FUGA DALLE URNE MA NON SI CHEDONO PERCHÉ
di Gian
Giacomo Migone
Risulta sempre più evidente la contraddizione tra
la gravità dellapreoccupante situazione in
atto, in Italia come in Occidente, e l’irrilevanza attuale della politica partiticamente
intesa. Ma concentriamoci sui problemi di casa nostra. Il governo finanzia una
politica che alimenta le guerre in atto, sottraendo i pochi soldi a
disposizione dei bisogni sempre più impellenti dei cittadini, mentre si
intensificano gli attacchi a garanzie costituzionali quali la libertà di parola
e di pensiero, l'indipendenza della magistratura, il ruolo del parlamento.
Nello stesso tempo i partiti di opposizione sono impegnati in sfibranti
conflitti sulle modalità di confronto con la presidente del consiglio, in casa
sua (il caso Atreju), mentre il PD dedica buona parte delle proprie energie a
costruire un correntone allo scopo di contenere o ratificare i poteri della
propria segretaria in carica. Il popolo sovrano guarda altrove. Ma vi è chi ci
aiuta a trovare il bandolo di una matassa essenziale in democrazia, quella
delle elezioni. “È poco utile riflettere sul risultato del voto regionale in
Campania, Veneto e Puglia partendo dall’astensionismo alluvionale (cfr. “La
Repubblica”, 25 novembre, p. 21). Sono parole di Stefano Folli e, quindi, per
il suo ruolo di sostenitore indefesso di un campo sempre più largo e il più
possibile annacquato, va da sé che bisogna fare il contrario di quanto egli
dice. Certo, non possiamo che compiacerci del forte segnale di cedimento di
Meloni nel “suo” Mezzogiorno, come anche della capacità del centro sinistra, fondato
sull’alleanza Schlein-Conte, di pareggiare i conti con la destra nella recente
tornata di elezioni regionali. Tuttavia, resta il fatto brutale che si sono
persi quasi altri 2,3 milioni di votanti in questo giro di elezioni italiane. Non
mi stancherò di ripeterlo: in Italia, come in tutto l’Occidente, vincono le
elezioni coloro che riescono a motivare al voto il maggior numero di
astensionisti, ormai maggioranza assoluta o relativa, più o meno dappertutto. Un
tempo era più o meno la stessa percentuale di cittadini a recarsi alle urne;
negli Stati Uniti il 50-60%, in Italia addirittura si rasentava il 90%. Allora
vinceva chi riusciva a guadagnarsi il consenso degli incerti, di solito
moderati e centristi.
Ora non è più così. Tuttavia, non lo hanno capito neanche
persone serie e bene intenzionate, quali Romano Prodi, dotato delle
rispettabili credenziali di essere stato - ma in altri tempi - il solo a portare
per due volte alla vittoria una coalizione di centro sinistra, nonché il suo
pesce pilota Arturo Parisi; con un codazzo di ambiziosi leaderini PD, per non
parlare dei grandi giornali interessati a collocarli in vetrina. Ne consegue
che il problema non è quello di moderare il presunto radicalismo di Elly
Schlein, beneficamente liberata - aggiungo io - dai condizionamenti d’oltreoceano
come effetto dell'ascesa di Donald Trump. Vince chi motiva al voto il maggior
numero di persone altrimenti convinte che recarsi alle urne non vale la fatica.
Quindi, lo scontro si radicalizza. Non è un caso se personaggi, forze politiche
e apparato mediatico portati all’inseguimento del voto di centro sono parimenti
impegnati ad esorcizzare il “cattivo esempio” di Zohran Mamdani, eletto sindaco
di New York sulla base di un messaggio politico durissimo, capace di mobilitare
un’inedita partecipazione al voto. Altrettanto significativo è il pressoché
totale silenzio mediatico che circonda la più recente conquista di Copenhagen -
più piccola di New York, ma più vicina a casa nostra - da parte di una
coalizione di forze di sinistra ed ambientaliste, guidate dalla novella
sindaca, Sisse-Marie Welling, che, tra l’altro, ha segnato una sconfitta del
governo socialdemocratico in carica, duramente anti immigratorio.
Ciò che motiva al voto, altrimenti
astensionista maggioritario, è la natura del messaggio e la credibilità dell’impegno
di chi lo lancia. Nel momento in cui il “Dio, Patria e Famiglia” dei Trump e
delle Meloni comincia a mostrare la corda, avendo fatto il pieno di voti
identitari, occorrono valori corrispondenti ai sacrosanti interessi di una
potenziale maggioranza popolare, nettamente contrapposti a quelli di un’esigua
minoranza che, per interposta classe politica, ci governa. Perché una simile
intenzione risulti credibile occorre indicare la redistribuzione di risorse
necessaria per conseguire più pane, più pace e anche più libertà per tutte e
per tutti.



