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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)
Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)
mercoledì 5 novembre 2025
BASTA CONSUMO DI SUOLO,
BASTA CEMENTO
di Giuseppe Natale

Il vecchio borgo armonico di Crescenzago
In zona
nord-est, Crescenzago (Crescentii ager), antico borgo e comune autonomo
fino al 1923, quando l’Amministrazione fascista l’annesse alla “Grande Milano”
assieme ad altri 10 centri urbani della corona periferica, si raccoglie attorno
al centro medievale dell’abbazia romanica Chiesa Rossa, tra le più antiche
della Lombardia. E si sviluppa lungo il Piccolo Naviglio Martesana, su cui si affacciano
ville e palazzi sette-ottocenteschi di notevole valore storico e artistico.
Privato dell’autonomia amministrativa, e quindi delle relative risorse
economico-finanziarie, Crescenzago - come gli altri ex comuni - diventa un
pezzo del puzzle Milano; e vede entrare in crisi la sua fiorente economia
agricola, artigianale e industriale con i suoi centri nelle tante cascine che
verranno quasi tutte abbandonate e demolite.


Una bella veduta della Martesana

Dagli Anni Settanta/Ottanta del secolo scorso si abbatte su questo territorio (come altrove e quasi dappertutto) un’espansione urbanistica che riempirà di case e casermoni, di torri e palazzoni grandi spazi verdi e preziose aree boschive. Il Piano di Governo del Territorio (PGT 2012, che porta la firma del sindaco Pisapia e dell’Assessora De Cesaris), cancella il concetto stesso di pianificazione insito nell’istituto del Piano Regolatore Generale; ratifica l’urbanistica neoliberistica e rafforza i centri di potere privati. Avanza così il cemento armato e nascono nuovi quartieri-dormitorio. Nel territorio di Crescenzago: Gobba, a ridosso del nodo autostradale della tangenziale est; Adriano, lungo l’omonimo unico asse stradale che collega Via Padova con Sesto San Giovanni. L’area nord-orientale, che si estende tra Sesto San Giovanni / Viale Monza / Via Padova e tra Via Palmanova / linea di superficie della MM2/intersezione del fiume Lambro e Canale Martesana, viene presa d’assalto e coperta di colate di cemento, senza programmazione e realizzazione di servizi sociali primari e di infrastrutture adeguate di mobilità sostenibile pubblica e privata. Rimane addirittura incompiuto il mastodontico piano urbanistico nell’area industriale dell’ex Magneti Marelli: non si realizza il centro sportivo con piscina previsto come onere di urbanizzazione, mentre si costruisce un grande complesso di centri commerciali e si lascia recintato (la proprietà privata è sacra anche quando va contro l’interesse generale in barba all’art. 41 della Costituzione!) un esteso spazio in attesa di costruirvi altre torri. Meno male che ci pensa la natura a riappropriarsi del verde che spunta rigoglioso e selvaggio e lancia un chiaro messaggio di vera “forestazione urbana”! Predomina nelle classi dirigenti la concezione della “Grande Milano” monocentrica: una città bulimica al suo interno, mercificata e turistizzata, da cui allontanare i ceti poveri e popolari (gentrificazione), a vantaggio dei fondi immobiliari e speculativi e dei grandi ricchi.

Speculazione edilizia a Crescenzago

La cittadinanza
attiva e consapevole reagisce e si organizza in comitati di quartiere e di
strada, in reti di coordinamento e mobilitazione promuovendo proteste e
proposte sensate e ragionevoli, esposti e denunce per una Città a misura delle
persone che vi abitano e che vogliono esercitare i diritti di cittadinanza e
non essere considerate sudditanza consumatrice. Una città uguale e vivibile, e
riconciliata con sé stessa e la natura.
In questo
scenario si è svolta, il 22 ottobre scorso, nei locali della Parrocchia Gesù a
Nazareth - Quartiere Adriano- un’assemblea pubblica, nella quale due Assessori (Mobilità
e Sicurezza) e il Presidente del Municipio 2 si sono sbracciati a illustrare le
caratteristiche tutte al positivo della metro-tramvia e della novella strada di
collegamento tra Gobba/tangenziale est e quartiere Adriano.
L’impressione è stata quella di trovarsi di fronte non ad amministratori pubblici, ma a venditori/imbonitori intenti a convincere gli astanti/clienti della bontà dei loro prodotti: una nuova strada, e la metro-tramvia (n. 7) che arriva con una quarantina d’anni di ritardo. Sin dagli Anni Ottanta/Novanta del secolo scorso i comitati chiedevano un collegamento metropolitano sotterraneo tra i quartieri della fascia nord-orientale ed occidentale, e bocciavano con cognizione di causa e determinazione la famigerata “Gronda Nord”, un’autostrada concepita in origine a 6 corsie (tre per senso di marcia!): una vera devastante follia! Grazie a quella battaglia, la Gronda non passa ma viene ridotta a due monconi di strada interi quartieri di aggancio a ovest col nodo tangenziale di Cascina Merlata e a est con quello di Gobba.

Per questo mostro è bastato la SCIA
A Crescenzago e nel quartiere
Adriano resiste l’opposizione degli abitanti: non si devono costruire nuove
strade in città, mentre si deve fermare la furia cementificatrice e non
consumare più suolo - come si evince dai dati annuali dei rapporti
dell’Istituto di ricerca e protezione ambientale (ISPRA). Del resto lo stesso
Consiglio comunale di Milano approvò il 20 maggio 2019 la mozione
“Dichiarazione di emergenza climatica e ambientale” (rimasta sulla carta) con
la quale si chiedeva di adottare “azioni immediate, concrete e risolutive” per
ridurre le emissioni di CO2 e di altri gas, e contenere l’aumento di
temperatura, nonché intraprendere misure ambientalmente efficaci nei settori
dell’urbanistica e della mobilità “sviluppando ulteriormente il progetto di
riforestazione urbana”. Lo conferma l’ultimo rapporto del WWF che dimostra la
necessità e l’estrema urgenza di “adattare le città al rischio climatico”, con
una logica programmatoria “vegetale” attraverso la creazione di “zone
cuscinetto”, rispondendo alla “forza della natura” con “la natura stessa”. Nonostante
l’insostenibilità del traffico su gomma e dell’inquinamento diffuso, gli
attuali amministratori del Comune di Milano insistono nel sostenere la bontà
della costruzione del pezzo di strada tra nodo tangenziale Gobba e Via Adriano.
Ricordiamo che fu proprio il Comitato Cittadini di Crescenzago a protocollare
il 17 luglio 2019, presso l’ufficio del Sindaco e la direzione urbanistica, un
documento di “osservazioni e integrazioni, richieste e proposte” di
aggiornamento del “PGT Milano 2030”, rimasto senza alcuna risposta o riscontro.
Ad eccezione di una sola richiesta: la riacquisizione al Demanio del Palazzo ex
Comune di Crescenzago: qui diamo atto all’assessore al Bilancio e al Demanio di
aver proposto e fatto approvare in Giunta un atto amministrativo che potrebbe
costituire una svolta nella politica locale di tutela dei beni pubblici e
comuni.


La logica dei casermoni

In quel documento si chiedeva inoltre di: accogliere come principio guida del PGT la Dichiarazione di emergenza climatica e ambientale; non costruire nei pochi spazi rimasti liberi per far respirare la città; censire case e vani vuoti mettendoli a disposizione dei ceti poveri e popolari; dotare i quartieri di servizi essenziali; alberare le strade e dotarle di percorsi pedonali sicuri e di piste ciclabili protette; interrare gli elettrodotti e programmare la chiusura degli inceneritori dei rifiuti e l’attuazione di interventi alternativi ecologicamente validi ed efficaci; migliorare il sistema viario senza costruire nuove strade; declassare Viale Palmanova da “autostrada in città “ a semplice via urbana creando in quel tratto raccordi tra le zone 2 e 3; interrare la linea MM2 Cimiano-Crescenzago; allargare la rete dei trasporti pubblici, introducendo linee di bus ecologici in corsie riservate lungo l’intero anello delle tangenziali con fermate di collegamento con la rete di mobilità urbana. Le e gli abitanti dei quartieri Crescenzago, Adriano e Gobba non demordono: il 6 novembre alle 21 assemblea presso la Parrocchia Gesù a Nazareth: ribadire il No alla nuova strada e comunque bloccare gli “effetti devastanti su viabilità e ambiente”.
SCAFFALI

Elena Basile
Elena Basile parla del suo nuovo
libro: Approdo per noi naufraghi (PaperFirst, pagg. 244 € 16,50).
Il
titolo del libro di politica internazionale, pubblicato da PaperFirst,
Approdo per noi naufraghi richiama l’aspirazione principale del
saggio. Chi sono i naufraghi e dove è l’approdo? I naufraghi sono
innanzitutto i componenti del variegato mondo del dissenso, sono la generazione
Z ancora priva di soggettività politica ma unita per la pace e la condanna del
genocidio di Gaza. Sono anche i cittadini che non votano più perché
sfiduciati verso le Istituzioni e la politica. I naufraghi sono inoltre coloro
che votano malvolentieri, non convinti, che si arrendono perché “non c’è
alternativa”. In Italia come in Europa è essenziale creare una istanza
politica (a partire dai Partiti dell’arco costituzionale in grado di
prendere decisioni storiche di condanna del genocidio e del riarmo) possa
rappresentare le esigenze esistenti di contrasto alle politiche neoliberiste e
belliciste dell’imperialismo finanziario USA di cui l’UE è ormai l’appendice
poco dignitosa.
Mi è apparso importante aprire il
confronto su alcuni temi di fondo che potrebbero indicare una direzione di
marcia unitaria, un denominatore comune a prescindere dalle diverse
sensibilità e identità dei partiti e dei movimenti accomunati dal contrasto
alle guerre in Ucraina e in Medio Oriente.
Il libro esamina i fattori
geo-politici, economici, sociologici e culturali che hanno permesso la
trasformazione antropologica di un elettorato incline a premiare la maggioranza
Ursula malgrado il tradimento degli interessi dei popoli europei, il rischio
sempre più presente di un conflitto nucleare e la nostra evidente complicità
col genocidio del popolo Palestinese.
I cambiamenti dello spazio mediatico
e culturale accompagnano la fine della dialettica capitale/lavoro, la nascita
della trappola del debito, la sostituzione del multilateralismo con la
mitizzazione della forza e dell’unipolarismo, la scomparsa della soggettività
operaia e dei corpi intermedi. Il materialismo edonistico trionfa nella società
liquida nella quale vagano individui senza radici e identità ormai privi di
aggregati sociali.

L’Unione Europea segue questa
tendenza generalizzata. Grazie all’approccio Monnet, celebra la cooperazione
settoriale e spazza via le basi di una costruzione politica e federale, crea
una moneta unica in una regione economicamente disomogenea,
risolvendo l’antitesi creditori-debitori a favore dei primi. I falsi europeisti
sostengono una maggiore integrazione che in un quadro economico privo di un
interesse comune e con una governance istituzionale mancante di legittimità
democratica, finisce per accentrare il potere in una burocrazia asservita ai
potentati economici. Cinghia di trasmissione tra lobby e Stati nazionali,
l’UE impone decisioni cruciali di politica economica e di politica estera
superando i meccanismi democratici insisti negli Stati nazionali.
La resa delle classi dirigenti
europee alla militarizzazione del dollaro viene indagata nelle sue molteplici
cause profonde e nei meccanismi contingenti sintetizzabili nel finanziamento
dello spazio mediatico, nel racket degli istituti di ricerca, nell’hakeraggio
dei leader politici, nella sorveglianza dei flussi di denaro destinati
ai paradisi fiscali.
Le prime tre parti del saggio
ritraggono la situazione di fatto con una documentata analisi dei molteplici
fattori in grado di porre fine al liberalismo, al multilateralismo, alle
costituzioni democratiche nate nel secondo dopoguerra, all’Europa sognata da
tanti umanisti. Ne emerge un ritratto impietoso dell’Occidente, artefice
di barbarie e attore dalla parte sbagliata della storia proprio nel momento in
cui ricorre a ideologie che risuscitano antichi miti del passato coloniale, il
suprematismo bianco pronto a riemergere in modo ricorrente nella nostra storia.

La copertina del libro
Il saggio tuttavia nella sua quarta
parte si dedica a definire un possibile approdo. La domanda, ispirata a
Spengler e al suo capolavoro Il tramonto dell’Occidente, a cui dobbiamo
rispondere per ritrovare il cammino smarrito, è: cosa possiamo salvare della
nostra Storia modulata sulla dialettica costante tra civiltà e barbarie? I
capitoli finali affrontano passaggi cruciali relativi alla mediazione con il
Sud globale, al rapporto tra Europa e BRICS, alla possibilità di sfuggire al
tragico destino delle potenze, esemplificato nella Trappola di Tucidide. Al
fine di evitare il conflitto nucleare occorre un cambio di paradigma.
La ragione tecnica separata dalla vita e incline a creare sviluppo dominando la
natura deve essere abbandonata per ritornare a Adorno, alla ragione
legata al vissuto, a sentimento e immaginazione. Di fronte alla minaccia
Nucleare, Climatica, Robotica bisogna chiedersi se la guerra non sia la sovrastruttura
ideologica teorizzata da Hobbes e sortita dalla pace di Westfalia, legata
al nostro particolare percorso storico e non un destino imprescindibile del
genere umano. Le concezioni del politologo tedesco Carl Schmidt e del
barone Carl Von Clausewitz hanno dato alla politica la funzione essenziale di
creare il nemico interno o esterno e di perseguirne il dominio col conflitto.
Di fronte al rischio dell’estinzione del genere umano sul pianeta, è lecito
domandarsi se la pace non debba invece essere assunta come la condizione
essenziale della politica, radicata nel DNA dell’umanità allo stesso modo
di come l’abolizione della schiavitù è entrata nel codice morale statunitense.
Ho cercato, in conclusione, di
stimolare una riflessione sulle opzioni che restano in campo, riferendomi al
dibattito esistente nella sinistra tedesca tra Habermas e
Streeck. L’Europa federale e politica, che nulla ha a che vedere con la
odierna Unione modellata dai trattati di Maastricht e di Lisbona, potrebbe
risolvere il dilemma berlingueriano dell’uscita dalla
NATO? Potrebbe perseguire una politica estera di dialogo con i
Brics, ritornando agli ideali di giustizia sociale e libertà, ai beni comuni,
agli obiettivi di pace e prosperità, agli interessi delle classi lavoratrici europee?
Oppure è possibile sperare in un ritorno allo Stato nazionale? Questa la sfida
politica e culturale affrontata dal testo e che richiederebbe un dibattito
senza paraocchi. L’approdo, col contributo comune, potrebbe man mano profilarsi
all’orizzonte.

PALAZZO MARINO IN MUSICA
XIV Edizione / Stagione 2025

Giulia Bolcato
Che si può fare? La Venezia di Barbara Strozzi

Domenica 9 Novembre 2025, ore 11.00
Sala
Alessi – Palazzo Marino
Piazza
della Scala 2, Milano.
La XIV edizione di Palazzo Marino in Musica, dal titolo Il
concerto sinestetico - Musica, profumo, immagine, propone un viaggio
sinestetico che attraversa epoche e tradizioni, dal barocco veneziano alle
sonorità del tango, dal jazz manouche alle raffinatezze impressioniste. Ogni
concerto diventa così una porta verso un mondo sospeso tra realtà e
immaginazione.
Il sesto e ultimo appuntamento omaggia Barbara Strozzi e la Venezia
seicentesca dove l’artista erige il proprio universo sonoro con una cifra
stilistica di rara raffinatezza. Virtuosa della parola e dell’affetto, la sua
musica è una pittura in movimento, un’architettura di emozioni che trascende il
tempo. Il programma, eseguito dal soprano Giulia Bolcato e dal Remer
Ensemble, restituisce la ricchezza della sua scrittura, in cui la musica non è
solo esperienza acustica, ma fenomeno multisensoriale. Le sue arie e cantate
offrono una drammaturgia interiore, un teatro dell’anima in cui la voce si fa
specchio dell’emozione umana, rivelando la modernità di una compositrice capace
di sfidare i limiti del suo tempo.
con
Giulia Bolcato, soprano
Remer Ensemble
André Lislevand, viola da gamba
Alberto Maron, clavicembalo
I biglietti d’ingresso per il concerto sono gratuiti con prenotazione: a
partire da giovedì 6 Novembre alle ore 9.30 è possibile prenotarli
online sul sito www.palazzomarinoinmusica.it oppure ritirare quelli cartacei
disponibili presso la biglietteria delle Gallerie d’Italia - Milano in
via Manzoni 10.
La rassegna Palazzo Marino in Musica è realizzata in
collaborazione con il Comune di Milano ed è organizzata
da EquiVoci Musicali.
Le Istituzioni coinvolte nel 2025 come partner sono Comune di Milano, MM
Spa, la Centrale dell’Acqua di Milano, Aquaflor e Gallerie d’Italia - Milano,
museo di Intesa Sanpaolo.
La rassegna è sostenuta da Intesa Sanpaolo.
Sponsor tecnico Fazioli.
Palazzo
Marino in Musica
Stagione
2025, XIV Edizione
Il concerto sinestetico
Musica, profumo, immagine
Sala Alessi -
Palazzo Marino
Direzione
Artistica: Davide Santi e Rachel O’Brien
Organizzazione:
EquiVoci Musicali
Social
Media Manager: Gledis Gjuzi
Ufficio
Stampa: Andrea Zaniboni
Tel.
349 8523022 | ufficiostampa@palazzomarinoinmusica.it
www.palazzomarinoinmusica.it
Facebook,
Instagram, YouTube: Palazzo Marino in Musica
martedì 4 novembre 2025
LE MIRE USA SUL VENEZUELA
di
Franco Astengo
Tra la nozione di
imperialismo e pacifismo.
In tempi di "complesso tecnologico autoritario" e di
post-democrazia il dipanarsi della matassa delle vicende geopolitiche a livello
globale sembra costringerci a riprendere in mano vecchie nozioni della dottrina
ottocento-novecentesca. L'atteggiamento che gli
USA stanno tenendo verso il Venezuela rispolvera l'antica dottrina di Monroe
sull'America Latina "cortile di casa": in più questa volta
l'imperialismo USA sembra esprimersi in maniera diversa rispetto a quella
"golpista" usata negli anni passati (rimane emblematico il caso
cileno del 1973) mostrandosi piuttosto nell'espressione di una logica di
superpotenza militare. Gli USA però non sono
soli in questo senso e in Europa stiamo vivendo momenti simili a quelli del 1914.
Sembra proprio il caso di riprendere l'antica nozione
di imperialismo anche perché come vedremo meglio essa è tornata, in questo
periodo, di prepotente attualità.
Da ricordare in
premessa due punti:
1) La nozione di
“impero” si risolve nella definizione di una forma politica che associa un
comando universale al mantenimento di una varietà di realtà politiche
subordinate. L’idea di impero attraversa la storia politica dell’Occidente e
spesso si presenta quando un’organizzazione politica pare ritrovarsi in una
fase particolarmente critica del proprio sviluppo;
2) Ciò accadde
proprio nel 1914 quando le due forme imperiali presenti sul suolo europeo:
quella coloniale (Francia, Gran Bretagna) e quella fondata sull’imperio al riguardo
delle nazionalità (Imperi Centrali, Impero Russo, Impero Ottomano) si trovarono
proprio a fare i conti con la crisi del proprio sviluppo e cozzarono fra di
loro al fine di stabilire l’indirizzo storico prevalente per il futuro.
L’Impero Russo per ragioni “storiche” si schierò con gli imperi coloniali ma
quello fu un fatto contingente. Tra l’altro la crisi dell’Impero Russo era
ormai arrivata a uno stadio così avanzato che, come tutti ricordano quella
struttura statuale non arrivò al termine del conflitto crollando in anticipo
sotto i colpi della rivoluzione, prima “democratica” e poi bolscevica.
Riprendiamo però il
filo della definizione di imperialismo.
L’uso e la diffusione
del termine risalgono agli ultimi decenni del XIX secolo, all’epoca cioè della
rapida spartizione fra gli Stati Europei di buona parte dell’Asia e
dell’Africa. Il dibattito sull’imperialismo si
articolò attorno a diverse possibili interpretazioni del fenomeno, di tipo
economico, sociologico, politico. Le
interpretazioni di carattere economico furono influenzate dalla dottrina,
diffusa nel XIX secolo, della caduta tendenziale del saggio di profitto dovuta
al sottoconsumo secondo gli economisti liberali o alla crescente composizione
organica del capitale secondo l’interpretazione marxiana.
Nell’interpretazione
di un economista appartenente alla sinistra liberale inglese, J. Hobson la
spinta imperialista poteva essere disinnescata attraverso una serie di
interventi volti ad aumentare il potere d’acquisto delle masse.
Per gli studiosi di scuola
marxista il nesso tra capitalismo e imperialismo si presentava ben più
profondo, se non addirittura necessario. Hilferding,
Rosa Luxemburg, Bucharin e Lenin, pur nella diversità delle loro accentuazioni,
notarono come il capitalismo fosse stato capace di ritardare il suo inevitabile
crollo per mezzo dell’espansione imperiale (sia al riguardo delle colonie, sia
rispetto alle nazionalità), trovando così la strada per far accogliere i
prodotti in eccesso e ricevendo materie prime e mano d’opera a buon mercato.
Fu Lenin a sostenere
con maggiore decisione, nel suo Imperialismo, fase suprema del
capitalismo (1917) che gli Stati capitalisti erano stati spinti
all’espansione imperiale da un’esigenza di sopravvivenza. Questo fatto aveva reso inevitabile il loro scontro come
stava - appunto - avvenendo nel corso della prima guerra mondiale: i partiti
socialisti francese e tedesco, votando i crediti di guerra, avevano dimostrato
di non aver compreso il livello decisivo dello scontro allora in atto,
anteponendo il loro nazionalismo all’analisi relativa proprio al livello
“imperiale” del conflitto.

Le hanno dato il Nobel... povero Nobel
Proprio come accade
adesso nell'ignorare i termini veri del conflitto e si svia l’attenzione da
quello che è lo scontro in atto, oggi, tra le superpotenze.
L’accumulo proprio di
“politica di potenza” verificatosi nel corso dell’ultimo decennio nel confronto
globale ha fatto nuovamente emergere, infatti, una dimensione nel rapporto tra
USA e Cina di tipo assolutamente imperiale cui sta tentando di unirsi la
Russia: tutto questo avviene in conclusione della fase post-caduta del muro di
Berlino nella quale gli USA avevano svolto la funzione di "gendarme del
mondo" e di "esportatore della democrazia" mentre il mondo
islamico era stato scambiato per l'unico possibile soggetto di contrasto.
Oggi nelle condizioni
mutate sarà difficile che l'emergere dei BRICS possa allentare questa stretta
nell'idea del multilateralismo, mentre l'alleanza dello SCO sembra confermare la
tendenza "imperiale" con la formazione di un blocco tra Asia Centrale
e Impero di Mezzo molto forte militarmente e provvisto di una potenza atomica
espressa da una pluralità di stati.
Un altro punto di
riflessione dovrebbe riguardare l'arrestarsi di quel processo di cedimento di
sovranità dello "Stato-Nazione" che sembrava aspetto decisivo nella
fase di globalizzazione pre-crollo del 2008.
L’Unione Europea priva di una propria dimensione politica non
riesce proprio a sviluppare una qualche forma di autonomia rispetto all'orbita
occidentale dalla superpotenza USA, tanto cara alla destra italiana e al suo
governo.
Il ritorno alla dimensione imperiale rende quindi di
pressante attualità il recupero della nozione pacifista da parte delle sinistre
alternative e di opposizione a questo tipo di logica del tutto distruttiva.
Nozione pacifista da recuperare attraverso proposte
riguardanti prima di tutto lo spazio politico europeo tornando a pensare al
disarmo e alla creazione di "zone neutrali" al centro del continente
oltre alla promozione della democrazia affrontando anche il tema della
concezione della riduzione della politica in una forma semplificatoria di
semplice e pura determinazione del "comando".

GLI UOMINI
E LA RESPONSABILITÀ DI GENERE
di Gabriella Galzio
“(...) sono rimasti uccisi 40
combattenti e tre civili beduini. Almeno tre donne druse sono state stuprate e
assassinate”.
Dalla lettura
di questi conflitti in Siria spicca l’asimmetria di come gli uomini vengano
(solo) uccisi e le donne stuprate e uccise. A saperla leggere, questa
asimmetria è la conferma che esiste una responsabilità di genere. Ma molti
uomini fanno fatica a riconoscerla. La guerra non è un universale, intanto
perché è storicamente datata, ovvero fa la sua comparsa nella storia con la
patriarcalizzazione; poi, non è un universale perché è un fenomeno di genere,
ovvero un marchio di fabbrica degli uomini, proprio come il calcio. E quegli
uomini che controbattono che anche le donne sono guerrafondaie e giocano a
calcio (poiché omologate ai modelli maschili), possono dirmi che anche le donne
stuprano? o che commettono femminicidi? Ma la vera questione interessante è
perché gli uomini non riconoscono il loro marchio di fabbrica, la loro
responsabilità di genere? Non à questione da poco, perché solo se anche gli
uomini riusciranno a schiodarsi dalla visione universalistica di cui hanno
ammantato i loro fenomeni di genere, si potrà avviare un processo di
cambiamento della civiltà. Ritengo, infatti, anche sulla scorta di studi
antropologici sulle società indigene, che gli uomini, in un contesto diverso da
quello patriarcale, possano essere pacifici e non violenti verso le donne. Ma l’energia
maschile va riconosciuta in quanto maschile e incanalata a fiorire anziché
distruggere. Questo almeno farebbe una buona madre.
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