UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 21 novembre 2025

IL POTERE CI FA SCHIAVI
di Chiara Landonio


 
Essere di fronte alla natura e non agli uomini, è la sola disciplina. Dipendere da una volontà estranea vuol dire essere schiavi. Ora, è questa la sorte di tutti gli uomini. Lo schiavo dipende dal signore e il signore dallo schiavo. Al contrario, di fronte alla materia inerte non vi è altra risorsa che pensare”. Così scriveva Simone Weil nel primo Quaderno, le cui prime annotazioni risalgono al 1933-34 quando Hitler era già salito al potere e si toccava con mano la deriva autoritaria che pervadeva l’Europa. Mi pare che sia un pensiero quanto mai attuale, che possa aiutarci ad affrontare i momenti terribili che stiamo vivendo. Il volto totalitario dell’occidente dall’Europa sta a gran passi invadendo ogni Paese e anche il nostro con divieti, decreti legge, tesi a limitare ogni libertà a cui eravamo abituati. Questa è la realtà incontrovertibile che abbiamo di fronte, ma ancora dibattiamo se sia vera o meno questa visione, dubitiamo che una tal legge passi, parliamo di incostituzionalità di certi decreti e firmiamo petizioni, in cui si chiede all’Unione Europea o alla Meloni o a Mattarella che rompano le relazioni commerciali con Israele o che rispettino i diritti democratici. Stiamo solo perdendo il nostro tempo perché la realtà è che la grande bestia che pensavamo di cavalcare, di poter domare, ci ha disarcionati e mena colpi in tutte le direzioni, distrugge il sud del mondo e ora affamato viene anche qui a prendere il cibo di cui abbisogna. Chiedere qualcosa alle nostre istituzioni significa oggi chiedere al boia di avere pietà di noi. Essere schiavi significa dipendere da tale potere, che si può manifestare come dedizione ad esso, come sottovalutazione del pericolo o come scontro frontale.



La schiavitù dipende dall’infanzia sociale, dal nostro considerarci sempre come figli rispetto al potere interpretato come Padre o come Dio. Se il potere è Padre o Dio allora il suo operato è inconoscibile, è immerso nel segreto, non vale a nulla il nostro no, perché il Padre ci sovrasta, la sua superiorità ci impedisce qualsiasi via di fuga, può punirci a suo piacimento tenendo in una mano il diritto e nell’altra la violenza. E se nel tempo di pace che abbiamo vissuto l’ombra del padre si era affievolita, coperta da una legge che appariva certa, quasi fossimo usciti dalla nostra infanzia, ora torna il tempo mitico e il Padre vuole bandiere, parla di Patria e di orgoglio nazionale, ci indica il nemico, ci racconta favole che atterriscono, ci intima il silenzio, l’ordine e il rigore per sopravvivere al pericolo che ci invade mentre non aspetta altro che i fumi degli olocausti, il profumo di carne bruciata. Il padre vuole il sacrificio dei figli per poter rimanere Padre, ci dice che vuole i campi coperti di sangue oggi per assicurare in futuro messi abbondanti, è Crono che mangia i suoi figli, è il Dio che chiede il sacrificio di Isacco o di Ifigenia o di qualunque giovane per rinsaldare la comunità.



I figli mitici hanno risposto alla violenza del Padre o bruciandosi le ali, tentando di superare i limiti imposti dal padre alla ricerca di una liberazione effimera, ma il più delle volte reagendo con la stessa violenza subìta e poi passando il testimone al mondo degli uomini dove di genitore in figlio la violenza è il filo di spada che trapassa tutti, e che si tramanda di generazione in generazione. Il figlio subisce violenza e ne sente la colpa fin nelle viscere: se il genitore mi punisce devo aver commesso qualcosa di male e con questa frase scolpita nella carne fa proprio il male paterno trasformandolo in violenza che agirà di nuovo o nella sottomissione continua ad essa. Così accade nel Vangelo quando Pilato di fronte ad una folla sobillata e inferocita mostra Gesù, il figlio dell’Uomo e Barabba, il figlio del padre, l’omicida: Barabba viene liberato, la massa preferisce la violenza che conosce piuttosto che la Parola nuova. Cosa significa Figlio dell’Uomo se non il Dio che rinuncia al proprio potere per farsi carne, nuda vita che può essere messa a morte, Dio che si fa completa fragilità? E forse sta proprio qui la risposta: spezzare la catena violenta della storia può avvenire solo quando l’uomo violentato non nasconderà più la macchia sotto la corazza di un’ulteriore violenza, non la renderà una propria colpa, ma la accetterà come fragilità estrema, la affronterà come dolore che ci unisce, la offrirà agli altri come comunione. Solo allora potremo stare di fronte al potere come uomini liberi, non saremo più soggiogati dalle parole d’ordine, dai rumori di guerra, ma saremo capaci di parole nuove, di parole semplici e non ci piegheremo più di fronte agli altri uomini come schiavi e la loro violenza sarà tempesta o tsunami o comunque natura inerte che ci viene contro e che affronteremo senza colpa.

AUDITORIUM PIO ALBERGO TRIVULZIO
Concerto Note di Colore





LA LITO-LATTA AD APICE 




I TEST NUCLEARI TORNANO DI ATTUALITÀ    
di Alessandro Pascolini - Università di Padova



Grande risonanza e attente analisi ha ricevuto il messaggio del presidente Donald Trump del 30 ottobre, contenente l'affermazione: "A causa dei programmi di sperimentazione di altri paesi, ho incaricato il Ministero della guerra di iniziare a testare le nostre armi nucleari allo stesso livello." Abbiamo imparato che le dichiarazioni del presidente americano non vanno prese alla lettera e che spesso contengono "verità alternative", per cui il suo intervento, forse, intendeva riaffermare la forza e preparazione della forza nucleare degli Stati Uniti a fronte delle altre potenze nucleari. Comunque, la pubblicità all'intervento di Trump ha riacceso l'attenzione dell'opinione pubblica sui test nucleari, eclissata dalla lunga moratoria di tali esplosioni. È importante sottolineare che la forza nucleare di un paese si fonda su tre elementi fondamentali, tutti indispensabili: le testate esplosive, i loro vettori e i sistemi di comando e controllo nucleare. Per garantire la credibilità della strategia nucleare di ciascun paese occorre che ognuno di questi elementi venga mantenuto efficiente, affidabile, sicuro e protetto da interferenze esterne, con i potenziamenti resi possibili dagli sviluppi tecnologici. Questo richiede una manutenzione e un ammodernamento continui, con specifiche verifiche sperimentali e simulazioni. Mentre i test dei vettori (missili, aerei, ...) e dei sistemi di comando e controllo avvengono regolarmente senza limitazioni legali, i test esplosivi delle testate sono limitati da trattati internazionali, bilaterali e norme unilaterali, oltre a rimanere inaccettabili all'opinione pubblica: una loro ripresa avrebbe gravissime ripercussioni a molteplici livelli.

 
Le tre fasi dei test nucleari
Una tipica arma termonucleare attuale è composta di circa 6000 parti, di cui solo 300 riguardano il complesso dei componenti nucleari, comprendente sia il primario a fissione che il secondario a fusione. La messa a punto degli ordigni richiede quindi lo sviluppo delle tecnologie necessarie per la funzionalità dei singoli componenti e serie di verifiche ed esperimenti, fino al raggiungimento delle caratteristiche previste. Tutte le parti non nucleari vengono ovviamente studiate in laboratori con i metodi specifici delle tecniche individuali, ma lo sviluppo delle armi a implosione richiede anche di provare effettivamente esplosioni a piena potenza, per verificare il corretto accoppiamento delle onde d’urto prodotte dalle lenti di esplosivo con la compressione del materiale fissile, e per controllare il preciso sviluppo dei vari stadi delle armi con componenti a fusione. Dal 1945 al 2017 (data dell'ultimo test nord-coreano) le potenze nucleari hanno effettuato complessivamente 2412 test nucleari esplosivi per un'energia equivalente a 510 Mton di esplosivi convenzionali, circa 50 mila volte quella della bomba che ha distrutto Hiroshima. La prima fase di sperimentazione, con test nell’atmosfera a varie quote, nello spazio, in mare e al suolo, ha avuto gli obiettivi: studiare gli effetti delle esplosioni nelle diverse condizioni ambientali e sulle varie strutture civili e militari; verificare la fattibilità di armi di nuove concezioni; miniaturizzare le testate per impieghi con missili e artiglieria. La seconda fase si è basata su test sotterranei, in gallerie minerarie dismesse o, preferibilmente, in pozzi scavati ad hoc (pozzi larghi un paio di metri e profondi fin oltre un kilometro). La prima esplosione sotterranea, americana, ebbe luogo nel 1951. Ulteriori test portarono presto gli scienziati a concludere che le prove sotterranee avevano un valore scientifico di gran lunga superiore a tutte le altre forme di sperimentazione, essendo meglio controllate e fornendo maggiori informazioni. Inoltre, erano più accettabili all'opinione pubblica e avevano minore impatto ambientale e sulle relazioni diplomatiche. Francia e URSS svilupparono la tecnologia necessaria nei primi anni '60, mentre gli inglesi utilizzarono strutture americane.
Questa fase, durata fino alle moratorie unilaterali degli anni '90, ha compreso: campagne pluriennali per la messa a punto e verifica di nuovi concetti per una varietà ordigni; lo sviluppo di tecnologie per esplosioni a scopo civile; lo studio dettagliato delle proprietà della materia nelle speciali condizioni di super-criticità e alle temperature e pressioni dell’esplosione; la taratura di codici per simulazioni cibernetiche del comportamento dei componenti delle varie armi. La presente terza fase impiega simulazioni ed esperimenti non esplosivi o subcritici in speciali laboratori, a verifica dello stato operativo delle armi della riserva; per il controllo dell’efficienza, resa e sicurezza delle armi in condizioni marginali; per lo sviluppo di nuove versioni e ammodernamenti dei modelli base; per studiare proprietà particolari dei materiali fissili e dei processi coinvolti nella fusione nucleare.
 

La sperimentazione attuale
Mantenere l’arsenale nucleare sicuro, inviolabile e affidabile rimane una necessaria priorità per gli stati con armi nucleari, anche per estendere al massimo la vita operativa degli ordigni. Mentre non sono rese note le specifiche attività svolte a tal fine dagli altri paesi nucleari, la National Nuclear Security Administration (NNSA) del Dipartimento dell’energia americano presenta biennalmente al Congresso il suo programma di gestione e governo dell’arsenale nucleare (Stockpile Stewardship and Management Plan - SSMP), un ponderoso e dettagliato documento che permette di comprendere la varietà delle operazioni necessarie, la molteplicità delle strutture coinvolte, la forza lavoro e i costi necessari. Queste informazioni fanno intuire, per analogia, i possibili programmi delle altre potenze nucleari.
Il programma SSMP mira a una comprensione scientifica sufficientemente dettagliata del processo esplosivo nucleare per identificare, comprendere e correggere eventuali anomalie che potrebbero emergere durante il ciclo di vita delle armi. La valutazione dell’arsenale nucleare si fonda essenzialmente su due attività scientifiche: la sperimentazione e la simulazione. La simulazione delle esplosioni nucleari si basa sull’enorme quantità di informazioni raccolte nei test esplosivi e sulle precise conoscenze scientifiche raggiunte in laboratorio sui diversi processi di un’esplosione nucleare e sui materiali. 
I progressi nello sviluppo dei codici e nei metodi numerici consentono complesse simulazioni tridimensionali ad alta fedeltà per modellare fenomeni dinamici come la turbolenza e l’idrodinamica complessa. La necessità di un'enorme potenza di calcolo ha portato allo sviluppo del calcolo 'exascale', un’architettura parallela basata su nodi composti sia da CPU (central processing unit) che da GPU (graphics processing unit). Il primo sistema exascale del laboratorio di Livermore, El Capitan, impiega oltre 11 milioni di processori, raggiunge 2 exaFLOPS (miliardi di miliardi di operazioni in virgola mobile al secondo), e dispone di 5,4 petabyte (milioni di miliardi di byte) di memoria, per una potenza di 30 MW. La sperimentazione fornisce dati reali sui processi fisici e controlli empirici per migliorare e validare i modelli di simulazione, informazioni essenziali per definire i codici di progettazione e per prevedere le prestazioni delle armi nucleari. Esperimenti 'idrodinamici' esplorano la fisica dell’implosione dall’innesco all’inizio della reazione a catena e forniscono dati sul comportamento di sistemi dinamici in scala reale, in particolare sul funzionamento della fase di compressione e la regolarità spaziale e temporale dell’implosione. In un test idrodinamico, esplosivi ad alto potenziale detonano attorno a una massa di materiale inerte (U-238 e Pu-242) al posto dei corrispondenti isotopi fissili, all’interno di una camera spessa e a tenuta d’esplosione.  Quando l’intensa onda d’urto colpisce la massa, il comportamento del materiale viene misurato da apparecchiature diagnostiche avanzate (anche impiegando raggi X e neutroni) installate in tutta la camera. Il termine 'idrodinamico' è dovuto al fatto che l’esplosione è sufficiente a portare il materiale campione allo stato fluido, ma non di plasma. Si chiama invece 'idronucleare' un test in cui si fa implodere del reale materiale fissile, ma non si mantiene la condizione di ipercriticità tanto da raggiungere un’esplosione di piena potenza: l’energia rilasciata va da misure piccolissime, anche inferiori a milligrammi equivalenti di TNT, fino a qualche kilogrammo equivalente. In queste condizioni il materiale raggiunge la temperatura di fusione, ma non quella di sublimazione e non si crea un plasma. Per evitare una piena esplosione si sostituisce parte del nocciolo nucleare con materiale non fissile conservando le dimensioni geometriche; lo sviluppo della catena neutronica viene misurato con precisione e scalato per determinare quello della bomba completa. In pratica la strumentazione e le procedure per un esperimento idronucleare non differiscono da un test sotterraneo a piena potenza, per cui gli Stati Uniti hanno sospeso questi test con la firma del Trattato CTBT. Esperimenti subcritici, ossia su materiali nucleari speciali in condizioni tali da non raggiungere la criticità e iniziare una reazione a catena, condotti presso il Nevada National Security Site, permettono di studiare la risposta dei materiali fissili (in particolare plutonio) a onde di compressione di diversa potenza e le loro proprietà -anche non-nucleari - in situazioni eccezionali. Per lo studio dei regimi fisici che si susseguono nelle armi a fusione (trasporto della radiazione, implosione del secondario, ignizione e resa) si fa ricorso anche a processi di fusione inerziale: piccole capsule, per lo più sferiche e a più strati, contenenti deuterio e trizio vengono illuminate istantaneamente da intensissimi impulsi laser da molte direzioni in modo da raggiungere per compressione densità temperature sufficienti a innescare le reazioni di fusione. Il più grande di questi apparati, l’enorme National Ignition Facility, a Livermore, concentra sul bersaglio l’impulso di 192 giganteschi laser operanti nell’ultravioletto, fino a energie superiori a 1 MJ (https://ilbolive.unipd.it/it/news/raggiunta-lignizione-fusione-termonucleare). Il programma americano è particolarmente imponente: vi sono impegnate oltre 62800 persone presso vari laboratori del Dipartimento dell'energia e nel 2025 ha richiesto circa 6 miliardi di dollari.


 
Trattati per la limitazione dei test nucleari
La sperimentazione attuale e i programmi di sviluppo (e di non-proliferazione) devono rimanere all'interno dei limiti posti dai vigenti trattati. La massiccia successione di esplosioni nucleari atmosferiche comportò la produzione di un crescente fallout radioattivo su tutto il pianeta. Associazioni di scienziati iniziarono a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle potenziali conseguenze sanitarie, mentre organizzazioni pacifiste si battevano con campagne pubbliche per il bando dei test e l’eliminazione delle armi nucleari. L’evento che definitivamente sensibilizzò l’opinione pubblica mondiale sulle esplosioni nucleari, forzando i governi a prendere posizione, fu l’esperimento americano Castle Bravo del marzo 1954, che contaminò una vastissima zona del Pacifico. Dopo varie sterili iniziative diplomatiche, nel luglio 1963 iniziarono a Mosca seri negoziati fra UK, URSS e USA e, non riuscendo a risolvere il problema di una soddisfacente forma di verifica per i test sotterranei, il 5 agosto del 1963 si giunse al Trattato di bando parziale dei test (Partial Test-Ban Treaty - PTBT), che entrò in forza il 10 ottobre 1963. Il trattato proibisce esplosioni nucleari nell’atmosfera, nello spazio esterno e sott’acqua ma non limita i test sotterranei. Il PTBT ha attualmente 125 parti (10 firmatari non l’hanno ancora ratificato); fra i paesi con armi nucleari, non hanno aderito al trattato Cina, Corea del Nord e Francia; la Francia continuò i test nell’atmosfera fino al 1974 e la Cina fino all’ottobre del 1980; i test nord-coreani sono stati tutti sotterranei. Nel 1974 l'URSS e gli USA raggiunsero trattati bilaterali per limitare la potenza dei singoli test sotterranei a una resa massima di 150 kton, sia per obiettivi militari (Threshold Test Ban Treaty - TTBT) che per esplosioni a scopo pacifico (Peaceful Nuclear Explosions - PNE), con un limite di 1500 kton per la resa aggregata di un gruppo di esplosioni di un dato programma pacifico. La ratifica dei trattati (11 dicembre 1990) richiese la stesura di protocolli con rigorose forme di controllo e verifica, incluse ispezioni in loco per test di resa prevista superiore a 35 kton. L'obiettivo di un bando totale dei test venne mantenuto vivo da organizzazioni di scienziati e movimenti pacifisti e ambientalisti e ripetutamente richiesto da gran parte dei paesi non nucleari nelle conferenze di revisione del Trattato di non proliferazione (NPT) e del PTBT. Dal 1990, azioni a livello diplomatico e della società civile portarono alla sospensione unilaterale dei test, prima dalla Russia (ottobre 1991), seguita dalla Francia (aprile 1992) e da un riluttante George H.W. Bush (ottobre 1992), coinvolgendo necessariamente anche i recalcitranti inglesi. Nel nuovo contesto politico internazionale, la Conferenza per il disarmo, dopo quasi tre anni di intense trattative e complessi negoziati, giunse il 22 agosto 1996 alla redazione di una bozza definitiva del Trattato per il bando completo dei test nucleari (Comprehensive Test Ban Treaty - CTBT), che, grazie a un escamotage diplomatico per superare il veto dell'India, venne approvato dall'Assemblea generale dell'ONU e aperto alla firma il 24 settembre 1996. A oggi, il trattato è firmato da 187 stati e ratificato da 178, tuttavia, come previsto dall’articolo XIV, il CTBT entrerà in vigore solo dopo l’avvenuta ratifica da parte di 44 stati con capacità nucleare avanzata. Fra questi, mancano le ratifiche di Cina, Egitto, Iran, Israele, Russia e Stati Uniti, mentre Corea del Nord, India e Pakistan non l'hanno neppure firmato (http://ilbolive.unipd.it/it/blog-page/protetti-dal-trattato-che-non-ce).



Il CTBT vieta “qualsiasi esplosione di prova di armi nucleari o qualsiasi altra esplosione nucleare”, ma non fornisce una definizione tecnica precisa di cosa costituisca un’“esplosione”. Ciò ha lasciato spazio a interpretazioni contrastanti, portando a una divergenza significativa tra le potenze nucleari. Gli Stati Uniti sostengono da tempo il cosiddetto standard dello “zero yield”, secondo cui il trattato proibisce qualsiasi esperimento che produca una reazione a catena nucleare autosostenuta, per quanto piccola o breve, e spesso hanno sostenuto che altri stati producano test idronucleari. Per assicurare l’implementazione del trattato, incluse le forme di verifica e controllo, è stata creata una Commissione preparatoria dell’Organizzazione per il CTBT (Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty Organization - CTBTO) con sede a Vienna. La commissione ha sviluppato una rete globale di rilevamento (International Monitoring System - IMS) con 337 stazioni per segnali sismici e idro-acustici, rivelatori di radionuclidi e di infrasuoni, a coprire tutto il mondo.
Il sistema internazionale di controllo è in grado di individuare e riconoscere esplosioni nucleari anche di limitata resa; questa alta sensibilità del sistema IMS ci assicura della sostanziale tenuta del CTBT, dato che la moratoria dei test viene rispettata da tutti i paesi e che gli unici test dal 1998 sono stati quelli della Corea del Nord. Il CTBT continua a svolgere un ruolo cruciale nella complessa e, per troppi versi, insoddisfacente situazione attuale, garantendo la stabilità del sistema di protezione dal disastro nucleare. La posta in gioco è estremamente elevata: se venisse meno la norma internazionale che, da quasi trent’anni, scoraggia qualsiasi sperimentazione atomica, l’equilibrio globale ne uscirebbe profondamente compromesso. È probabile che un singolo cedimento aprirebbe la strada a una serie di test da parte di altre potenze nucleari, alimentando una nuova e pericolosa corsa agli armamenti, questa volta orientata a costruire testate sempre più avanzate. Un simile scenario non solo minaccerebbe la stabilità internazionale, ma intaccherebbe anche l’intero sistema di non proliferazione faticosamente costruito negli ultimi decenni.
Affrontare questa sfida è dunque un compito politico e diplomatico oltre che tecnico: richiede trasparenza, dialogo e un impegno rinnovato a preservare una delle norme sul controllo degli armamenti più importanti dell’età contemporanea. Solo così si potrà impedire che la crescente diffidenza tra s
tati finisca per sgretolare uno dei pilastri della sicurezza globale.
 

 

 

 

GAROFONI INOPPORTUNI…
di Luigi Mazzella


F. S. Garofani
 
Chi ritiene verosimile la mia supposizione, secondo cui il Partito Democratico americano, subendo l’influenza determinante delle maggiori strutture burocratiche di quel Paese (CIA, FBI, PENTAGONO) e l’indirizzo guerrafondaio dell’apparato delle finanze e dell’industria delle armi e chi, conseguentemente, considera che i cosiddetti “servizi deviati” dei Paesi Europei fanno in modo che anche a elezioni statunitensi concluse e a partito Democratico  sconfitto la “guerra continui” in altri fronti, soprattutto  del vecchio Continente, comprende agevolmente quanto inopportuna sia stata giudicata dai nemici nordamericani di Trump la frase del Consigliere di Mattarella, Francesco Saverio Garofani, sulla necessità di dare uno scossone al governo di Giorgia Meloni.
- Ma come… - avranno detto i seguaci degli Obama, dei Clinton , degli spioni, ortodossi e deviati, dei generali fieri e pluridecorati, il Garofani presidenziale italiano non ha capito o non ha dato il giusto valore alla vera, grande operazione di Joe Biden: acquisire al fronte sinistrorso e antiputiniano  dei Democratici ormai “transnazionali” e operanti in sintonia nell’intero Occidente anche un partito dichiaratamente di destra, ponendolo, oltretutto, in posizione ambigua (e inaffidabile) nei confronti di Trump? 
Eppure il consigliere quirinalizio doveva sapere che Giorgia Meloni, con il fido Crosetto di Cuneo e il fedele assenziente Tajani, dimentico delle posizioni del suo ex Capo, non erano emuli di Viktor Orban. Dopo tutto in una cordata di amici degli Azov di Zelensky, i neo fascisti italiani ci stavano meglio della imprevedibile e inaffidabile Schlein con i suoi democratici italioti passati da una sognata e mancata rivoluzione a una rissa quotidiana, sterile ma rumorosa!
Ovviamente: il richiamo all’ordine nel partito della Sinistra Transnazionale sconfitta da Trump ha funzionato a dovere: il caso è stato dichiarato ufficialmente chiuso da sinistra e da destra. La vicenda si è considerata brillantemente risolta. Gli Italiani di destra e di sinistra assisteranno, quindi, unicamente allo scontro tra altri poteri dello Stato: quello tra l’Esecutivo e i Magistrati. 

A VALLO DELLA LUCANIA
Con Guarracino al palazzo della Cultura.





A BAGNO A RIPOLI PER LA PACE




giovedì 20 novembre 2025

LA PREVALENZA DEL PIÙ FORTE
di Franco Astengo
 


La democrazia italiana fondata sulla Costituzione Repubblicana si trova su di un piano inclinato e può scivolare pericolosamente. Questa è la sensazione che si ricava analizzando le vicende dell'ultimo decennio. Una sensazione ancor più acuita dai fatti che stanno accadendo attorno a noi partendo dal quadro generale che vede l’establishment del nostro Paese allineato alle logiche di guerra che stanno prevalendo a livello planetario. Logiche di guerra che si situano nel pieno di una tempesta alimentata dalla spirale neo-liberista e negazionista che sembra prevalere nell’allineamento della logica dei blocchi imposta dalle Grandi Potenze impegnate a coltivare gli orti di casa propria incuranti degli evidenti rischi che stanno sorgendo a livello planetario a partire da quello nucleare e non dimenticando il possibile scoppio di una enorme bolla speculativa sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale che si sta per realizzare in un quadro di vera e propria “anarchia della prevalenza del più forte. Limitiamo, per il momento, la nostra analisi al “caso italiano” (trasformato in retroguardia dopo tanti anni di avanguardia): i fatti più recenti dimostrano come sia sbagliata la linea (che definirei “giolittiana”) di inclusione della destra nel normale tessuto presuntamente democratico di una “alternanza temperata”. Alternanza come sembrerebbe suggerire il profilo sempre più marcatamente bipolare del sistema, bipolarismo tra coalizioni entrambe “spurie” dopo la stagione della “tripartizione” verificatasi con l’espressione elettorale dell’antipolitica che alla fine si è risolta in una crescita esponenziale dell’astensione al voto quale indice concreto della accentuata fragilità del sistema. Non si può pensare a un atteggiamento “inclusivo” rispetto a questa destra dall’evidente insofferenza per i meccanismi della democrazia parlamentare e della diarchia “Presidenza della Repubblica / Presidenza del Consiglio”.
Questa destra intende trasformare il secondo pilastro istituzionale in soggetto prevalente (appunto l’anarchia del più forte) attraverso la formazione di una maggioranza di tipo plebiscitario.



Si cerca di realizzare una maggioranza plebiscitaria che nell’indicazione di investitura salti il passaggio delle aule e l’occasione propizia per far questo può essere rappresentata dal referendum sulla magistratura tanto più che il Guardasigilli oggi si è accostato platealmente all’ipotesi contenuta nel documento della “Rinascita Nazionale” elaborato nel 1975 dalla loggia P2 (mi permetto di ritenere questo passaggio ancora più pericoloso dello scontro istituzionale in corso tra FdI e il Quirinale).
Si possono così trarre due provvisorie indicazioni:
a) l’importanza del referendum costituzionale sull’ordinamento della magistratura che dovrebbe svolgersi nei primi mesi del 2026. I segnali di partenza sono contrastanti, almeno dal nostro punto di vista. Andrebbe svolta una operazione propedeutica di impostazione ancora in precedenza alla definizione di uno schieramento: quella di elevare il livello dello scontro al tema costituzionale (sul quale in passato vi sono state troppe esitazioni se non errori clamorosi tipo la riduzione del numero dei parlamentari) non abbassandolo a mero scontro tecnico o ancor peggio a “governo sì/governo no”.
Sul tema della democrazia costituzionale va analizzato a fondo e riportato in primo piano il concetto di “rappresentanza politica” vero fulcro di quella “centralità del Parlamento” della quale abbiamo tante volte discusso. Il concetto di rappresentanza politica è stato attaccato a fondo nel corso di questi anni: si è assistito a vere e proprie modificazioni di paradigma fondate tutte sul primo e fondamentale cambiamento avvenuto con l’avvento del sistema elettorale maggioritario vera anticamera del plebiscitarismo.
Si coglie l’occasione per ricordare ancora una volta come la definizione del sistema elettorale non faccia parte del dettato costituzionale, anche se si fa fatica a non riconoscere che il tema ha sempre assunto un rango di quel livello, come ha riconosciuto implicitamente la stessa Alta Corte nelle due occasioni in cui, grazie all’iniziativa del compianto Felice Besostri, ha bocciato prima la formula elettorale vigente e nella seconda una formula elettorale approvata dal Parlamento, con la fiducia, ma mai ammessa alla prova delle urne.
b) La costruzione di una soggettività di sinistra effettivamente alternativa da intendersi quale elemento “dirigente” dell’opposizione fondata su una chiarezza di opzioni propositive: sulla pace e sulle grandi questioni economico - sociali a partire dal considerare l’Europa e la sua autonomia come spazio politico su cui investire e il tema delle disuguaglianze a tutti i livelli come prioritario comprendendo appieno il nuovo quadro di contraddizioni imposto dal modificarsi del quadro internazionale, dell’evoluzione tecnologica e dal ritardo con cui si stanno affrontando le grandi transizioni come quella climatica e quella digitale.

 

 

DI ODIO SI MUORE 
di Luigi Mazzella


 
Il mondo cosiddetto Occidentale vive nell’irrazionalità più piena e sconcertante e ciò che è peggio non sembra avvedersene (o, probabilmente, c’è chi fa in modo che non se ne accorga, riuscendovi). Un esempio, nella vita pubblica, basta per tutti: la norme scritte da Nordio sulla separazione delle carriere in Magistratura non cambiano minimamente i termini dell’indipendenza del pubblico Ministero che continua a non rispondere (per niente ed a nessuno) della sua responsabilità (con conseguente, civilissimo e sacrosanto obbligo di risarcimento per i danni arrecati) a causa delle  aberrazioni di tiro nell’emissione dei suoi cosiddetti “avvisi di garanzia”, eppure il coro degli anatemi contro la riforma del guardasigilli non si attenua ma cresce! Più irrazionali di così!
C’è da chiedersi: Perché ciò avviene? Perché l’uomo Occidentale sbarella così tanto con il suo raziocinio, sino al punto da sembrargli del tutto naturale di non farne più uso? 
- Elementare Watson! - risponderebbe Sherlock Holmes - Tutto ciò che compone la cultura Occidentale è frutto dell’irrazionalità delle sue cinque “credenze” (tre religiose e due politiche) che hanno annullato ogni sua capacità critica, cancellando la filosofia, regina della conoscenza nell’evo greco-romano, pre-cristiano, con sofisti e presocratici.
È razionale pensare che al di là della realtà materiale, concreta e conoscibile (peraltro: in misura sempre maggiore e profonda con il progresso scientifico e tecnologico) ve ne sia un’altra immateriale, indistinta, inverificabile, priva di ogni sia pur minima prova, o definita, con brutto termine, iperuranica? No! Ci si può arrivare solo con l’immaginazione, con l’emozione, con la fantasia, con il sogno, con la paura, con l’incubo, con il trionfo incontrastato dell’irrazionalità che finisce, poi, per estendersi, come un cancro invasivo, a tutto l’agire umano. È razionale, per esempio, contrastare la natura umana avversando il libero uso dei propri sensi, costringendoli a muoversi in direzioni (“contro”) dettate non si sa da chi e perché (se non immaginando ipotesi di potere nascenti dal perdono)?
È razionale, dopo i racconti biblici (verosimili anche se non provati) di Caino e di Abele, dopo le visioni hobbesiane (agevolmente riscontrabili negli eventi della storia e della cronaca) dell’homo homini lupus, dopo il racconto storico, purtroppo veritiero,  delle Crociate, delle cruente conquiste spagnole del Centro America, delle colonizzazioni soprattutto britanniche, olandesi e portoghesi, del massacro dei pelle rosse in America, dei lager nazisti e dei gulag bolscevichi, dello sterminio di civili a Gaza credere ancora che a dominare il mondo dell’Occidente sia l’amore per il prossimo, il benessere collettivo e il desiderio generoso e diffuso di una popolazione di eguali? Poniamoci tali domande e diamoci delle risposte!

 

 

 

ATENEO LIBERTARIO MILANO




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