Non l'acqua ma la malapolitica la causa dei disastri
Ignorati gli allarmi lanciati dall'ONU fin dal 2001
sull'effetto dei cambiamenti climatici sul ciclo idrico. Indispensabile
rivedere tutti i piani di rischio e gestione dell'acqua ormai obsoleti.
Dirottare sulla salvaguardia del territorio le
risorse miliardarie per F35, navi da guerra, TAV e grandi strade; ruolo
centrale di Cassa Depositi e Prestiti.
Nel
2001 l'Intergovernmental Panel on Climate Change dell'ONU divulgava il terzo
rapporto sui cambiamenti climatici redigendo una versione semplificata per i
“policymaker” in cui tutto quanto sta
accadendo al ciclo idrico era ampiamente previsto (in particolare i risultati
del secondo gruppo di lavoro, dal titolo "Climate Change 2001 - Working
Group II: Impacts, Adaptation and Vulnerability" (http://www.grida.no/publications/other/ipcc_tar/). Dodici anni fa l'IPCC evidenziava l'aggravio di
rischio per le inondazioni (in allegato l'incontrovertibile allarme contenuto
nel riassunto per i policymaker) con cui chiedeva immediati interventi per
bloccare le emissioni e mitigare i primi effetti negativi dei cambiamenti
climatici.
Per
tutta risposta i nostri lungimiranti “policymaker”, i decisori dei governi,
compreso l'ultimo, hanno risposto con condoni (quello di Berlusconi del 2004),
facilitazioni per i cementificatori (dal piano casa alla defiscalizzazione per
le grandi opere stradali) fino ad arrivare, con il Governo Letta, con
l'incredibile azzardo della concessione dell''agibilità parziale degli edifici
non completati contenuto nell'ultimo decreto del FARE.
Ancora
pochi anni fa mentre gli ambientalisti e i movimenti sociali, chiedevano
urgenti misure per bloccare il collasso del pianeta, il Parlamento Italiano
votava una mozione che metteva in dubbio i cambiamenti climatici. La Giunta
Regionale sarda del governatore Cappellacci ha fatto di tutto per cancellare il
Piano di tutela delle Coste, anche con decisioni prese pochi giorni prima
l'alluvione! E pensare che lo stesso Governatore Cappellacci dal
21 settembre 2012 è Presidente della Commissione ENVE (Commission for the
environment, climate change and energy).
Ora i risultati di questa
malapolitica sono sotto gli occhi di tutti, il re è nudo.
Dopo il
disastro di Sarno, le regioni hanno sì predisposto piani sul rischio alluvione
con le relative zonizzazioni, ma si sono basate su dati di portate e di
precipitazioni spesso dell'inizio del secolo scorso, quando il regime delle
piogge è stato completamente stravolto negli ultimi due decenni. Lo stesso si
dica dei Piani di gestione delle acque e dei Piani di Distretto Idrologico, i
principali strumenti di gestione dell'acqua che spesso non tengono in alcuna
considerazione gli effetti di cambiamenti climatici. I consulenti di uno degli
ultimi piani ancora in fase di approvazione, quello dell'Abruzzo, davanti alle
rimostranze degli ambientalisti che ricordavano gli appelli della stessa
Commissione Europea per introdurre misure di mitigazione e adattamento, sono
arrivati adirittura a negare l'esistenza delle modificazioni del clima. Si consideri che i piani di protezione civile spesso si
basano sulle previsioni di questi strumenti ormai obsoleti. Basti pensare
all'aumento delle superfici da vincolare con l'aumento delle portate dei fiumi
quando vi sono questi fenomeni così intensi e alle gestione dell'acqua in caso
di siccità. Anche le luci di molti ponti non sono più sufficienti a smaltire le
ondate di piena i cui picchi sono sempre più estremi.
Il
Forum dei Movimenti per l'Acqua chiede a gran forza, oltre ad una riduzione
significativa nelle emissioni di gas serra in Italia, una profonda ed immediata
revisione di questi piani affinché prendano atto delle modifiche del regime
idrologico determinate dai cambiamenti climatici, introducendo misure di
mitigazione ed adattamento con l'individuazione delle nuove aree a rischio e
l'introduzione di vincoli assoluti di inedificabilità. Ancora oggi molti piani
consentono escamotage per la realizzazione, come sta accadendo a L'Aquila (!)
con l'ANAS, di grandi infrastrutture stradali da decine di milioni di euro in
aree già oggi a rischio di esondazione. Basta un'autocertificazione sostenendo
che non è possibile delocalizzare la nuova opera!
Lo
stesso IPCC ha diffuso recentemente un nuovo studio sull'argomento “Managing the Risks of Extreme Events and
Disasters to Advance Climate Change Adaptation, IPCC 2012” (http://www.ipcc.ch/pdf/special-reports/srex/SREX_Full_Report.pdf.)
Purtroppo
in Italia i pochi interventi sul dissesto sono spesso realizzati cementificando
ulteriormente il territorio senza utilizzare tecniche di ingegneria
naturalistica e senza rispettare i corsi d'acqua. Basti pensare alle cosiddette
“pulizie” degli alvei con ruspe che distruggono la preziosa vegetazione
ripariale che non fanno altro che aumentare i problemi aggravando l'erosione e
modificando il trasporto solito. I fiumi devono avere spazi sufficienti, questa
è la strada maestra da seguire, delocalizzando case e infrastrutture dove
necessario.
In
ogni caso le iniziative di gestione e prevenzione del rischio nonché la
riformulazione dei piani deve prevedere il coinvolgimento dal basso dei
cittadini e la partecipazione, anche per migliorare le conoscenze delle persone
rispetto ai rischi presenti sul loro territorio. Ad esempio, la compravendita
delle abitazioni dovrebbe essere realizzata avendo consapevolezza della
categoria di rischio del territorio interessato, facilitando l'accesso alle
informazioni, come mappe, piani e studi, da parte delle comunità che spesso ne
ignorano l'esistenza.
I
fondi per gli interventi necessari devono arrivare togliendo i finanziamenti a
TAV, F35, navi da guerra (con la previsione di centinaia di milioni di euro
all'anno previsto nella legge di Stabilità oggi in discussione) e grandi
superstrade e strade. Inoltre un ruolo centrale deve giocarlo la Cassa Depositi
e Prestiti.