Pagine
- HOME
- IL LATO ESTREMO
- FUORI LUOGO
- AGORA'
- LA LAMPADA DI ALADINO
- ALTA TENSIONE
- FINESTRA ERETICA
- ARTE
- SOCIETA' DI MUTUO SOCCORSO
- I DOSSIER
- I LIBRI DI GACCIONE
- BIBLIOTECA ODISSEA
- SEGNALI DI FUMO
- I TACCUINI DI GACCIONE
- NEVSKIJ PROSPEKT
- LA GAIA SCIENZA
- LIBER
- GUTENBERG
- GROUND ZERO
- LA CARBONERIA
- CAMPI ELISI
- LA COMUNE
- OFFICINA
- QUARTIERE LATINO
- IL PANE E LE ROSE
- MARE MOSSO
- LITTERAE
- DALLA PARTE DEL TORTO
- NO
- NOTE
- FORO
- KAOS
- LUMI
- ARCA
- CIAK
- IL GIURAMENTO DI IPPOCRATE
UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
mercoledì 17 dicembre 2025
LA PAROLA AI LETTORI

Luigi Mazzella

Caro Direttore,
fra i collaboratori di “Odissea” il più assiduo mi pare l’ex
giudice della Corte Costituzionale ed ex ministro per la funzione pubblica
Luigi Mazzella. Quasi ogni giorno vedo suoi articoli, per la verità molto
ripetitivi e spesso anche fuori registro. Ammira Trump che considera un “pacifista”,
ma non dice che il presidente americano ha lasciato mano libera a Netanyahu per
massacrare i palestinesi. Attacca con virulenza le alte autorità europee, ma difende
Elon Musk che vorrebbe spadroneggiare in Europa senza limiti e senza regole, e
soprattutto senza pagare le tasse. Esagera, a mio modesto parere, dando troppa
importanza alle fedi religiose che taccia di irrazionalismo, assieme alle
ideologie del Novecento, fascismo e comunismo. In Italia i cattolici sono in
massima parte credenti per convenienza e vivono secondo costumi che sono
lontanissimi dal cristianesimo. Forse neppure credono a quello che Papa e
prelati prescrivono, e le vocazioni religiose sono in caduta libera in tutta
Europa. Il fanatismo islamico riguarda esigue minoranze manovrate da marpioni
che le sfruttano per ragioni di potere e per i loro disegni politici molto più
terreni. Lo stesso dicasi per l’ebraismo che è molto più secolarizzato di
quanto si crede. In Israele la maggioranza della popolazione vive secondo i
dettami dell’unica religione oramai universale: il liberalismo capitalista
edonista, non certo secondo i dettami del Talmud. Minoranze di fanatici
integralisti possono tuttalpiù servire a tenere in piedi il governo. I fascisti
non sono più quelli di Mussolini e collaborano a coalizioni di governo con
liberali, socialdemocratici, ex democristiani, in larghe coalizioni. I comunisti
in Italia sono minoranze infinitesimali neppure rappresentate in Parlamento e
non riescono neppure a superare la soglia di sbarramento. Ha perfettamente
ragione, invece, quando parla di conformismo di massa e di autoritarismo; questi
due elementi attraversano luoghi e sistemi fra i più diversi, compreso Stati
Uniti, Russia, Cina, Europa, paesi islamici e non solo, le cui classi dirigenti,
sia liberali che ex comuniste ed ex fasciste, sono diventate tutte
intolleranti, piratesche e furiosamente militariste. È vero che avendo perso la
guerra l’Italia è una colonia americana a sovranità limitata; che la Nato è un
pericolo e saremmo più sicuri se fossimo militarmente neutrali. Che
imperversano massonerie deviate, complottisti, mafie varie e giornalismo
asservito al potere, così come tanta parte della cultura e delle accademie. Ma
questo non vale solo per noi. L’Europa intera è asservita all’America, anche
quella ex comunista. Come analista Mazzella mi sembra ripetitivo e il più delle
volte carente. Potrebbe usare meglio le sue capacità, per esempio scrivendo di
musica che deve conoscere bene. Il suo pezzo del 14 dicembre sulla prima della
Scala l’ho trovato davvero profondo e originale e mi ha sorpreso positivamente.
Cordiali saluti
Emilio Corsi
ADIACENZA, O DELL’IDEALE
DELLA POESIA
di Massimo Pamio

Adam Vaccaro
Adam
Vaccaro è un poeta militante, cioè un poeta civile, impegnato, che crede
fortemente nella possibilità della parola, fosse anche quella dell’ultimo poeta
della terra, che però quando riesce a dialogare con altri poeti, rende ancora
viva una pratica ormai relegata in un ambito talmente marginale che si potrebbe
definire quasi inesistente nell’attuale società.
Di recente, ha pubblicato un
volume, Percorsi di Adiacenza, Antologia di ricerca critica dei linguaggi della
Poesia e dell’Arte, per Marco Saya Edizioni, 608 pagine dense di osservazioni e
arricchite da due testi prestigiosi, di Elio Franzini e di Donato Di Stasi. Il
corposo testo di Adiacenza si interessa di come vada letto il testo poetico,
problema che in qualche modo, anche se in riferimento all’arte, Gilles Deleuze
si poneva, affermando che bisognerebbe leggere le opere d’arte con il
linguaggio proprio dell’opera d’arte, “Bisogna che i concetti della pittura
vengano tratti nella scrittura in modo esatto, che non siano di tipo matematico
o fisico, che non siano nemmeno della letteratura depositata sul quadro, ma che
siano, come tali, della e nella pittura” (in La pittura infiamma la scrittura,
in Divenire molteplice. Nietzsche, Foucault ed altri intercessori, a cura di U.
Fadini, ombre corte). Si dovrebbe cercare un meccanismo interno alla poesia,
per sviscerarla, questione che potrebbe anche essere formulata così: la poesia
va ascoltata, va intesa così come (e in che modo) essa interroga e si fa
interrogazione diretta al linguaggio stesso, obbligando l’autore a interrogare
se stesso, il lettore a lasciarsi interrogare, in base a ciò che la poesia
stessa tende a formulare come (gridata o sussurrata) domanda, incarnandosi. Insomma,
la poesia come quaestio, come qualcosa di irrisolto - altrimenti non sarebbe
mai nata, se fine e principio di sé stessa. Essa denuncia forse un vuoto inadempiuto,
un tentativo di completezza, una richiesta, un desiderio di essere colmata? No,
è un fenomeno di ciò che in sé non ha pienezza, ma desiderio di pienezza, e che
forse nella parola cerca un ausilio, una soluzione: la poesia è dunque ciò che
viene prima della parola per fondarla? Per Vaccaro sono le “adiacenze”
essenziali, le consonanze con altri poeti, con i messaggi di quei poeti, che
stabiliscono una comunità che palpita, unica, audace (e che fonda la parola). Ogni
poeta, a mio avviso, dialoga con quelli del passato, li attualizza, li rende
propri testimoni e interpreti, e poi interroga quelli del presente in vista
della comprensione (della benevolenza) di quelli del futuro. Non dialoga con
gli ideali, l’ideale vero di ogni poeta è costituito dalle relazioni con i
poeti del passato (pur se errate o ingannevoli), dal fatto di stabilire con
loro una nuova forma di letteratura, che è quella di una ideologia intima,
serrata, il dialogo assoluto tra due solitudini.
![]() |
| Adam Vaccaro |

Vaccaro e Galzio
Il poeta che dialoga con quelli
che lo hanno preceduto fa accadere ciò che ciascun poeta sogna, e cioè che sia
preso in considerazione da quelli del futuro, per essere reso alla vivenza -
una sottovivenza - che rende attuale una nuova possibilità, e si restituisce,
in qualche modo, alla tensione verso l’immortalità, fine che è però reale, e
cioè parlante, condizione del poeta che continua il dialogo al di là di sé
stesso, nella poesia - l’ideale. Ideale è ciò che viene idealizzato proprio con
questa relazione, e diventa il contenuto della forma-poesia. Per Vaccaro,
diventa “adiacente”, poesia che si abbandona, giace e trova a giacere accanto a
sé il tempo, un altro tempo, una forma che si è resa ideale. Poesia ideale o l’ideale
della poesia sono forse una cosa sola, sono quella interpretazione che
resuscita la lettura, e con quella stabilisce la vacuità, l’inutilità del
tempo: la poesia è ideale quando vince il tempo, e per vincerlo ha bisogno non
di un critico ma di un altro poeta, di un lettore che crede nello stesso ideale
formale, soltanto formale, che travalica quei limiti imposti all’essere
mortale. Bisogna far parlare la poesia dall’interno della poesia, secondo
Deleuze, ed è quel che accade quando diventa ideale, dialogo tra poeti. L’immaginario
al potere, il dialogo impossibile che diventa fervido, attualizzazione di
segreti, rivitalizzazione di ipno-giacenze.


Vaccaro e Ravizza
L’ideale è la parola che vola e
torna a volare, mai toccando terra, mai sporcandosi, che si fa anche portatrice
di “idealità”, di valori, di virtù morali, di umanità: questa è l’adiacenza di
cui parla Vaccaro, giacere accanto o sopra o sotto l’egida della virtù morale,
della dignità, del rispetto dell’altro, dell’anelito alla fratellanza, alla
pace, all’amore universale, quando il logos si impregna del connubio tra poeti
in senso morale, etico, ponendo l’ideale poesia come fondamento di contenuti in
cui si esaltano le qualità migliori dell’umano; quando i poeti si fanno uomini
abbandonando la loro veste di poeti, poiché l’ideale ha reso valida l’inseità
della poesia trasmettendone la forma attraverso le adiacenze, la possibilità
dell’uno attuata nel logos evocante dell’altro. Il futuro evoca il passato e lo
chiama a sé facendosi testimone di un dire che diventa necessario, e cioè non
solo attuale, ma attuato. È necessario quel che forse neanche il poeta del
passato sapeva della propria poesia? Non è necessario, è immaginario che si fa ideale.


Vaccaro
L’immaginario al potere si
trasforma, muta, si fa imprendibile per non cadere nel sostanziale. Perché la
parola non deve esaurirsi, perché ci saranno ancora altri dialoghi, altre adiacenze
fin che la poesia esisterà, per unire i poeti.
Il poeta che dialoga con il
passato incontra l’uomo. Nell’ideale i poeti negano la loro identità formale
per incarnarsi di nuovo. Abbandonata la maschera del poeta, i due sono uomini
nella loro idealità, nel loro immaginario che si è reso, nell’incontro di due
anime, necessario. Le loro parole sono immaginario divenuto patrimonio comune,
sono l’attualizzazione di una possibilità che nessuno dei due conosceva prima
del loro incontro fuori del tempo, in un’assoluta libertà, in un’unione
assoluta. È questa la coniugazione di comunicazione e complessità di cui parla
Vaccaro, che torna a far vivere personalità di grandissima caratura come Giò
Ferri, Gilberto Finzi, Lunetta, Luzzi, Gramigna, Majorino, Cara, Ruffato, Di
Ruscio, Leonetti, Porta e tanti altri, conversando con Leopardi, Novalis,
Valéry, Baudelaire, Goethe.

La copertina del libro
Adam
Vaccaro
Percorsi
di Adiacenza
Antologia
di ricerca critica dei linguaggi della Poesia e dell’Arte
Introduzione
e cura di Donato di Stasi
Postfazione
di Elio Franzini
Marco
Saya Ed. 2025
Pagine
608 € 30,00

![]() |
| La copertina del libro |
martedì 16 dicembre 2025
IL TRENO DEI BAMBINI
di
Francesca Mezzadri

Simona Cappiello
Storia, finzione e responsabilità autoriale.
Innanzitutto una precisazione necessaria per i lettori.
L’obiettivo
di questo testo non è “accusare”, ma analizzare criticamente le relazioni
testuali, metodologiche ed etiche tra opere storiche, documentarie e un’opera
di finzione di grande successo editoriale, alla luce delle buone pratiche della
ricerca e della scrittura. Sull’uso delle fonti storiche nel romanzo Il
treno dei bambini di Viola Ardone. Il
presente contributo analizza il rapporto tra fonti storiche, opere di ricerca
precedenti e il romanzo Il treno dei bambini (Einaudi, 2019) di
Viola Ardone. Attraverso una comparazione testuale puntuale, si esaminano
analogie narrative, strutturali e tematiche tra il romanzo e alcuni lavori
storici e documentari pubblicati negli anni precedenti, in particolare I
treni della felicità di Giovanni Rinaldi (2009), il documentario Pasta
nera di Alessandro Piva (2011) e Gli occhi più azzurri. Una
storia di popolo a cura di Simona Cappiello (2011; ed. ampliata 2018). L’articolo non intende formulare giudizi
giuridici, ma interrogare criticamente le modalità di trasformazione della
ricerca storica in narrazione letteraria, il tema della riconoscibilità delle
fonti e la responsabilità etica dell’autore in rapporto al lavoro di studio,
testimonianza e memoria collettiva.
![]() |
| Simona Cappiello |
Letteratura, storia e
memoria
Negli ultimi anni la narrativa
europea ha mostrato un crescente interesse per opere di finzione radicate in
eventi storici reali, spesso legati a traumi collettivi del Novecento. Questo
fenomeno solleva interrogativi non solo estetici, ma anche metodologici ed
etici: quale rapporto si instaura tra ricerca storica e finzione narrativa? Quali
sono le responsabilità dell’autore nel rendere riconoscibile il lavoro di chi
ha precedentemente raccolto fonti, testimonianze e documenti? Il caso de
Il treno dei bambini si colloca pienamente all’interno di questo
dibattito.
Il contesto storico: i
“treni dei bambini”
L’invio di migliaia di bambini
del Mezzogiorno presso famiglie del Centro-Nord nel secondo dopoguerra è un
evento storicamente documentato, promosso in larga parte dal Partito Comunista
Italiano, dall’UDI e da reti sindacali e popolari. Tale vicenda è stata
oggetto di ricerche sistematiche e pluriennali da parte di storici,
documentaristi e ricercatori indipendenti, tra cui i sopracitati Giovanni
Rinaldi, Alessandro Piva, Simona Cappiello. Questi lavori condividono un
approccio fondato su: interviste dirette ai protagonisti ancora viventi,
ricostruzioni archivistiche, attenzione alla dimensione sociale e politica
dell’evento.
Il romanzo Il treno
dei bambini: dichiarazioni d’intento
Il romanzo di Viola Ardone viene
presentato come opera di finzione “ispirata a fatti storici”. Tuttavia, nella
prima edizione (2019) manca una nota finale sulle fonti utilizzate, pratica
consueta in opere narrative fortemente ancorate a eventi reali. Solo nella nona
edizione (gennaio 2020), a seguito di sollecitazioni pubbliche e legali,
compare una breve e generica “Principale bibliografia di riferimento”, non
presente nelle edizioni estere né in alcune edizioni speciali, né nelle
edizioni a seguire.
Metodologia di analisi
comparativa
L’analisi qui proposta si presenta
al confronto diretto tra passi testuali.
Individuazione di
nuclei narrativi coincidenti.
Comparazione di personaggi,
situazioni, immagini simboliche e sequenze narrative. L’obiettivo non è
dimostrare ma valutare la riconoscibilità del “nucleo individualizzante” (per
usare una categoria della critica testuale) delle opere precedenti all’interno
del romanzo.
Corrispondenze
narrative e strutturali
Dall’analisi emergono numerose e
puntuali corrispondenze tra il romanzo e i lavori precedenti, tra cui: la
costruzione del protagonista Amerigo/Americo e la sua storia personale. Il
rapporto con una figura femminile ispirata a Derna Scandali. Episodi specifici
(scarpe strette, cappotti lanciati dal treno, il mare visto per la prima volta,
la mortadella, il lavoro degli stracci). Immagini e sequenze quasi
sovrapponibili nella descrizione. Tali elementi, già presenti in forma
testimoniale e narrativa nelle opere di Rinaldi, Cappiello e Piva, vengono
rielaborati nel romanzo senza un’esplicita attribuzione delle fonti originarie.
Questioni etiche e
scientifiche
In ambito accademico e di
ricerca, l’uso di materiali preesistenti comporta: citazione delle fonti, riconoscimento
del lavoro altrui, trasparenza metodologica. Quando una narrazione di finzione
utilizza in modo sistematico dati, testimonianze e strutture narrative
derivanti da ricerche precedenti, la mancata attribuzione solleva un problema
non solo di correttezza scientifica, ma anche di giustizia simbolica, in
particolare nei confronti di ricercatrici e ricercatori che hanno lavorato per
anni senza sostegno editoriale o mediatico.
Memoria, mercato e
asimmetrie di potere
Il caso in esame evidenzia una
dinamica frequente nel sistema culturale contemporaneo: lavori di ricerca
“poveri”, indipendenti e militanti.
Opere di finzione
sostenute da grandi editori e da un forte apparato promozionale
La memoria collettiva rischia
così di essere veicolata attraverso prodotti di successo che oscurano le fonti
originarie, trasformando il lavoro di ricerca in un semplice “serbatoio
narrativo”. Il presente studio non intende
delegittimare il valore letterario del romanzo Il treno dei bambini, ma
propone una riflessione critica sul rapporto tra narrativa, storia e responsabilità
autoriale. Riconoscere le fonti non limita
la libertà creativa: al contrario, rafforza la credibilità dell’opera e
contribuisce a costruire una memoria condivisa fondata sulla sapienza, non
sulla rimozione.
Bibliografia
essenziale
Rinaldi, G. I
treni della felicità, Ediesse, 2009
Cappiello, S.
(a cura di), Gli occhi più azzurri. Una storia di popolo
Città del Sole,
2011/2018
Piva, A. Pasta
nera, documentario, 2011
Ardone, V. Il
treno dei bambini, Einaudi, 2019
IL LIBRO SALVATO
di Angelo Gaccione
Rendiamo qui pubblicamente onore a quanti hanno contribuito a
salvare dal macero l’antologia poetica Milano in versi. Una città e i suoi
poeti.
Salvare un libro dal macero è un’azione nobile. Un libro non è
solo un insieme di fogli sui quali sono state incise con l’inchiostro delle
parole. Parlo di libri che sono costati fatica e vi è stato profuso qualche
pensiero decente, non di quella inutile paccottiglia che ci invade come una
cloaca e, come dice perentoria la mia amica scrittrice Lodovica San Guedoro che vive in Germania, “non
dovrebbero nemmeno essere stampati”. Io sono più indulgente di lei, in fondo,
se non veicola idee aberranti, razziste, guerrafondaie, un libro di squalità
non fa gravi danni. Anche se so che la loro quantità e il loro peso,
finiscono per soffocare quelli meritevoli, utili; così come un’erba infestante
toglie spazio ed ossigeno a piante sane.
Uno di questi libri condannati al macero lo abbiamo salvato di recente; si trattava di 300 copie (o poco più) rimaste in magazzino dopo la morte del titolare della Casa Editrice. Bisognava liberare il deposito e la sua sorte era segnata. Ci siamo proposti di portarle via noi le copie di quel libro, per farlo circolare. Ho suggerito di proporlo al costo simbolico di 1 euro (si trattava di una antologia poetica di ben 190 pagine, e in cui comparivano testi poetici dei maggiori autori del Novecento, non solo italiani. Fra essi, accanto a Montale a Sereni a Fortini a Tessa a Zavattini, l’ungherese Endre Ady e l’americano Herman Melville.
Mi sarei
incaricato io stesso di fare la prova, prima di lanciare un appello più ampio a
una serie di contatti. Mi intrigava l’idea di verificare le reazioni delle
persone, vedere come avrebbero accolto la proposta. Scelsi gli sfarzosi ed
eleganti negozi della Galleria Vittorio Emanuele qui a Milano, per un primo
assaggio: in fondo i poeti del libro celebravano questa città e i suoi luoghi.
Non ci crederete, ma è stato un fiasco. Come, direte voi, per un solo euro
hanno detto di no? Hanno detto di no, e non mi sono affatto sorpreso. Lo sapevo
di già. La poesia è un prodotto inutile, ma non nocivo, lo ha detto Montale. E
un prodotto inutile, là dove non si fanno che utili, non vale nemmeno 1 euro.
Sì, sono d’accordo, è giusto che non vi abbia cittadinanza.
LA GEOPOLITICA DEI FORSENNATI
di Luigi Mazzella

Podolyak
L’Occidente
che io, in piena e totale solitudine, definisco ripetutamente (troppo: secondo
qualche lettore irregimentato in uno di essi) dei “cinque irrazionalismi”
(ritenendo esiziali per la sua sopravvivenza sia quelli religiosi sia
quelli politici) continua a dare segnali di indubbia follia. In America
del Nord si ripete a cadenze imprevedibili ma ricorrenti il rituale delle
sparatorie nelle Università (l’ultima c’è stata alla “Brown” di Rhode Island);
in Australia il fenomeno è imitato, ma sulle spiagge; in Europa i governanti di
Paesi che dovrebbero “rialzarsi” da una crisi economica preoccupante diventano
“volenterosi di guerre (altrui)” e dissanguano le proprie finanze (e i
cittadini) con l’invio di armi e di denaro a un Paese che negli anni Quaranta
era stato “collaborazionista” di Hitler e delle sue SS, nella persecuzione
degli ebrei e che di recente ha ri-scoperto il fascino malefico del Nazismo,
esprimendolo trucemente con i cosiddetti ”battaglioni Azov”, massacratori di
russofoni e filorussi nel Donbass. A Oslo si dà il premio Nobel per la Pace a
Maria Corina Machado che non ha mai usato né usa mai, nel suo lessico, il
termine “pace”.


Machado
Considero
inutile enumerare gli altri aspetti bizzarri di un’azione politica
dell’Occidente affidata sempre più a “nani e ballerini” (per dirla con Rino
Formica), a ex coatti di periferia urbana, ad incolti e semi-analfabeti
“professionisti del nulla” che spuntano dal vuoto delle loro scolorite
esistenze per governare i popoli. Non posso tacere, però, e
non commentare l’ultimo “parto” politico-filosofico del duo
Zelensky-Podolyak (consigliere preferito e prediletto del primo) non
perché io tema che esso possa produrre un qualche effetto (è vuota ciarla)
ma perché è sintomatico di una forma d’irrazionalismo che entra a pieno titolo
nella follia e va a conforto della mia tesi. Podoloyak ci avverte che se
Russia, Cina, India e America pensano di ridisegnare un nuovo assetto
geopolitico del mondo esso sarebbe, come nel suo canto dice, a piena
voce, Andrea Chenier, “pura fiaba”. Secondo l’uomo-ombra dell’ex protagonista
dell’avanspettacolo ucraino, andrebbero invece cancellati e ridotti al pristino
stato tutti gli Stati che sono nati per annessioni belliche violente. Infatti,
secondo il punto di vista dello stratega Podolyak, cedere territori
occupati a seguito di conquiste con le armi sarebbe (e si deve dedurre: sarebbe
stato, nel corso dei secoli) del tutto illogico: un vero insulto
alla ragione! Esaminiamo le conseguenze
dell’ucraino assunto. L’adesione alla logica, per
fare un esempio, dovrebbe indurre la Meloni, nei suoi abbracci con
Zelensky, a sentirsi solo una rappresentante rionale dello Stato Pontificio.

E ciò
perché l’Italia voluta unita, con scontri bellici e cruenti, da
Piemontesi, Garibaldini prezzolati da Inglesi e Francesi (per fare
dispetto e dare fastidio, e non solo questo, agli Imperi Europei
Orientali) sarebbe il frutto di una illogicità palese,
manifesta e oltraggiosa dal punto di vista della razionalità.
A parte,
infatti, lo Stato Pontificio, anche la Repubblica di Venezia e quella di Genova
(Repubbliche marinare con potenti flotte navali), il Ducato di Milano e la
Repubblica di Firenze, il Regno di Napoli e di Sicilia, avrebbero dovuto (secondo
la dottrina, fatta propria da Zelensky, non è chiaro se lo potrebbero
richiedere ancora), sostenere la logica intangibilità e
incedibilità dei loro rispettivi territori. In altre parole, Trieste, Trento e
il Sud Tirolo, sarebbero stati sottratti illogicamente all’Austria
come Napoli al Regno delle due Sicilie.
Ora, che
Podolyak, sia il più ascoltato consigliere di Zelensky, comico di Kjev, e
dica corbellerie gigantesche è certamente affare che non ci riguarda, ma che la
vecchia Europa, con l’aggiunta della Gran Bretagna, sia ai piedi di un leader
, “nano e ballerino” in odore di neo-nazismo e propalatore di
smisurate fandonie ci preoccupa e ci indigna non poco.
lunedì 15 dicembre 2025
DISAGIO DELLA SCONFITTA
E SCIOPERO GENERALE
di Franco Astengo
Un primo rapido commento all’esito
dello sciopero generale organizzato dalla CGIL nella giornata di ieri 12
dicembre 2025, anniversario della strage fascista di piazza Fontana.
La sinistra
italiana, il movimento dei lavoratori, soffre da tempo di un “disagio della
sconfitta” che rischia di farla cadere sempre di più in quella forma di falsa
coscienza (probabilmente consolatoria) che imputa all’ideologia degli altri le
cause dell’attuale stato di cose. La CGIL proclamando da sola lo sciopero
generale (presumo senza alcun intento soreliano) ha inteso rispondere a questo
evidente disagio partendo da sé, senza alcuna pretesa sostitutiva ma quale
indicazione di una vera e propria “resistenza” quale presupposto basilare del
ritorno ad una identificazione di classe. Questa affermazione riguardante la
resistenza e l’identificazione di classe, della quale vi assumiamo per intero
la responsabilità, prescinde dall’analisi dei risultati concreti che lo sciopero
ha avuto, dall’andamento delle manifestazioni, dai numeri dell'astensione dal
lavoro nelle diverse categorie. Egualmente definire una riconoscibilità di
classe non può ignorare l’articolazione sociale (al limite della scomposizione)
che si sta affermando nella modernità e la sovrapposizione esistente tra una
prevalenza dell’individualismo competitivo e la necessità di iniziativa
collettiva resa urgente dall’asprezza delle contraddizioni in atto. Iniziativa
collettiva che appare ancora minoritaria (ma non marginale) per un insieme di
ragioni, prima fra le quali il deficit democratico ormai evidente nel sistema
politico italiano. Viviamo un momento storico nel quale la conflittualità
prodotta dalle “fratture” materialiste e post-materialiste sta provocando un
rimescolamento tra gli antichi concetti di struttura e sovrastruttura (una
dicotomia “assalita” dalla forme diverse di innovazione tecnologica) e agitando
i contesti sociali senza trovare corrispondenza politica: questo punto di
analisi va ben oltre il perimetro del “caso italiano”, oggi di retroguardia
dopo un lungo periodo nel corso del quale ha rappresentato un vero e proprio
fenomeno d’avanguardia.

Per ricordarcene
I livelli di sfruttamento, l’acuirsi
delle diseguaglianze, lo spostamento materiale dei luoghi di lotta, ci fanno
ritenere in corso un ampliamento e una diversificazione dal punto di vista
sociale della categoria della classe (ad esempio: come si misura sull’intreccio
tra super sfruttamento e necessità di integrazione dei migranti): anche se le
vicende genovesi della settimana scorsa ci hanno ancora una volta indicato la
classe operaia come luogo “centrale” di una possibile iniziativa di reazione. Emergerebbero
tanti altri spunti di riflessione: alcuni non secondari relativi alla struttura
del sindacato in Italia tra i quali l'estinzione della antica prospettiva
unitaria tra i sindacati confederali e la crescita dei sindacati di base
fondati sulla “resistenza della classe”, in una prospettiva di diverso assetto
complessivo del sindacato: ma sviluppare un’analisi compiuta in questo senso ci
porterebbe troppo lontano adesso come adesso e ci costringe a limitarci a
queste prime sommarie osservazioni.

Iscriviti a:
Commenti (Atom)















