ma che ha lasciato fiammanti lacerti e inestinguibile speranza d’un ritorno.      
Questo, lei scrive, ricama, taglia, trapunta, colora, piega, spiana, avvolge. La trasfigurazione visiva d’un mondo immaginale. Vivido documento e palinsesto segreto della sua vicenda creaturale. Libro scarlatto. 

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