UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

giovedì 25 dicembre 2025

LA BALLATA DI NATALE
di Angelo Gaccione


 
Per voci bianche e orchestra
 

(Coro e orchestra)

Larallallà larallalà
ecco il Natale che arriva già
larallallà larallalà
ecco il Natale, eccolo qua
 
(Voce solista)
 
I
Anche quest’anno è arrivato Natale
ecco lo senti che bussa alla porta
vai ad aprire e chiedi che vuole
chiedi che sorte ci toccherà.
 
(Coro e orchestra)
 
Larallallà larallallà
ecco il Natale che arriva già
Larallallà larallallà
ecco il Natale, eccolo qua
 
(Voce solista)
 
II
Anche quest’anno la neve è caduta
e un po’ più grigia e un poco più sporca
alza il bicchiere e brinda alla vita
all’ultimo sorso che ci darà.
 
(Coro e orchestra)
 
Larallallà larallallà
ecco il Natale che arriva già
Larallallà larallallà
ecco il Natale, eccolo qua
 
(Voce solista)
 
III
Tutto il giardino è coperto di fiocchi
la città dorme il sonno dei giusti
siamo in attesa che qualcosa rinasca
chissà che seme germoglierà.
 
(Coro e orchestra)
 
Larallallà larallallà
ecco il Natale che arriva già
Larallallà larallallà
ecco il Natale, eccolo qua
 
(Voce solista)
 
IV
Il pettirosso è venuto sul melo
nel becco porta una bacca di mirto 
il suo regalo per l’ultima notte
è il dolce canto che ci darà.
 
(Coro e orchestra)
 
Larallallà larallallà
ecco il Natale che arriva già
Larallallà larallallà
ecco il Natale, eccolo qua
 
V
(Assieme voce solista coro e orchestra)
 
Ecco si è accesa la stella che guida
e che le tenebre cancellerà
squarcerà il buio di questo mondo
per l’ultima notte che nascerà…
 
(Voce solista con Coro di voci bianche e orchestra)
 
Larallallà larallalà
l’ultima notte eccola qua
larallallà larallalà
è l’ultima volta che nascerà…
   
[Milano, 23 dicembre 2020]

LEGGE DI BILANCIO: ESITO POLITICO
di Franco Astengo


 
L’esito concreto della vicenda riguardante la legge di bilancio, almeno nella versione approvata dal Senato (e qui si apre il discorso del bicameralismo) può essere riassunta in 3 punti:
a) un decreto aggiuntivo per soddisfare gli appetiti della Confindustria;
b) la spesa militare ricondotta nell’alveo della crescita fino al 5% sul Pil come indicato dal piano di guerra targato Von der Leyen;
c) l’evidente sbilanciamento a favore dei ceti sociali più forti.
Scusandomi per la grossolanità della sintesi credo si debba prestare attenzione agli esiti politici di questa fase convulsa e tormentata:
1) Si è verificato un ulteriore passaggio sopravvenienza della "Costituzione materiale" sulla Costituzione repubblicana. Un passaggio cruciale effettuato soprattutto sotto l'aspetto della riduzione di quella che un tempo era definita "centralità del parlamento" (lo ha anche fatto notare con crudezza lo stesso ministro Giorgetti). Una riduzione nel ruolo del parlamento (elemento non secondario di una riduzione complessiva nel rapporto politica/società) che si è realizzato sotto due aspetti: il "salto del dibattito" ponendo la fiducia sulla decretazione; il concreto ridimensionamento del bicameralismo a monocameralismo con la seconda camera chiamata in causa (in questo caso quella dei deputati) semplicemente per "ratificare". Senza voler forzare alcunché è comunque il caso di richiamare questi passaggi in previsione del referendum sulla magistratura : i provvedimenti che saranno oggetto del voto fanno parte dello stesso pacchetto di costruzione di una "Costituzione Materiale" (già avviato ai tempi delle presidenze Berlusconi e poi in parte stoppata dall'improvvidezza del tentativo di rafforzamento attuato con la presidenza Renzi) di accentramento dei meccanismi di governabilità utilizzati per aprire la strada al presidenzialismo (che nella versione della destra ha assunto la veste del premierato). Tutta questa partita si tiene e deve essere oggetto del contendere nel corso della partita referendaria. Se si abbassa il tono e ci si riduce al fatto tecnico della separazione delle carriere oppure se si invocherà semplicisticamente una "spallata" verso il governo le possibilità di spuntarla risulteranno sicuramente ridotte.



2) L'opposizione. Al principio di questa brutta storia vissuta nelle ultime settimane alcune associazioni di cultura politica legate alla storia della sinistra italiana e operanti sul piano nazionale avevano proposto alle opposizioni di non tenere un atteggiamento "emendatario" ma di adottare uno schema pienamente alternativo facendo riferimento alla "Controfinanziaria" che ogni anno prepara il gruppo di "Sbilanciamoci" (cosa avvenuta anche quest'anno con un documento presentato alla Camera dei Deputati il 4 dicembre) intervenendo così sugli specifici aspetti sulla base di un progetto complessivo. Questo non è avvenuto: alla fine per arrivare al ritiro di alcuni provvedimenti del tutto sballati (e fortemente impopolari) si è dovuto assistere ad un duro scontro interno alla maggioranza stessa e a interventi "esterni" (quello della Confindustria prontamente ascoltato con l'emanazione del decreto già citato). Neppure c'è stata la volontà di intervenire nel dissidio interno che ha avuto protagonista la Lega che come sappiamo è molto sensibile alla questione pensionistica.
Al riguardo dell'opposizione rimane da comprendere un punto nodale: se si ritiene possibile un'alternanza a "bipolarismo temperato" oppure se si pensa, nel 2027, di andare a un confronto personalistico che oggi come oggi apparirebbe comunque perdente.
Insomma: una situazione quanto mai problematica nella quale si sono posti da parte delle opposizioni evidenze di nodi non sciolti cui si aggiungono le esitazioni riguardanti la politica estera.
Un quadro non esaltante alla vigilia di una prova molto difficile come quella del referendum sul ruolo della magistratura in una democrazia italiana in cui sono in pericolo la Costituzione e lo stesso principio illuminista della separazione dei poteri.

NATALE
di Alberto Figliolia


 
Che amara ironia in questo Natale...
Che cosa è divenuto il Natale,
ogni Natale
che ci viene elargito,
che ci viene imbonito,
che ci viene imbandito?
 
Ancora bombe e missili cadono
su tende e case
in riva a un insolcato mare,
nelle terre del freddo e del caldo;
ancora le sabbie del deserto accolgono
profughi, relitti d’esistenza;
ancora si spara agli occhi
dell’innocenza, ai seni materni;
ancora tombe di ferro salato
per spoglie enfie
di respiri morti.
 
Che amara ironia in questo Natale...
Che cosa è divenuto il Natale,
ogni Natale
che ci viene elargito,
che ci viene imbonito,
che ci viene imbandito?
 
E Cristo non nascerà
né risorgerà
se non nello sguardo
di un bambino
che si trascina carponi
nella polvere abbacinata,
in cerca di un sorso d’acqua
nell’assurda orba levità del giorno
che si leva e cala
come spada di vendetta.
Alle spalle del grappolo di stracci,
oltre la geografia delle ossa,
oltre la pianura della pelle rugosa
in cui il bambino è mutato,
grumo di dolore senza più rancore,
un avvoltoio e un fotografo,
ambedue pronti a carpirne
l’immagine mortale.
 
Cristo è nello sguardo di quel bambino,
soltanto in quell’ultimo sguardo.
 
[24 dicembre 2025]

GAZA: MILANO NON LA DIMENTICA
In Piazza del Duomo anche alla Vigilia di Natale.  










mercoledì 24 dicembre 2025

IL FANATISMO PUÒ ESSERE UN CANCRO 
di Michael Cohen
 

Testimonianza dello scrittore australiano Michael Cohen.
 
Scrivo da ebreo formato da due eredità. Da parte di mia madre, sono figlio di un sopravvissuto all’Olocausto polacco. Da parte di mio padre, sono un ebreo di Sydney di sesta generazione, cresciuto nei pressi di Bondi. Il mio trisavolo, Maurice Abraham Cohen, venne in Australia e contribuì a fondare l’Hevra Kadisha, l’istituzione responsabile della sepoltura dei morti ebrei di Sydney. Non è una nota storica a pie’ di pagina. È un tempo presente. La stessa istituzione che il mio antenato contribuì a fondare è ora responsabile della sepoltura delle vittime del massacro di domenica scorsa. 



La vita ebraica qui non è mai stata astratta o simbolica. È stata costruita, organizzata, discussa e sostenuta da persone che concepivano l’ebraismo come una cultura viva, non come uno slogan o un test. Sono cresciuto in una comunità ebraica moderata, plurale e intellettualmente vivace. Gli ebrei discutevano. Erano in disaccordo su Dio, la politica, Israele, l’etica, la cultura. L’istruzione era importante. Il pensiero indipendente era importante. L’ebraismo non era obbedienza; era partecipazione a una civiltà in continua evoluzione. Questo non era casuale. Era il fulcro della sopravvivenza ebraica. Poi è arrivata la setta ultraortodossa Chabad-Lubavitch, e la comunità si è sionistizzata.
Negli ultimi 40-50 anni, Chabad-Lubavitch ha costantemente ampliato la sua influenza all'interno delle istituzioni ebraiche di Sydney. Ciò non è avvenuto all'improvviso. È avvenuto gradualmente - sinagoga dopo sinagoga, comitato dopo comitato - fino a quando gran parte della vita comunitaria non si è concentrata attorno a un unico quadro ideologico.
Questa espansione non è stata semplicemente organica. È stata strategica.
Chabad ha riconosciuto che molti ebrei si erano alienati dalla propria eredità culturale e intellettuale - dalla storia, dalla filosofia, dall’etica, dalla lingua e dal dibattito ebraico. Questa alienazione ha creato vulnerabilità. In questa lacuna si è insinuato un movimento che ha offerto certezza al posto della conoscenza, autorità al posto dell'istruzione e obbedienza al posto dell’impegno. Ciò che ne è seguito non è stata una libera competizione di idee, ma il dominio attraverso il controllo istituzionale. Gli spazi comunitari sono stati monopolizzati. Le voci alternative sono state emarginate. Finanziamenti, legittimità e accesso sono confluiti sempre più attraverso un’unica porta. Chi dissentiva è stato silenziosamente escluso. Ciò che emerse assomigliava, metaforicamente, a una politica mafiosa - non criminale in senso letterale, ma nei suoi metodi: pressione, intimidazione, monopolizzazione ed eliminazione sistematica dei rivali. Creatività e libero pensiero non furono messi in discussione; furono soffocati.


 

L’espressione indipendente ebraica fu trattata come disordine. Il pluralismo fu inquadrato come una minaccia. Col tempo, il messaggio fu chiaro: allinearsi o scomparire. È così che una cultura viva si appiattisce. Ciò che veniva presentato come continuità ebraica funzionò sempre più come il suo opposto. Ho iniziato a frequentare Chabad. Conosco le dinamiche interne: la certezza, la pressione a conformarsi, la sfiducia nell’istruzione laica, lo scoraggiamento del giudizio indipendente. Agli ebrei viene detto di non pensare con la propria testa, di non porsi troppe domande, di non fidarsi di istinti morali che esulano dal sistema approvato. Allo stesso tempo, dietro questo assolutismo morale, si cela una profonda ipocrisia. Gli abusi sessuali erano presenti e ampiamente noti in quell’ambiente. Non venivano trattati come un’emergenza morale. Venivano trattati come qualcosa da contenere. Le figure autoritarie serravano i ranghi. Il silenzio veniva imposto. L’istituzione si proteggeva. Sono stato esposto a tutto questo direttamente. Non ero la persona giusta per esserlo. Nessuno lo è. Qualunque fossero le dinamiche psicologiche nella mia famiglia, erano fondamentalmente corrette, e quel contrasto non ha fatto che acuire il danno di ciò che ho vissuto. Quell’esposizione mi ha segnato in modo permanente. 



Un movimento che rivendica la superiorità morale, scoraggia l'istruzione, esige obbedienza e non protegge i propri figli ha perso ogni pretesa di autorità etica. Questo non è casuale. È strutturale. L’ideologia che lo rende possibile è importante. Al centro della teologia Chabad c’è la Tanya, che insegna una distinzione fondamentale tra anime ebraiche e non ebraiche. Quando questa idea viene vissuta socialmente, anziché trattata come misticismo astratto, produce un universo morale chiuso, che scoraggia l’empatia, il dissenso e la responsabilità. Questa visione del mondo plasma anche la politica. Per anni, Chabad ha promosso un sostegno acritico agli elementi più estremisti della destra israeliana. I movimenti dei coloni vengono celebrati. La forza viene estetizzata. L’esitazione morale viene inquadrata come tradimento. Durante la guerra di Gaza, ciò che molti ebrei hanno vissuto come dolore o crisi morale è stato pubblicamente accolto con applausi e assolutismo. Credo che questa posizione sia stata disastrosa, eticamente, culturalmente e strategicamente.
 
[Traduzione di Google]

 

GLI AUGURI DI “ODISSEA”



Odissea” formula auguri antifascisti, resistenti e disarmisti, a collaboratrici e collaboratori, a lettrici e lettori, con questo acrilico su tela che il pittore Max Hamlet ha espressamente realizzato per noi

IL COMUNICATO DI ANGELO D’ORSI
E la feccia guerrafondaia che impazza nel Paese e si è infiltrata anche nella Sinistra.



Il 22 dicembre, all’ANPI di Napoli, Sezione Napoli Orientale “A. Ferrara”, si è svolta la mia prevista conferenza su “Russofilia Russofobia Verità”, quella che era stata boicottata per due volte, in parte ricuperata e Roma all’Istituto di Cultura e Lingua Russa sabato 20, che aveva comunque un titolo diverso. Oltre a me, era invitato Alessandro Di Battista, che ha parlato per primo, con un intervento breve e appassionato. A me toccava disegnare il quadro storico dei due opposti concetti (filia e fobia, in relazione al mondo russo). Alla fine chi coordinava (il presidente della Sezione ANPI, Franco Specchio) ha dato la parola al pubblico. Si alza in piedi urlando a squarciagola un giovane, mentre si toglie la camicia ostentando una maglietta inneggiante all’Ucraina. Contemporaneamente il medesimo gesto compie un manipolo di suoi sodali che occupavano due file di sedie (mentre molte decine di persone erano in piedi, o sdraiate sul pavimento), e si sparpagliano per l’aula cercando di infilare nei vestiti dei presenti una spilletta con coccarda ucraina. Ovviamente il pubblico (quello venuto per ascoltare ed eventualmente interloquire) non l’ha presa bene. Segue parapiglia, il giovane energumeno che aveva dato inizio alle ostilità si precipita verso la cattedra e vi sale sopra cercando di strapparmi il microfono dalle mani, fino a romperlo, mentre suoi amici si avventano verso di me e il presidente Specchio, cercando ripetutamente di infilare le loro spillette nelle nostre camicie, un gesto violento e arrogante che noi respingiamo. Il clima si surriscalda e un paio di amici cercano di farmi uscire, ma veniamo inseguiti da colui che appare manifestamente il capo della banda, che correndomi dietro, cerca di provocarmi con domande alla Calenda o alla Picierno (cosa ci faceva in Russia? Et similia…). Non aspetta risposte, manifestamente, perché se le dà da solo accusandomi di essere “complice” di non so quali nefandezze. L’inseguimento dura un paio di minuti, finché i simpatici ragazzi vengono fermati da un improvvisato servizio d’ordine, il che mi consente, guidato da un paio di amici, di guadagnare attraverso un percorso alternativo, un’uscita secondaria, perché gli ammiratori di Zelensky (mi si riferisce) mi aspettano all’ingresso principale della Federico II. Aggiungo che l’impianto microfonico, che era stato opportunamente testato qualche ora prima, stranamente non funzionava e dopo infruttuosi tentativi, si è dovuto provvedere a un nuovo microfono e a un altoparlante alternativo. Grazie a tutto lo scompiglio, il sottoscritto non è riuscito a raggiungere in tempo utile la stazione di Piazza Garibaldi dove avrebbe dovuto salire su in treno per Roma. Ed è stato costretto a fare un altro biglietto per un diverso treno. È il caso di ricordar che negli scorsi giorni Carlo Calenda aveva lanciato una ridicola petizione contro la conferenza, di concerto con una aspirante assegnista dell’ateneo napoletano, con il medesimo obiettivo. E il giorno prima a Napoli l’onorevole Pina Picierno si è esibita mentre accendeva il candelabro ebraico, e alla piccola festicciola sembra fossero presenti alcuni degli stessi giovani energumeni che hanno interrotto con violenza il dibattito. E che a distanza di pochi minuti hanno inviato un comunicato ripreso dall’ANSA nel quale ribaltano i ruoli, spacciandosi per vittime. I firmatari sono i soliti, ben noti provocatori della politica nazionale: Azione, Europa, Radicali, e altra cianfrusaglia. Mentre uscivo inseguito e accusato di “rifiutare il confronto”, la mia risposta è stata semplicemente: “Non parlo con i fascisti”. Già, perché a Napoli abbiamo subìto un agguato organizzato, che nulla ha a che fare con il “dialogo”, con il rispetto di un luogo “sacro” come l’Università, e con quello che si deve, o si dovrebbe, a chi ha passato la vita a studiare, insegnare, pubblicare, e che si cerca di intimidire con azioni squadriste. Conclusione: il clima politico-mediatico in Italia sta diventando irrespirabile. E io mi sento costretto ad annunciare che annullo tutte le conferenze programmate e non ne accetto altre, se gli organizzatori non sono in grado di:
a) Assicurare spazi capienti a sufficienza con posti a sedere sulla base di una ragionevole previsione delle presenze
b) Adeguati impianti di amplificazione, verificati prima di ogni conferenza
c) Servizio d’ordine interno
d) Informativa alla Digos e alle forze dell’ordine, per evitare di esporre i relatori, nella fattispecie il sottoscritto, alla mercé di ucronazi locali e dei loro supporters.



Prego perciò tutti coloro che mi abbiano rivolto inviti, o intendano farlo di inviare (alla mail ormai nota) una comunicazione precisa in relazione ai quattro punti sopraelencati. Altrimenti considero appunto annullati tutti gli impegni. Grazie.

SISTEMA POLITICO
di Franco Astengo


 
IXXVIII Rapporto “Gli Italiani e lo Stato” 2025, realizzato da Demos & Pi, ha analizzato le percezioni degli italiani su istituzioni e politica, evidenziando trend preoccupanti come la scomparsa della classe media (solo il 45% si sente tale) e un crescente consenso verso soluzioni autoritarie, con il 30% che non escluderebbe il fascismo. Tutto questo secondo i dati di fine 2025. 
In Sintesi Il XXVIII Rapporto “Gli Italiani e lo Stato” 2025 dipinge un quadro di crescente fragilità sociale ed economica, con una polarizzazione delle opinioni che spinge una minoranza significativa verso soluzioni antidemocratiche, segnando una profonda crisi di fiducia nelle istituzioni e nella democrazia liberale. Si confermano così le analisi che stiamo cercando di portare avanti da tempo con al centro la modifica del sistema dei partiti e la crescita esponenziale dell’astensionismo nelle diverse tornate elettorali astensionismo sul cui fenomeno non ci soffermiamo avendone dedicato all’analisi analitica molti interventi). La difficoltà italiana è difficoltà sistemica nel suo complesso (tra le istituzioni e i soggetti politici; tra gli stessi soggetti politici; tra i soggetti politici e i corpi sociali intermedi; nella formazione e nell’aggregazione del consenso). Si aggiunge il presentarsi concreto (dopo diverse avvisaglie) della modifica della forma di governo, una modifica evidentemente ben inoltrata dentro il tema del presidenzialismo, che ha assunto la forma del “premierato”. Deve comunque essere ricordato che la stessa presidenza Conte (in entrambe le versioni giallo-verde e giallo-rosso), approfittando anche dell’emergenza sanitaria, si era sicuramente addentrata sul terreno del cambiamento profondo dell’origine parlamentare della presidenza. Del resto la governabilità per decreto ha avuto origine, nel sistema politico italiano, molto lontane nel tempo, fin dai primi anni ’80 del secolo scorso. Serve allora sviluppare alcune considerazioni sullo stato delle cose in atto nel sistema politico italiano. Da molti anni, in settori minoritari della sinistra, si sta cercando di insistere sulla necessità di un’analisi riguardante l’estrema fragilità del sistema politico italiano.


 
Un sistema fragile segnato profondamente dal trasformismo.
Questa affermazione rimane, a mio giudizio, più che mai valida in questa fase di movimento e di affermazione della figura del “Lord (o Lady) protettore /protettrice”.
È necessario uno sforzo di riflessione e l’elaborazione di una proposta politica partendo da un interrogativo: come si sposterà allora, se si sposterà, il confronto centro destra versus centro-sinistra (che si sta cercando di forzare in bipartitismo personalizzato ad uso “cerchi magici” per evitare l fastidio di organismi dirigenti ormai ridotti a clan seguaci del “capo/a”) e nel centro-sinistra troverà posto il M5S (al riguardo del quale è utile mantenere un giudizi di ambiguità), oppure lo spostamento d’asse in corso sul piano del riferimento europeo rimescolerà completamente il quadro? La risposta a questo interrogativo risulterà determinante anche perché c’è da tener conto che il vuoto in politica non esiste e che il quadro dei riferimenti internazionali appare molto complesso mentre spirano i venti di guerra e il vecchio schema dell’atlantismo è stato denunciato da Trump alla ricerca, nel quadro di una strenua competizione con la Cina, di definire i termini di un nuovo bipolarismo. È il caso allora di andare a fondo sul tema della fragilità del sistema attraverso un’elaborazione autonoma non riferita alla stretta quotidianità del gioco politico. La responsabilità maggiore di questa fragilità spetta, invece, alla leggerezza con la quale, all’interno del sistema, è stato permesso al M5S di raccogliere una messe di consensi ottenuti sulla base di opzioni meramente demagogiche e distruttive senza che si verificasse un contrasto reale di progetto alternativo. L’effimero sfondamento attuato dal M5S con le elezioni del 2018 sta pesando enormemente sullo spostamento d’asse in corso: la debolezza strutturale che ne è derivata ha aperto la strada a questa strisciante modifica costituzionale e ha sicuramente aperto la strada all’estrema destra che oggi governa pur in un quadro di fibrillazione al cui riguardo il centro-sinistra non pare capace di inserirsi. Questo elemento, della resa verso i 5Stelle nel periodo 2013-2018, è risultato esiziale perché ha consentito che si inoculassero nel sistema forti dosi di demagogia a livello di riscontro di massa, cui aveva già concorso il PD nella fase della segreteria (e presidenza del consiglio) Renzi. Il risultato concreto di questa fase è stato quella della perdita di circa 5.000.000 di voti validi tra le elezioni politiche 2018 e quelle 2022. Un mix micidiale: governabilità e personalizzazione in un quadro trasformista che ha fatto perdere fiducia a milioni di elettrici ed elettori.


 
Il risultato dell’intreccio tra governabilità intesa come mero esercizio del potere e personalizzazione della politica a tutti i livelli è stato quello dell’emergere del fenomeno della demagogia trasformistica. Una demagogia trasformistica che si è accompagnata alla crescita delle diseguaglianze e alla sparizione della middle-class: un quadro di impoverimento generale che ha causato il formarsi di una sorta di alleanza tra il “ventre molle” della borghesia e l’individualismo competitivo, che alla fine, ha assunto la veste di una domanda di tipo assistenzialistico-corporativo, con la perdita di ruolo nell’insieme dei corpi intermedi di mediazione sociale e politica (come emerge con chiarezza dalle manovre in corso sulla legge finanziaria). L’attuale governo della destra ha enfatizzato questa demagogia trasformistica tentando addirittura di “ideologizzarla” (riportando in auge il “Dio, patria e famiglia” e la simbologia para-fascista): una operazione ambigua perché rivolta a una società frastagliata, separata e fondata sul consumismo individualista di tipo “competitivo” raccolta soltanto attorno ai nuovi feticci della comunicazione social. Così non siamo lontani da una antica rievocazione dell’autobiografia della nazione. Qui risiedono le difficoltà della sinistra, in ritardo nel riconoscere le contraddizioni reali sulla base delle quali stava trasformandosi la società italiana e ancora incerta tra vecchi slogan e ricerche intorno a soggettività ormai definitivamente tramontate. Il solo contrasto possibile alla crescita ulteriore di questa demagogia trasformistica che non sia quella della riduzione dei margini della democrazia repubblicana può arrivare:
1) da una ripresa di ruolo della Sinistra, da realizzarsi in forme nuove ma solidamente ancorata alle parti più alte della propria tradizione;
2) dal rilancio Costituzionale della democrazia repubblicana fondata sulla centralità del Parlamento, la separazione dei poteri (prestando anche particolare attenzione al referendum costituzionale sulla magistratura, e sulle limitazioni imposte alla magistratura di controllo contabile) e il sistema elettorale proporzionale (proponendo una inversione di tendenza al riguardo del leaderismo anche attraverso una nuova dimensione dei partiti ad integrazione di massa che sarebbero chiamati a svolgere regolari congressi e non consultazioni di tipo plebiscitario attorno ad una errato concetto di “accettazione del leader” come invece ha sostenuto  la nuova sindaca di Genova astro nascente dell’accentuazione personalistica di una funzione leaderistica posta “sopra” al sistema);
3) la programmazione economica, lo sviluppo industriale posto all’altezza della sfida dell’innovazione tecnologica e delle transizioni digitale e ambientale;
4) la prospettiva di un’Europa alternativa nella quale far valere l’autonomia politica in funzione della pace;
5) la solidarietà sociale con una idea di moderno welfare;
6) una funzione pedagogica capace di riportare in discussione il concetto di egemonia rifiutando la separatezza tra cultura e politica.



In conclusione mi azzardo a sostenere che su questi 6 punti (e molto altri) forze sparse della sinistra, eredi della sua grande tradizione storica anche  novecentesca, avrebbero ancora molto da elaborare e da proporre.

 

martedì 23 dicembre 2025

BELGRADO, UNA LETTERA ALLA CITTÀ
di Gianmarco Pisa



La notizia della proclamazione, da parte della European Film Commissions Network (EUFCN), la Rete delle Commissioni Cinematografiche d’Europa, delle cinque migliori “destinazioni cinematografiche” del continente, vale a dire i cinque migliori scenari di cinema, trascende l’ambito ristretto degli addetti ai lavori e dice qualcosa di più sulle città stesse, le loro caratteristiche e i loro paesaggi, ciò che può rendere queste stesse città suggestive o affascinanti. Al di là del merito della proclamazione, infatti, essa sollecita una riflessione più ampia sullo “spazio della città”, come contesto complesso di relazioni e funzioni, in cui si svolgono rilevanti attività sociali e culturali. 
Ebbene, la giuria del premio ha designato cinque finaliste: La Palma (Spagna), Figuera de Foz (Portogallo), Inari (Finlandia), Zangerhausen (Germania). E Belgrado, capitale della Serbia, storica capitale del “Paese che non c’è più”, la Jugoslavia. Delle città nominate è l’unica capitale e, insieme con le altre, una città la varietà dei cui scenari e la ricchezza della cui storia sarebbe perfino superfluo ribadire. Ciò che pare interessante evidenziare non è tanto l’iter della designazione (alla fine, la città vincitrice, quella che sarà proclamata migliore destinazione cinematografica, sarà annunciata nel mese di febbraio 2026 durante una cerimonia in occasione della Berlinale), quanto piuttosto le sue motivazioni, le ragioni che rendono Belgrado una “capitale del cinema”.



La motivazione occasionale è nota. Belgrado è stata candidata dalla Serbian Film Association (l’Associazione cinematografica serba) per le riprese della serie “The Librarians: The Next Chapter”, realizzata in Serbia dalla casa di produzione “Balkanic Media”. Si tratta di una serie fantasy di successo, ambientata a Belgrado nel 1847. Un Bibliotecario, custode di un deposito magico contenente i più potenti artefatti soprannaturali, viaggia dal passato al presente, rimanendo intrappolato nel “nostro” tempo. Quando torna al suo castello, ora trasformato in museo, inavvertitamente libera la magia in tutto il continente. Gli viene allora assegnata una nuova squadra di bibliotecari che lo aiutino a risistemare le cose. Ovviamente, è questo solo l’asse della trama, che si dipana tra eventi magici e avventure fantastiche, sorprese, e viaggi nel tempo e nello spazio.  Qui entra in gioco Belgrado. Molte location della serie sono infatti luoghi di Belgrado: il Kalemegdan, il Teatro nazionale, l’Osservatorio astronomico, l’area di Knez Mihailova. Quest’ultima è la passeggiata pedonale del centro storico di Belgrado. 



Qui nulla è come sembra e, al di là dei progetti speculativi che vorrebbero farne (e in parte già ne stanno facendo) luogo di consumo urbano e spesa compulsiva, la strada ospita un patrimonio storico e culturale che spesso sfugge alla vista degli osservatori distratti. Dalla via principale (Kolarčeva), prima di giungere in Piazza della Repubblica, immettendosi su Knez Mihailova, è un susseguirsi di sorprese: il Kulturni Centar (Centro culturale), luogo di incontri e conferenze, la fontana Delijska, lo straordinario edificio della Accademia serba delle arti e delle scienze, con l’annessa Galleria d’arte, la cui collezione comprende circa tremila opere, di ben 270 artisti nazionali e non pochi artisti stranieri. E poi ancora, la Galleriadell’Associazione degli artisti di belle arti, il Palazzo Zepter, con annesso Museo di arte moderna e contemporanea, e infine, a pochi passi dal Kalemegdan, la Biblioteca Civica, con un patrimonio di 1.8 milioni di contenuti.  
I creatori della serie, la società “Electric Entertainment”, hanno raccontato che Belgrado è per loro (non solo per loro) una vera e propria fonte di ispirazione soprattutto per il confronto tra il mondo magico dei bibliotecari e l'ambiente moderno della città contemporanea. Hanno cioè sostanzialmente confermato che, pur senza scomodare indebiti paragoni con altre celebrate capitali, Belgrado è ciò che sappiamo: una città magica, capace di mettere a confronto, spesso stridente, il mondo magico e la realtà contemporanea. Ma quali sono gli altri scenari associati a questi luoghi? Eravamo alle soglie del Kalemegdan, uno dei simboli di Belgrado. Come hanno scritto, nella loro monografia dedicata alla capitale, Tomislav Rakičević e Srečko Nikolić, “Nel corso dello sviluppo della città, si sono venuti creando differenti complessi ambientali, ognuno con i suoi monumenti caratteristici, cosa che conferisce alla città un colorito speciale. [...]



La fortezza del Kalemegdan e il suo omonimo parco costituiscono un complesso unico che, meglio di altri, parla della storia di questa città. Il suo nome è di derivazione turca (Kale, “fortezza” e Mejdan, “campo”) e indica tanto le mura dell’antica Singidunum quanto uno dei più bei parchi belgradesi. Il Kalemegdan è, senz’altro, il simbolo di Belgrado. [...] In una zona di questo parco, chiamata “Veliki Kalemegdan”, si trovano numerosi monumenti eretti a ricordo di letterati, artisti, politici e altri personaggi insigni della storia serba”.
Si tratta di un sacrario della memoria, un vero e proprio Pantheon della città e del Paese. Vi si trovano la Fontana con la statua simbolica della Lotta, di Simeon Roksandić, il Monumento memoriale sul luogo in cui i Turchi per la prima volta consegnarono le chiavi della fortezza al principe Mihailo, il “Monumento di gratitudine alla Francia”, simbolo dell’amicizia tra i due Paesi e delle battaglie combattute nella guerra del 1914-1918, i capolavori di Ivan Meštrović e il Mausoleo degli Eroi del Popolo, dove sono sepolti gli eroi della lotta di liberazione antifascista, Ivo “Lola” Ribar, Ivan Milutinović, Djuro Djaković, Moša Pijade.



Non meno importanti sono gli altri luoghi. Uno di questi è il Teatro Nazionale. È anche questo un simbolo di Belgrado e della Serbia. Si trova in Piazza della Repubblica, sul versante opposto a quello ove sorge lo straordinario Museo Nazionale. Per la sua costruzione, nel 1868, fu scelto lo spazio dell’attuale piazza, intanto bonificata; qui fu costruito il teatro, che non nasconde influenze classiche e si ispira, per alcune caratteristiche, al modello della Scala di Milano. Vi fu rappresentata, secondo alcuni come prima messa in scena operistica del teatro, la “Madama Butterfly” di Puccini nel 1919. Qui hanno poi diretto grandi direttori d’orchestra, da Lovro von Matačić a Muhai Tang. Come ha ricordato Milica Božanić dell’Associazione cinematografica serba, questo genere di partenariato è fondamentale per sostenere le produzioni cinematografiche, creando così un ambiente favorevole all’ulteriore sviluppo del cinema, incluso il turismo culturale e cinematografico a Belgrado. Belgrado è un naturale punto di incrocio e di ripartenze, di viaggi e di ritorni, in cui le storie e le memorie si stratificano e si condensano, insieme con un patrimonio storico e culturale di rilevanza assoluta, in modo singolare ed indiscutibile. Si possono riconoscere, in questa filigrana, tutti i volti di Belgrado e della Jugoslavia, antichi e moderni, storici e attuali, di volta in volta memoriali o negletti. D’altronde, parliamo di una città orgogliosa, per la sua storia e la sua memoria, come si racconta, “quaranta volte distrutta e quaranta volte ricostruita”. “È caratteristico - scriveva il Giusti - che idee di fratellanza e solidarietà si siano sviluppate specialmente presso le nazioni slave più piccole, che sentivano incerte le proprie frontiere e minacciose le forze che premevano dal di fuori: [...] questi piccoli popoli, attraverso l’idea della solidarietà slava, si sentivano partecipi di un mondo più vasto ... che popolava immense distese dell’Europa e dell’Asia” (W. Giusti, Il panslavismo, Bonacci, Roma, 1941, n. e. 1993).



Pensiamo, ad esempio, a un altro luogo cruciale, e dimenticato, di Belgrado: l’Obelisco dei Non Allineati, uno dei simboli della Belgrado della Fratellanza e Unità, opera, insieme con altri, di Svetislav Ličina. Fu eretto per lo storico Vertice di Belgrado del 1961; sebbene negletto, l’obelisco è rimasto con tutta la sua potenza, anzi, secondo l’architetto Milorad Jevtić (cui si deve l’attribuzione dell’opera a Ličina), resta una delle più significative testimonianze dello «spazio bianco» che caratterizza Belgrado (il cui nome significa, appunto, “Città bianca”). Dal canto loro, i Paesi non allineati non sono scomparsi dalla scena.
Nella loro più recente risoluzione, la Dichiarazione di Kampala del 15-16 ottobre scorsi, sottolineano che “la solidarietà internazionale, massima espressione di rispetto, amicizia e pace tra gli Stati, è un concetto ampio che comprende la sostenibilità delle relazioni internazionali, la coesistenza pacifica e gli obiettivi di equità e di emancipazione dei Paesi in via di sviluppo, il cui obiettivo finale è il raggiungimento del pieno sviluppo economico e sociale dei loro popoli”. Nel caos drammatico del tempo presente, ancora una volta dal Sud globale, trovano spazio per affacciarsi messaggi di pace, di solidarietà e di speranza.



Riferimenti:
Beograd jedna od pet najboljih filmskih destinacija na svetu, Nova, link
Dichiarazione di Kampala del Movimento dei Non Allineati, 2025, link
Tourist Organization of Belgrade, Official Site, link

PROPRIETÀ INTELLETTUALE
di Olindo Cervi
 

L’economista Olindo Cervi a proposito dell’articolo di Francesca Mezzadri apparso su “Odissea” martedì 16 dicembre scorso dal titolo “Il treno dei bambini” https://libertariam.blogspot.com/2025/12/il-treno-dei-bambini-di-francesca.html ci ha fatto pervenire questo scritto.
 
Noi economisti siamo fortemente disprezzati causa le teorie neoliberiste che hanno distrutto completamente due continenti, ma le assicuro che tanti di noi sono ancora persone umane che pensano al bene comune e non al ladrocinio e alla propaganda tanto di moda al giorno d’oggi. Da economista, oltre ad apprezzare il valore storico-culturale del suo articolo, vorrei complimentarmi per aver involontariamente (o forse no) messo in luce un caso di studio esemplare di fallimento del mercato delle idee e di inefficienza nell’allocazione dei diritti di proprietà intellettuale. La sua analisi, infatti, può essere letta come un brillante report sull’asimmetria informativa e sull’esternalità negativa in un settore cruciale: quello della produzione e distribuzione della memoria collettiva. Le fornisco una mia lettura:
1.- Fallimento del Mercato e Asimmetrie di Potere
Il suo articolo documenta un classico caso di “market for lemons” (articolo scritto da George Akerlof premio Nobel per l’economia), adattato al mercato editoriale.
Asimmetria Informativa
Il lettore (consumatore) non può facilmente distinguere, nel prodotto finale (il romanzo di successo), la “qualità” derivante dal lavoro di ricerca originale (di Rinaldi, Cappiello, Piva) da quella della rielaborazione narrativa. L’informazione sulla provenienza delle fonti è nascosta o opaca.
Spiazzamento del Bene di Qualità
Il prodotto “low-cost” in termini di investimento in ricerca (il romanzo che si appropria di narrazioni già elaborate) cattura la maggior parte del profitto e dell’attenzione, rischiando di spiazzare dal mercato i produttori del bene originale (la ricerca storica di prima mano), che ha costi più alti e rendimenti economici più bassi. Questo crea un incentivo perverso a investire in promozione più che in ricerca.


2.- Diritti di Proprietà Intellettuale e Beni Pubblici
La memoria storica documentata è un bene pubblico nel senso economico: è non-rivale (molti possono usarla contemporaneamente) e, in questo caso, non-escludibile (non si può impedire a un autore di fiction di attingervi). Non si tratta della sovra-utilizzazione tipica dei beni comuni, ma del problema opposto: la sotto-ricompensa per i creatori originari. I ricercatori investono risorse (tempo, denaro, capitale umano) per creare un bene (la narrazione documentata) che poi diventa un input a costo quasi zero per un altro agente (l’autore di fiction) che ne cattura la maggior parte del valore di mercato. Questo disallinea incentivi e può portare a una sotto-produzione futura di ricerca storica originale.
3.- Esternalità Negative e Fallimento della Coordinazione
Esternalità Negativa sulla Ricerca: L’atto di non citare le fonti genera una esternalità negativa diretta sui ricercatori: il loro lavoro viene svalutato economicamente e simbolicamente, e il loro capitale reputazionale non viene “capitalizzato”. Il mercato, da solo, non internalizza questo costo. Per i singoli ricercatori, il costo di far valere i propri diritti morali (attribuzione) e di negoziare un compenso (se dovuto) è proibitivo rispetto ai benefici attesi. Questo rende inefficiente la soluzione privata e giustifica la necessità di una norma sociale forte (l’etica della citazione) che il suo articolo contribuisce a rafforzare.



4.- Investimento in Capitale Sociale e Sovranità della Memoria
Il suo lavoro tocca un punto cruciale di economia politica: chi controlla e monetizza la narrazione della memoria collettiva? Il “lavoro di ricerca povero” descritto è un investimento in capitale sociale e culturale che produce un bene fondamentale per la coesione sociale: una memoria condivisa e affidabile. Consentire che questo bene venga privatizzato e rivenduto senza un riconoscimento adeguato crea una distorsione nel mercato delle idee e una perdita di sovranità sulla nostra stessa storia. La sua analisi è un potente argomento per la trasparenza come regolamentazione necessaria per correggere questa distorsione.



Conclusione da povero economista:
Il suo articolo non è solo un contributo etico o storiografico. È un contributo a un principio caro agli economisti con un’anima: l’efficienza del mercato culturale. Promuovendo trasparenza, attribuzione chiara e riconoscimento del lavoro altrui, lei propone un meccanismo per:
a) Ridurre l’asimmetria informativa tra produttori e consumatori di cultura.
b) Allineare gli incentivi, in modo che investire in ricerca originale torni ad essere premiato, anche simbolicamente.
c) Correggere l’esternalità negativa sull’ecosistema della ricerca indipendente.
d) Proteggere la diversità produttiva nel mercato delle idee, evitando il monopolio narrativo di pochi grandi attori.
In sostanza, ha scritto un articolo chiaro, accessibile e fondamentale per la salute del nostro mercato culturale.  

Privacy Policy