SEPARAZIONE DELLE
CARRIERE E REFERENDUM
di Guido Salvini - ex
magistrato

Carlo Nordio
Confronti. Uno sguardo
empirico sulla riforma.
Centinaia
nelle ultime settimane, saranno probabilmente migliaia prima del referendum,
tanti sono gli articoli apparsi sulla separazione delle carriere, spesso tutti
uguali nelle argomentazioni e ormai dal tono vagamente ossessivo.
Per i sostenitori della legge la
separazione delle carriere sarà la cura per la giustizia malata, per i suoi
oppositori la fine dell’indipendenza della magistratura. Per gli uni e per gli
altri una specie di giorno del giudizio.
Non credo che sia così e in
realtà non sappiamo nemmeno quello che succederà. Le ipotesi sono due e del
tutto divergenti. La magistratura inquirente, sostengono gli oppositori alla
legge, passerà inesorabilmente sotto il controllo del potere politico cessando
di essere una garanzia di legalità della vita pubblica. Ma per il momento questo
è poco più di un assioma non solo perché la legge non lo prevede, in questo l’articolo
104 della Costituzione non è stato toccato, ma perché ciò potrebbe accadere
solo se nello stesso tempo i Pubblici Ministeri perdessero la disponibilità
esclusiva della Polizia giudiziaria, come era prima del Codice del 1989, e
nessuno, almeno per ora, ha avanzato una ipotesi del genere. C’è al contrario
la possibilità che i Pubblici Ministeri diventino superpoliziotti e di questa eterogenesi
dei fini che viene evocata sempre più spesso negli interventi, ha scritto anche
Luciano Violante.
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| Carlo Nordio |
Pubblici Ministeri sganciati dalla giurisdizione, del tutto
arbitri del loro potere che userebbero anche più di prima, un corpo di
inquisitori con piena libertà di azione. Non è un’ipotesi tanto peregrina
almeno nel prossimo futuro, prima dell’eventuale introduzione di un paventato ma
non provato controllo politico. È anche possibile che non cambi nulla o quasi
nonostante la previsione di opposti cataclismi. Di certo, nonostante le
aspettative, a breve non cambierà molto perché gli attuali PM saranno sempre lì
sino alla pensione e serviranno almeno 4 anni per “produrre” giudici e Pubblici
Ministeri provenienti da concorsi separati. Quello che ci sarà subito è un voto
politico anticipato rispetto alle elezioni, di fiducia o di sfiducia al
Governo.
Nel merito servirebbe guardare la
riforma in modo empirico e non in modo pregiudizialmente ideologico. Innanzitutto
la previsione di due concorsi distinti è solo una inutile impuntatura che
complica l’accesso in magistratura. Giudici e Pubblici Ministeri devono infatti
applicare gli stessi Codici e la preparazione non può che essere la medesima
perché i primi devono conoscere bene le metodiche delle indagini e i secondi le
regole di giudizio per portare loro indagini a buon esito. Piuttosto
bisognerebbe por mano ad una riforma del reclutamento dei magistrati che oggi è
del tutto insoddisfacente. Non basta dopo la laurea, aver “centrato”, tre temi,
gli orali eliminano solo gli sfortunati e i timidi, per essere idonei per tutta
la vita a giudicare tutti gli altri. Oggi i concorsi così come sono sfornano
magistrati di 25- 26 anni che non hanno alcuna esperienza né di vita né di
lavoro e manca loro spesso quanto necessario per poter decidere sulla vita
altrui. Sanno magari tutto delle massime della Cassazione ma non molto di più.
E questo non basta.
Il reclutamento qualitativo
attuale dei magistrati ha quindi grossi limiti intrinseci che la riforma Nordio
certo non risolverà.
Quanto al sorteggio l’argomento
“disperato” che l’ANM diffonde è che per sedere al CSM servirebbero particolari
attitudini e competenze e quindi il nuovo sistema elettorale farebbe scadere il
livello qualitativo del Consiglio. Ma non è affatto vero. Vi è un argomento,
già più volte ripetuto ma assorbente, con cui si fa notare che nominare il capo
di un Tribunale o di una Procura certo non è più difficile di irrogare a
qualcuno trent’anni di carcere magari in un processo indiziario. Non bisogna
aver paura del sorteggio. Del resto chi ha avuto esperienza in Corte d’Assise
sa che i giudici popolari estratti a sorte prendono il loro compito molto
seriamente. Perché non dovrebbero fare altrettanto i magistrati?
Ma oltre a questo argomento basta
pensare al fatto che i candidati al CSM non hanno certo seguito particolare
corsi o studi di alta amministrazione. Sono semplicemente attivisti di corrente
che hanno un buon seguito nel loro mondo associativo, alcuni sono anche
semplicemente dei segnaposto per loro corrente a Palazzo dei Marescialli. Ne ho
visti molti negli anni, magistrati di medie capacità non diversi da tutti gli
altri. Per non parlare, è un paragone calzante ma che si tende a evitare, degli
oltre 150 magistrati che sono collocati fuori ruolo in posti strategici e di
responsabilità, la Presidenza del Consiglio, il Ministero di Giustizia e altri
ministeri, Commissioni parlamentari, istituzioni internazionali e missioni
all’estero. Spesso non hanno alcuna preparazione specifica, sono semplicemente
cooptati con metodi su cui è meglio tacere. Ma in questo caso nessuno grida
allo scandalo.
In realtà il rifiuto del
sorteggio obbedisce a due timori non esplicitati: il venir meno della certezza
di molti “politici” della magistratura di andare prima o poi a Roma, l’agognato
posto cui credono di avere diritto dopo aver compiuto con zelo l’intero cursus
honorum correntizio. E soprattutto la riduzione del potere politico della
magistratura che da ultimo si è manifestato con la creazione del Comitato per
il No al referendum. Sono queste le due ragioni, basta ammetterlo invece di
motivare l’opposizione con pretesti.
Anche le critiche all’Alta Corte
di Giustizia disciplinare sono più che altro ideologiche e una conseguenza
della autoreferenzialità e dei pieni poteri che l’ANM vuole mantenere in capo
alle sue correnti.
I magistrati sono pochi, i gradi
di separazione tra loro sono minimi e diminuiscono ancora quando si fa parte
della stessa corrente. Più o meno tutti sanno per chi hai votato e in
magistratura quando si ha bisogno alla corrente ci si rivolge sempre. Quindi,
anche nei giudizi disciplinari è meglio evitare commistioni tra eletti ed
elettori, tra chi giudica e chi è giudicato.
Certo nel dar vita a questa Alta Corte
sganciata dal CSM si poteva fare meglio. È costituita sulla falsariga della
Corte Costituzionale ma i magistrati presenti sono giudici di legittimità, in
prevalenza in Cassazione, troppo staccati dalla realtà concreta degli uffici
giudiziari. Inoltre in grado di appello giudice è ancora l’Alta Corte anche se
ovviamente in composizione diversa, e non c’è quindi una grande garanzia di
indipendenza dal primo giudizio. Una soluzione non disprezzabile poteva essere
inserire nel procedimento il TAR, dato che le sentenze disciplinari sono pur
sempre provvedimenti amministrativi.
Per concludere è anche abbastanza
inutile evocare figure tra loro opposte che sarebbero state a favore della
separazione delle carriere: Giovanni Falcone evocato dai sostenitori del Sì e Licio Gelli evocato per ovvi motivi da quelli
del No. Sono infatti prese di posizione che andrebbero contestualizzate perché
apparse molto tempo fa in un contesto ormai molto mutato quando vigeva ancora
il vecchio Codice di procedura penale e non c’era ancora la riforma Cartabia
che comunque ha quantomeno separato le funzioni. Citarle oggi, dall’una e
dall’altra parte, è un’operazione suggestiva ma che significa poco.
Comunque solo il 10 -15% dei
cittadini esprimerà un voto consapevole. In realtà il referendum sarà un voto non
sul tema ostico della legge ma sulla tenuta del governo Meloni, in vista delle
future elezioni politiche. La posizione esclusivamente battagliera dell’ANM non
sembra del resto nascere da una riflessione concreta ma da una strenua
opposizione all’attuale governo. E questo sul piano razionale la indebolisce
Forse i No perderanno perché il ciclo del governo Meloni non sembra affatto
concluso.
Si voterà in realtà “sui
magistrati” e se la fiducia nella magistratura è messa ai voti invece di
essere, come in tutta Europa, un elemento fondante e naturale di una società
non c’è da rallegrarsene ed è già questa una disfunzione più profonda, e ormai
purtroppo stabile, della legge e di qualsiasi legge che si intenda bocciare.





