UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

martedì 31 dicembre 2024

ARMI E INDUSTRIA
di Franco Astengo


All’interno di un quadro complessivo di costante calo di produttività nel settore manifatturiero verifichiamo l'evidenziarsi di una torsione rivolta all'incremento dell'industria bellica e, nello specifico, di cessione di aziende verso proprietà di Paesi impegnati - direttamente o indirettamente - negli scenari di guerra in atto in situazioni nevralgiche dello scacchiere internazionale (Ucraina, Medio Oriente, Africa): è il caso della cessione di Piaggio Aerospace ai turchi , legati direttamente alla geopolitica del governo Erdogan, e costruttori principalmente di mezzi aerei (droni, aerei senza pilota) destinati a svolgere compiti offensivi.

La Liguria con Villanova d'Albenga, Genova, La Spezia si trova in primo piano rispetto a questo tipo di situazione che potrebbe presentare anche rischi proprio sul piano più specificatamente militare.

È il caso di riflettere un attimo sulla situazione dell’industria militare in Italia. Leonardo, la maggiore impresa militare italiana con oltre il 70% del settore, è ormai una multinazionale integrata alle compagnie Usa, dedita all’export (75% dei ricavi), al centro di complessi reticoli azionari. Fa affari d’oro, ma detiene una quota relativamente bassa dell’occupazione manifatturiera italiana. La prima cosa che balza agli occhi è, infatti, il grado di concentrazione del fatturato dell’industria militare in poche aziende e la posizione dominante di Leonardo (ex Finmeccanica) in campo aeronautico, elettronico e degli armamenti terrestri, e di Fincantieri nella costruzione navale. Si tratta di due grandi imprese multinazionali (13° e 46° posto nella classifica SIPRI delle prime 100 aziende per fatturato militare) in cui lo Stato ha mantenuto una quota di controllo. I loro ricavi nelle produzioni militari (2022) raggiungono i 15,3 miliardi di dollari Usa, pari al 12% del giro d’affari del settore in Europa e a circa il 2,6% di quello mondiale. In Italia, concentrano insieme intorno all’80% del fatturato dell’industria militare. Una parte importante di questo fatturato è realizzato all’estero: per Leonardo in Usa, Regno Unito, Polonia e Israele, per Fincantieri in Usa.

Leonardo a livello globale ha 51.391 occupati (2022) distribuiti il 63% in Italia, il 15% nel Regno Unito, il 14% negli Usa, lo 0,5% in Israele e il 2,5% nel resto del mondo. Il gruppo è attualmente organizzato su otto aree di attività: elettronica, elicotteri, aerei, cyber & security, spazio, droni, aero-strutture, automazione. Ha una posizione di forza internazionale nel comparto elicotteri e nell’elettronica per la difesa; mentre in campo aeronautico opera principalmente come sub-fornitore di primo livello per i grandi produttori di aerei militari degli Stati Uniti. Il gruppo è ancora attivo nella produzione di armamenti navali e terrestri (ex-Oto Melara e consorzio con Iveco DV) e nel comparto navale subacqueo (ex-Wass). 


Fincantieri ha mantenuto la continuità con la storica azienda a partecipazione statale con il controllo dei maggiori cantieri navali del Paese. È la maggiore impresa occidentale di costruzioni navali, ha una forte attività nelle navi da crociera, ma tra il 2022 e il 2023 ha aumentato la quota di produzioni di navi da guerra dal 20 al 36% del fatturato totale, con 2.820 milioni di dollari di fatturato militare nel 2022, arrivando al 46° posto nella classifica SIPRI delle 100 maggiori imprese militari. 

Un settore in espansione internazionale è quello delle attività subacquee e, in questo ambito, Fincantieri è parte con Leonardo del polo nazionale guidato dalla Marina Militare Italiana a Spezia. Il settore della subacquea non significa solo sommergibili, ma anche esplorazione dei fondali e monitoraggio-sicurezza dei cavidotti e delle infrastrutture energetiche e di telecomunicazione sottomarine. Questo spiega l’acquisizione della Remazel Engineering, un’azienda ingegneristica con esperienza nei gasdotti e oleodotti sottomarini. Le scelte di politica industriale dei diversi governi e le strategie produttive di Leonardo e degli altri protagonisti del settore hanno portato a più alte quotazioni di Borsa e a maggiori dividendi per gli azionisti, ma fanno delle produzioni militari un “cattivo affare” per l’economia e l’occupazione in Italia. In Italia come in Europa, un allargamento del “complesso militare industriale” non fa che alimentare il riarmo e i rischi di estensione dei conflitti, mentre il governo di destra oscilla privo di un qualsiasi riferimento di politica estera che non sia quello di un richiamato antistorico ad una sorta di "interventismo di ritorno" contrabbandato come interesse nazionale.

In questo senso il passaggio di Piaggio Aerospace ai turchi di Baykar non fa che alimentare legittime preoccupazioni: vocazione bellica, finanziarizzazione, interessi azioni intrecciati a quelli geopolitici potrebbero rappresentare un ulteriore punto di sviluppo di crisi industriale nella rinuncia a una capacità di riconversione e questo avviene mentre ulteriori produzioni strategiche stanno abbandonando il Paese come nel caso di Portovesme, dove si producono principalmente zinco e piombo. Su tutto questo fin qui descritto continua a stagliarsi l’ombra fosca del nucleare.

 

MANIFESTI CONTRO LA GUERRA IN MOSTRA


 
Bologna. Come far conoscere coloro che, opponendosi con molte difficoltà alla soluzione di conflitti condotti con l’odio, la violenza e la guerra, hanno operato e continuano ad operare per la diffusione di metodi e strumenti nonviolenti per risolvere, ma soprattutto prevenire, le guerre tra i popoli?
Il Centro di Documentazione del Manifesto Pacifista Internazionale (CDMPI) per aiutare nella risposta a questa domanda presenta in questa mostra una selezione di manifesti internazionali che ‘parlano’ soprattutto di: organismi internazionali, azioni nonviolente, iniziative di massa (manifestazioni, marce…), ecologia e ambiente, antirazzismo, diritti umani. Manifesti che permettono, tra l’altro, di rendersi conto di quante associazioni, gruppi, movimenti e istituzioni, a livello locale, nazionale e internazionale, sono state coinvolte in queste iniziative di pace e nonviolenza. I manifesti selezionati provengono da diverse nazioni europee ed extraeuropee. All’interno della mostra è presente, tra l’altro, un’esposizione di manifesti pacifisti realizzati a Bologna a dimostrazione dell’impegno della città sulle tematiche della pace e della nonviolenza.  


 
Si ringrazia:
il gruppo consiliare di Europa Verde per l’idea della mostra e per l’aiuto fornito nella sua organizzazione, il Comune di Bologna per la concessione degli spazi per la realizzazione dell’evento.

 

 

lunedì 30 dicembre 2024

È FINITA LA FESTA?
di Franz Brunacci*


 
Prove generali di regime autoritario.
 
Egr. Direttore di “Odissea”.
Il Comitato Provinciale per l’ordine e la per la sicurezza pubblica presieduto dal Prefetto di Milano, in occasione delle festività di fine anno ha emesso un’ordinanza ai sensi dell’art. 2 del T.U.L.P.S che dispone il divieto di stazionamento ai soggetti che assumono atteggiamenti aggressivi, minacciosi o molesti, e risultino destinatari di segnalazioni dell’Autorità giudiziaria per reati in materia di stupefacenti, contro la persona, contro il patrimonio per i delitti di furto con strappo, rapina, danneggiamento, invasione di terreni ed edifici, detenzione abusiva di armi od oggetti atti ad offendere e che costituiscono un concreto pericolo per la sicurezza pubblica.
In particolare vengono individuate le cd “zone Rosse” in cui si applicherà il predetto divieto dal 30 dicembre 2024 al 31 marzo 2025.
Da cittadino e da giurista ho sempre avuto la Costituzione come riferimento, ho sempre creduto che la libertà delle persone e di circolazione siano un diritto inviolabile per tutti. Chi commette un reato viene giudicato ed eventualmente condannato da un Tribunale imparziale che osserva la legge.
Sin dai primi anni di giurisprudenza mi hanno sempre insegnato che la pena deve rieducare e favorire il cd reinserimento sociale. Ora, interpretando tale misura, un soggetto con dei precedenti, ad esempio per un furto in un supermercato o per un reato di una occupazione per necessità diun’abitazione o di una scritta sui muri o semplicemente per schiamazzi, e che ha scontato la sua pena, non può stazionare nelle cd zone rosse (Duomo, Navigli, stazione Garibaldi) e può essere immediatamente allontanato dalle forze dell’ordine.
Nell’ordinanza prefettizia viene evidenziato come la stessa consente l’immediato allontanamento di soggetti pericolosi e gravati da precedenti penali costituendo un ulteriore strumento di prevenzione e repressione a disposizione delle forze di Polizia per garantire la libera e sicura fruibilità delle zone indicate.


Zone Rosse a Milano

Le domande che mi sorgono spontanee sono:
- come è stato individuato l’arco temporale dell’ordinanza (da capodanno sino al 30 marzo 2025, e poi ci saranno deroghe?)
- Con quali elementi sono state individuate le cd zone rosse? si parla genericamente di luoghi turistici e di movida, così un soggetto molesto e con precedenti in Duomo o sui Navigli viene allontanato ma lo stesso soggetto in piazza 5 giornate no?
- I presupposti dell’immediato allontanamento su quali basi sono stati scelti?
Se hai occupato una casa o un terreno e sei stato condannato vieni allontanato mentre se hai fatto una truffa aggravata ai danni della collettività o una bancarotta fraudolenta lasciando magari centinaia di operai a casa no?
Non si reprime legittimamente chi commette un reato in flagranza, ma di fatto si punisce chi ha commesso un reato e ha scontato la sua pena, si punisce chi non è in regola con i documenti di soggiorno che ancora una volta viene emarginato ed allontanato, si puniscono i giovani che si radunano in piazza, magari dei giovani che sono stati condannati per imbrattamenti o occupazioni durante una manifestazione o un’occupazione scolastica. A mio modesto parere, egregio direttore, si rischia di punire solamente l’emarginazione ed il dissenso. È questa la sicurezza che noi milanesi vogliamo? Siamo sicuri che nel nome di questa sicurezza non stiamo perdendo qualcosa di più importante?
Lascio a Lei esimio direttore ed ai suoi lettori rispondere a queste domande.
Buone feste a tutti e viva la Libertà.
 
[*Avvocato, patrocinante in Cassazione]

 

GEORGIA. LA MINACCIA DI SALOMÉ
di Jan Proud


Salomé la golpista

Ieri si è inaugurata a Tbilisi la nuova presidenza della Georgia. Vedremo dunque come si consumerà la farsa che ha per protagonista Salomé Zourabichvili, la presidente in scadenza, che non se ne vuole andare. Intanto Jan Proud racconta la storia emblematica del personaggio che da ambasciatrice di Francia a Tbilisi è diventata prima, ministra degli Esteri della Georgia, poi presidente della Repubblica. Il caso è emblematico, perché la storia di Zourabichvili, discendente da una famiglia di esuli anti-russi, poi filo-nazisti, dimostra come la politica di allargamento dell’UE abbia fatto leva sui “foreign agent” e sul nazionalismo, la stessa cosa è avvenuta in Ucraina, ricorda Proud. Per stimolare gli storici, si potrebbe forse dire che il tradimento dell’ideale europeistico avviene con l’allargamento a Est in funzione anti-russa: esso infatti fa leva sul nazionalismo che, come sappiamo, è la negazione dell’europeismo: qualcuno ha mai chiesto a polacchi, baltici o ucraini se condividessero l’obiettivo di uno stato federale sovranazionale a favore del quale rinunciare alla sovranità? L’europeismo diventa così una facciata colorata di valori, che copre la realtà del cambiamento di natura e di direzione: dall’impero all’alleanza di nazioni (sotto l’ombrello americano), dalla pace alla guerra. A dire il vero, il tradimento è avvenuto prima, con le guerre jugoslave, regnante in Germania quello che è considerato tuttora un grande europeista, Helmut Kohl. Tali guerre, con l’incoraggiamento del separatismo etnico, hanno infatti il senso di un cambiamento epocale, e al tempo stesso della continuità storica, la continuità è con i principi di Wilson, in particolare i punti dal 9 al 13, che rappresentano la antica politica imperialistica del “divide et impera”. Quando si dice che l’UE è asservita agli Stati Uniti non si sottolinea abbastanza il fatto che è cambiata la sua stessa natura, oggi davvero mostruosa. È interessante notare che i famigerati principi wilsoniani tornano d’attualità anche in Medio Oriente. Al posto dell’UE, come longa manus di Washington, c’è Israele, che ambisce fare del Medio Oriente uno spezzatino al salto, agitato da continue guerre interetniche . Portavoce di questo progetto è Eric Mandel, un pennivendolo al servizio della lobby sionista. Naturalmente le divisioni territoriali disegnate dopo la Prima guerra mondiale da britannici e francesi sono del tutto arbitrarie, ma lo spezzatino serve solo a Israele e Stati Uniti. Prima di chiudere faccio mie sia la speranza di Proud che il disinteresse dei governi europei per la tragicomica vicenda di Salomé Zourabichvili. [Franco Continolo]

 

 
Salomé Zourabichvili è una minaccia per la democrazia georgiana e dovrebbe essere educatamente fatta uscire di scena.
 
Ho passato trenta minuti a guardare l’intervista dell’attuale presidente georgiano Salomé Zourabichvili con Rory Stewart e Alastair Campbell nel loro popolare podcast “The Rest is Politics”. È stato sia illuminante che profondamente inquietante. La mia conclusione principale è stata che la più grande minaccia alla democrazia in Georgia è la stessa Zourabichvili, e che le autorità georgiane dovrebbero procedere con cautela per evitare di rovinare la fine della sua presidenza domenica 29 gennaio. Salomé Zourabichvili è ovviamente guidata da un odio profondamente radicato nei confronti della Russia che risale alla decisione dei suoi nonni di andare in esilio nel 1921, a dispetto dell’occupazione della Georgia da parte dell’Armata Rossa. Era chiaro che l’ambizione della sua vita era quella di correggere gli errori dell’occupazione della Georgia, da cui ho dedotto che intendesse sradicare ogni traccia dell’odiata influenza russa. Salomé ha una visione storica infantile e romanticizzata della Georgia, radicata nella sua ricca infanzia nel centro di Parigi e nella frequentazione della chiesa georgiana. Come una bambina, è stata menzognera e sfuggente nella sua risposta alla domanda sulla sua cittadinanza georgiana, descrivendo sé stessa come se fosse sempre stata georgiana attraverso i discorsi e i canti a casa. Infatti, ha ottenuto la cittadinanza georgiana solo il 20 marzo 2004, conferita dall’allora presidente Saakashvili, mentre era ancora ambasciatrice della Francia in Georgia. Il motivo dell’improvvisa cittadinanza di Zourabichvili è stato quello di permetterle di diventare ministro degli Esteri della Georgia, ruolo che ha ricoperto per un anno e mezzo, per la maggior parte del tempo ancora alle dipendenze del servizio diplomatico francese. Se questo vi suona familiare, il primo ministro delle Finanze dell’ex presidente ucraino Petro Poroshenko nel 2014, Natalia Jaresko, era un ex funzionario del Dipartimento di Stato, così come la moglie dell’ex presidente Viktor Yushchenko, Kateryna. 



Dopotutto, nessuno grida “democrazia” più dei funzionari occidentali messi a capo dei paesi che vogliono salvare dalla tirannia dell’indipendenza. Diventando ministro degli Esteri georgiano mentre era ancora diplomatica e cittadina francese in servizio, ha descritto un senso di “vendetta” da parte dei suoi genitori. Quindi, era evidente che aveva trascorso tutta la sua vita in una furia privata per la minaccia russa e aveva sviluppato una determinazione quasi fanatica nel correggere quello che considerava un torto storico. Opportunista politica, si è allineata e ha abbandonato la maggior parte dei partiti politici in Georgia nel suo cammino verso l’alto, incluso lo stesso Georgia Dream.



Come un’anziana Greta Thunberg senza fan su base globale, Zourabichvili ha recentemente rivolto la sua furia verso la correzione della cosiddetta ingiustizia imposta alla Georgia dalle elezioni del 26 ottobre, che lei descrive come rubate. Lei è del tutto sprezzante nei confronti del debole sostegno dato alla sua causa dalla missione di monitoraggio dell’OSCE, che ha riscontrato che le elezioni georgiane sono state generalmente ben organizzate, anche se ci sono state discrepanze in una serie di settori. O al fatto che da allora la maggior parte dei capi di Stato europei hanno adottato un approccio morbido nel condannare apertamente il partito Sogno della Georgia.


 
La sua posizione si basa quasi esclusivamente sull’idea che ha vinto il partito sbagliato e che questo deve essere, per definizione, antidemocratico. Che -nelle sue parole - le elezioni stesse sono state “veramente un referendum” sul diritto della Georgia di scegliere l’Europa invece della Russia. E che il fatto che Georgia Dream abbia vinto deve assiomaticamente indicare che il risultato è stato falsificato. Una donna anziana, che risale alla sua educazione nell’alta società a Parigi con i suoi parenti simpatizzanti dei nazisti, descrive una giovane generazione di georgiani che ha vissuto e “studiato all’estero” e desidera disperatamente scegliere l’Europa. Eppure, le statistiche dell’UNESCO mostrano che solo circa 10.000 georgiani ogni anno studiano all’estero per l’istruzione terziaria, ovvero circa un quarto della popolazione. La sua idea del cittadino georgiano moderno è quella di un ragazzo ricco di città, che potrebbe desiderare un futuro europeo per il proprio paese dopo aver sciato a Chamonix. Questa visione sciovinista e ristretta di una appropriata georgianità non rappresenta la media di una società georgiana in cui il PIL pro capite è di soli 8.200 dollari. Sebbene le elezioni del 26 ottobre non siano state perfette, è emerso uno schema molto chiaro in cui i georgiani rurali, che costituiscono il 40% della popolazione, hanno votato in stragrande maggioranza a favore del Georgia Dream. Come è avvenuto fin dalla notte delle elezioni del 26 ottobre, Salomé Zourabichvili non ha fornito nemmeno un briciolo di prova dell’ingerenza russa. Infatti, alla fine dell’intervista, ha ammesso che lo stesso Bidzina Ivanishvili non è nemmeno un agente diretto della Russia. Stranamente, ha persino descritto Sergei Lavrov come estremamente professionale. 



La sua protesta è del tutto ideologica; che qualsiasi georgiano di buon senso deve necessariamente aver voluto votare contro Georgia Dream e, di conseguenza, contro la Russia, sebbene non abbia mai articolato in modo convincente come i due siano collegati. E che scegliendo Georgia Dream, gli elettori sono stati presi in giro oppure sono semplicemente stupidi e non degni del diritto di voto. Ma la sua posizione è anche sorprendentemente egoistica. Narcisista e ubriaca della sua stessa propaganda, vuole solo aggrapparsi al potere. Qualunque cosa accada, Salomé Zourabichvili è determinata a rimanere presidente della Georgia, anche se il suo mandato costituzionale scade domenica 29 dicembre. 



All’inizio, durante l’intervista, come se avesse un grande piano che intende rivelare solo nel fine settimana, ha rifiutato di lasciarsi trascinare dal suo futuro. Ma alla fine ha annunciato che “la prossima settimana sarò sicuramente presidente per il popolo georgiano”. Quindi, dopo aver disprezzato i fallimenti democratici del processo elettorale nel suo paese di adozione, Salomé Zourabichivili intende organizzare un colpo di stato, almeno in termini pubblicitari, insistendo sul fatto che lei rimane il legittimo sovrano della Georgia. Ciò che senza dubbio vuole, è creare una messa in scena spettacolare in cui subire un martirio senza morte; il che implica essere condotta fuori città, magari ferita e vittima di bullismo. Le autorità georgiane, che finora sembrano aver gestito con moderazione le proteste pesantemente orchestrate a Tblisi, dovrebbero continuare a farlo cacciandola dal potere in modo fermo ma educato, in modo che il presidente entrante della Georgia, Mikheil Kavelashvili, possa assumere l’incarico.

 

POVERTÀ CULTURALI 
di Vittorio Melandri


 
Per chi non lo sapesse Intel è da decenni il maggior produttore di microchip, quegli oggetti per i più “alieni”, che appunto da alcuni decenni hanno invaso, camuffati in moltissime forme, la nostra vita quotidiana. Un interessante articolo di Cesare Alemanni, che illustra anche per noi profani cosa ci può attendere nel prossimo futuro, prende le mosse proprio dal “declino di Intel (che) è un esempio emblematico della rapidità con cui si muove il settore dei semiconduttori e dei rischi che questo comporta”. Chi vuole può leggerlo scaricando la app Appunti di Stefano Feltri. Qui ne traggo spunto, sollecitato anche da un articolo di Ezio Mauro su “la Repubblica” di ieri, dal titolo emblematico “La tecnodestra che avanza”, per attrarre l’attenzione sulle sempre più drammatiche povertà culturali che essiccano le radici di una speranza democratica. In un mondo in cui non si riesce a chiudere la forbice (che si allarga anzi sempre più), fra povertà e ricchezza materiali, l’unica povertà e l’unica ricchezza che sembrano avere attenzione, dilaga in modo ancora più drammatico e travolgente ogni contrasto, una devastante povertà culturale. Povertà culturale che non è da confondersi con quella coincidente con l’ignoranza delle scienze o delle lettere, ma è quella che condanna masse sempre più grandi di popolazione a vivere in un mondo costruito da “pochi sempre più pochi”, che ne controllano porte d’ingresso e di uscita e tengono per sé i codici di accesso. D’altro canto accade che masse di individui sempre più grandi, son fatte da chi si illude di essere al passo con “i tempi moderni”, ma sono fatte di estranei al mondo in cui sono calati. Diplomati e laureati, per non parlare di chi ha solo frequentato la scuola dell’obbligo, ragionieri, periti, geometri, ingegneri, dottori, tutti analfabeti di ritorno, poveri culturalmente rispetto al “proprio mondo”. Molto più poveri, sempre culturalmente parlando, del “cafone della Marsica abruzzese”, immortalato da Ignazio Silone in Fontamara, o del contadino de L’albero degli zoccoli di Olmi, che del proprio mondo conoscevano e controllavano molte più cose di quante ne conosciamo e controlliamo noi oggi del nostro. E sulle povertà culturali, che come le lame di una forbice si aprono sempre di più, la destra ingrassa e la sinistra latita.

FUORI IL MILITARISMO DALLE SCUOLE


Gino Scarsi
Basta armi

 
Articolo 11: l’Italia ripudia la guerra… ma chi la governa no!

Trieste. In un momento in cui la NATO vuole imporci l’aumento delle spese militari al 3% del PIL (circa 25 miliardi di euro in più, come sempre da sottrarre a chi non li ha), uno degli obiettivi primari è quello di fermare il processo di militarizzazione delle istituzioni scolastiche, già in atto da troppo tempo. Le scuole stanno diventando sempre più spesso terreno di conquista per una ideologia bellicista e di controllo securitario, che si fa strada
attraverso l'intervento diretto delle forze armate, in iniziative tese a promuovere la carriera militare in Italia e all’estero, e nel dipingere le varie forze di sicurezza come risolutive di problematiche che pertengono alla società civile. Questa invasione di campo arriva persino a coinvolgere i percorsi di alternanza scuola-lavoro (ora PCTO); il tutto suffragato da protocolli di intesa firmati dall’Esercito con il Ministero dell’Istruzione, gli Uffici Scolastici e le singole scuole. Riteniamo molto grave il tentativo di creare consenso attraverso l’utilizzo improprio e fuorviante di valori quali “coraggio”, “orgoglio” e “forza” o di idee astratte quali “difesa della patria” e “missioni di pace”. È inoltre preoccupante il livello di collaborazione che molti atenei italiani intrattengono con l’industria bellica. Il ruolo che la scuola riveste non è in alcun modo compatibile con l’ideologia brutale che sta alla base di ogni guerra: questo processo di militarizzazione promuove pratiche antitetiche a qualsiasi effettivo e sano processo educativo. Smilitarizzare la scuola vuol dire restituirle il ruolo sociale previsto dalla Costituzione italiana, estromettendo la cultura della guerra dal mondo dei nostri figli. Segnaliamo perciò l’utilissimo vademecum dell’Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università, rivolto a studenti, genitori e docenti, contenente tra l’altro esempi e proposte di lettere da inviare al Dirigente Scolastico per contestare le violazioni alla funzione educativa di quella che probabilmente è la più grande conquista del mondo moderno, la scuola pubblica. Lo potete consultare al seguente link:
https://osservatorionomilscuola.com/2023/09/26/mozioni-del-vademecum-per-fermare-la-militarizzazione-delle-scuole/

Nogreenpasstrieste


A LANCIANO COL BEL CANTO
Organizzato da Punto d’Incontro 




domenica 29 dicembre 2024

LA POESIA CIVILE


Giuseppe Langella

Conversazione con Giuseppe Langella in occasione dell’uscita del primo titolo della Collana “Fendinebbia” da lui diretta.
 
Gaccione: Finalmente si esce allo scoperto; con il varo di questa tua Collana di poesia civile dal titolo ‘Fendinebbia’ preso la Casa Editrice La Scuola di Pitagora di Napoli, la sfida ai poeti, agli editori e ai critici è lanciata ed entra concretamente nel vivo di un confronto divenuto non più procrastinabile.
 
Langella: In effetti, per quanto strano possa sembrare, non è mai esistita in Italia una collana espressamente dedicata alla poesia civile. Fra l’altro, “Fendinebbia” ospiterà, oltre a raccolte inedite e ad antologie tematiche, reprints di opere canoniche, monografie e saggi critici su temi e autori della poesia civile, riflessioni teoriche sulla poesia civile, manifesti e interventi militanti su temi civili di portata cruciale: una formula mista, un cubo a più facce, che ne renderà più incisiva la presenza editoriale, con cinque titoli all’anno. Per aprire una nuova collana di poesia, coi tempi che corrono, ci vuole una certa dose di coraggio. Ma di fronte a un mondo agonizzante, com’è quello in cui viviamo, la poesia deve tornare a svolgere una funzione civile. Distogliere lo sguardo dall’abisso verso cui siamo incamminati può essere magari consolante, ma ci renderebbe complici del più assurdo genocidio della storia terrestre: la cancellazione della specie umana. E se gli occhi dei più sono offuscati e non sanno vedere oltre i filtri delle narrazioni ufficiali, tocca ai pochi che hanno conservato uno sguardo lucido dissipare le nebbie, mostrando quel che si profila all’orizzonte per scongiurare il peggio.



G: A partire dalla fine degli anni Settanta in poi, proprio l’abbandono di uno sguardo attento verso quello che tu chiami “l’abisso in cui ci siamo incamminati” aveva condannato la voce dei poeti all’irrilevanza pubblica.
 
L: Quella che va, grosso modo, dal Quasimodo di Giorno dopo giorno (1947) al Luzi di Al fuoco della controversia (1978), passando ovviamente per Fortini, Sereni, Pasolini, Volponi e tanti altri, è stata sicuramente, anche per la poesia, una grande stagione, segnata da un forte impegno civile. E anche dopo, a dire il vero, non sono mancate voci di quella natura: si pensi solo a Gianni D’Elia o a Giovanni Raboni, a Margherita Guidacci o a Jolanda Insana. Ma nell’ultimo tratto del Novecento ha prevalso indubbiamente un altro tipo di poesia, che ha sentito il bisogno di reagire alle derive giornalistiche e alle ferite mortali inferte, negli anni Sessanta e seguenti, al codice lirico. Penso in particolare a La parola innamorata, a “Niebo”, al neo-orfismo, al mitomodernismo. Questa reazione, in sé legittima, o almeno storicamente comprensibile, ha fatto, senza volerlo, il gioco del potere, che si è tolto una fastidiosa spina dal fianco, impiantando indisturbato la spettacolare fabbrica dell’evasione e del consenso. I poeti si sono lasciati rinchiudere nella riserva indiana dei riti iniziatici, condannandosi, come dici tu, all’irrilevanza.
 

G: Il primo titolo della Collana, Sfida d’alti modi, con i temi messi a fuoco attraverso la pluralità di voci da te convocate e di un ventaglio di sensibilità diverse, segna un tracciato chiaro per la poesia dei nostri giorni.
 
L: Direi di sì. Cercavo un titolo segnaletico, che indicasse una svolta e un nuovo paradigma. Volevo anzitutto che si restituisse all’atto del poetare la dimensione pubblica di un impegno civile assunto responsabilmente; e poi che la poesia tornasse a farsi anche veicolo di valori umani. E così ho pensato di volgere al maschile plurale, alti modi, il femminile singolare alta moda, cui si associano normalmente, nel nostro immaginario, le sfilate. Il titolo implica dunque un’idea di poesia che antepone alla sfera estetica del fascino e della seduzione (alta moda) la sfera etica della testimonianza esemplare (alti modi), degna di essere assunta a modello.



G: Nella mia recente raccolta di aforismi Schegge (I Quaderni del Bardo Edizioni) c’è una vera e propria definizione della poesia civile: È civile tutto ciò che oppone l’umano al disumano. Possiamo ritrovarci in un assioma così perentorio?
 
L: Non c’è dubbio che tutto ciò che oppone l’umano al disumano ha una positiva ricaduta civile. Il tuo assioma può essere quindi tranquillamente adottato, a patto però che non diventi un alibi, come invece troppo spesso accade, per chiudersi nella propria torre d’avorio a contemplare le stelle e non affrontare le questioni nevralgiche del mondo in cui viviamo. Davanti al pericolo di una catastrofe planetaria, cui danno temibile alimento le minacce di una guerra nucleare, i cambiamenti climatici e lo stress ambientale, le crisi umanitarie, le grandi manovre dei poteri occulti per imporre un nuovo ordine mondiale, i segnali inquietanti di una civiltà sempre più tecnologica, artificiale e post-umana, scrivere versi idilliaci, oleografici e zuccherosi è un lusso che non ci possiamo più permettere. Mutuando il tuo aforisma, difendere l’umano oggi significa denunciare e combattere tutto ciò che gli si oppone calpestando i diritti inalienabili “dell’uomo e del cittadino”. Il resto è un’operazione ingannevole e consolatoria, una comoda scappatoia per mettersi in pace a buon mercato la coscienza.


 
G: Una uscita salutare dall’io non potrà che fare bene ai poeti. In fondo non si scrive per meritarsi qualcosa, ma per un atto di verità.
 
L: Una cosa dovrebbe essere chiara a tutti, anche se la società di massa ha esasperato, paradossalmente, l’egoismo e l’individualismo borghese: nessuno si salva da solo. Siamo tutti sulla stessa barca, profughi come Enea in cerca di una terra abitabile. Devo confessare che non ho mai avuto particolare simpatia per chi non sa guardare al di là del proprio naso o del proprio ombelico. Ma perseverare in questo culto dell’io narciso mentre intorno a noi un po’ dappertutto si levano alte le fiamme degli incendi, è un atto sterile e tristemente ridicolo. Bisogna urgentemente dilatare lo sguardo, riappropriarsi di una visione corale, dare voce a una coscienza collettiva. La poesia del nuovo millennio non può essere che una poesia del “noi”, della sorte e delle rivendicazioni comuni. 



G: Portare il “corpo” della poesia nel corpo ribollente della realtà, come si porta il proprio corpo dove è necessario che stia, quando l’umano è minacciato assieme al corpo dell’umanità intera, obbliga ad un impegno morale personale. Per agire l’uomo deve parlare ha scritto Camus, e questo dovrebbe valere in modo ancora più perentorio per i poeti.


L: Se ci pensi, è il mistero del Natale che i cristiani hanno celebrato in questi giorni, così come ce lo ha trasmesso il Prologo di Giovanni: E il Verbo si fece carne. Non tutte le parole sono chiacchiera e vaniloquio. In certi casi, al contrario, per dirla con Carlo Levi, Le parole sono pietre, come quelle che nel suo reportage la madre del contadino assassinato dalla mafia scaglia contro “cosa nostra” nell’aula del Tribunale di Palermo. Le parole della poesia devono essere altrettanto taglienti. Noi abbiamo il dovere della testimonianza: chi tace o si balocca con le parole lascia libero campo a chi ci sta portando verso la catastrofe.
 

 

 

  

 

AD ANCONA CON VOLANTE E TRAPANESE


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Al Teatrino San Cosma di Largo San Cosma n. 10
venerdì 3 gennaio 2025 alle ore 17,30

sabato 28 dicembre 2024

GENOCIDIO
di Amos Goldberg



Dal punto di vista legale, della legge internazionale, la guerra di Israele ai palestinesi è un crimine, e questo crimine si chiama genocidio. Sono le parole, di Amos Goldberg storico dell’Università di Gerusalemme, a spiegare perché il massacro quotidiano dei palestinesi rientri nella categoria del genocidio. La traduzione è da Google [Franco Continolo]
 
Se leggete Raphael Lemkin – lo studioso ebreo-polacco di diritto che coniò il termine “genocidio” e che fu la principale forza trainante della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio del 1948 – ciò che sta accadendo a Gaza ora è esattamente ciò che aveva in mente quando parlò di genocidio. Non è necessario che assomigli all’Olocausto per essere un genocidio. Ogni genocidio ha un aspetto diverso e non tutti comportano l'uccisione di milioni di persone o dell'intero gruppo. La Convenzione sul genocidio delle Nazioni Unite afferma esplicitamente che il genocidio è l’atto di distruggere deliberatamente un gruppo, in tutto o in parte. Queste sono le parole. Ma è necessario che ci sia un intento chiaro. E in effetti, ci sono chiare indicazioni dell’intenzione di distruggere Gaza: i leader israeliani – tra cui il primo ministro e il ministro della difesa – e molti ufficiali militari di alto rango, personalità dei media, rabbini e anche soldati semplici sono stati molto chiari su ciò che stavano facendo. volevano raggiungere. Ci sono stati innumerevoli incitamenti documentati a ridurre in macerie l’intera Gaza e si sostiene che non ci siano persone innocenti che vivono lì. Nella società israeliana prevale un’atmosfera radicale di disumanizzazione dei palestinesi in una misura che non riesco a ricordare nei miei 58 anni di vita qui. Ora quella visione è stata attuata. Decine di migliaia di bambini, donne e uomini innocenti sono stati uccisi. I feriti furono oltre centomila. Si assiste alla distruzione quasi totale delle infrastrutture, alla fame intenzionale e al blocco degli aiuti umanitari. Esistono fosse comuni e testimonianze attendibili di esecuzioni sommarie. 



Bambini colpiti dai cecchini. Tutte le università e quasi tutti gli ospedali sono scomparsi. Quasi tutta la popolazione è sfollata. Ci sono stati numerosi bombardamenti contro civili nelle cosiddette “zone sicure”. Gaza non esiste più. È completamente distrutta. Pertanto, il risultato si adatta perfettamente alle intenzioni dichiarate della leadership israeliana. Lemkin – lo studioso che coniò il termine “genocidio” – descrisse due fasi di un genocidio. Il primo è la distruzione del gruppo annientato e il secondo è quella che ha definito “l’imposizione del modello nazionale” dell’autore del reato. Stiamo ora assistendo alla seconda fase in cui Israele prepara le aree etnicamente pulite per gli insediamenti israeliani. E quindi sono giunto alla conclusione che questo ha esattamente l’aspetto di un genocidio. Non insegniamo il genocidio per rendercene conto retrospettivamente. Lo insegniamo per prevenirlo e fermarlo.
 

DUE PESI E DUE MISURE
di Lidia Sella 


 
Un duro testo in versi di Lidia Sella
 
I colpevoli, i mostri, i terroristi sono sempre gli altri.
Chi invece ha sterminato gli indigeni dAmerica
deportato dodici milioni di schiavi
saccheggiato le risorse dellAfrica
raso al suolo intere città
scatenato tempeste di fuoco su
Amburgo Monaco Dresda Norimberga Tokio
sganciato ordigni nucleari
su avversari che avevano già chiesto la pace
inscenato il processo farsa di Norimberga
con lintroduzione del principio di retroattività della legge*
e segregato un grande poeta
prima in una gabbia
poi in manicomio criminale
ha agito solo per il bene dellumanità.
I colpevoli, i mostri, i terroristi sono sempre gli altri.
Chi invece ha costruito muri per dividere nazioni
tracciato confini fasulli sulla pelle dei popoli
cacciato i Palestinesi dalla propria terra
condannato allesilio Istriani e Dalmati
ha pensato soltanto al bene dellumanità.
I colpevoli, i mostri, i terroristi sono sempre gli altri.
Chi invece rompe trattati di amicizia
alimenta guerre planetarie
bombarda ospedali
massacra civili
tortura prigionieri
e ha trasformato il Mediterraneo in una polveriera
mira unicamente al bene dellumanità.
I colpevoli, i mostri, i terroristi sono sempre gli altri.
Chi invece esercita lusura
vende armi
spaccia droga
diffonde menzogne mediatiche
piazza titoli tossici
affama le genti europee
specula sul cancro dellimmigrazione
e instaura dittature sanitarie
si prefigge quale unico scopo il bene dell'umanità.
I colpevoli, i mostri, i terroristi sono sempre gli altri.
Chi invece ha stabilito che il Vecchio Continente
venga invaso
deturpato
stuprato
umiliato
omologato
svenduto
e imbavagliato
persegue esclusivamente il bene dellumanità.
Quindi noi possiamo stare tranquilli
perché finanza internazionale
massoneria
grandi aristocrazie
e Chiesa
hanno un obiettivo in comune:
il bene dellumanità
le sorti dellEuropa
e, soprattutto, quelle dellItalia.
 
*Piergiorgio Odifreddi, C’è del marcio in Occidente, Raffaello Cortina Editore, Milano 2024.

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