DOPO EXPO
di Jacopo Gardella
Sarebbe bello ascoltare molti consigli
e sentire più pareri su come riutilizzare il terreno lasciato libero dalla EXPO
ormai definitivamente chiusa. Sarebbe gratificante udire numerose proposte
sulle possibili destinazioni di quell’area appena fuori Milano eppure a Milano
così ben collegata. Purtroppo si sente ripetere la stessa monotona proposta, la
stessa costante indicazione: l’area sarà occupata da un Centro di Ricerca, da
un Polo Universitario, da un Nucleo di Studi Superiori, da un Polo di Innovazione
Tecnologica. Come se fosse semplice, veloce e facile creare dal nulla un nuovo
laboratorio di attività scientifiche. Come
se non fossero già presenti sia a Milano sia nelle regioni settentrionali dell’Italia
analoghe istituzioni specializzate in alti studi e già operanti ed affermate.
A
Genova dieci anni fa è nato I.I.T. – Istituto Italiano di Tecnologia – di cui si
attende da tempo il decollo definitivo, tenuto conto dei notevoli investimenti
versati per la sua fondazione e per il suo avvio. L'Università Humanitas
insediata a Rozzano, nella periferia sud di Milano, aprirà fra due anni un
nuovo campus di studi medici ad alto livello e lo doterà di aggiornatissime
attrezzature tecnologiche. La Regione Lombardia non sembra essersi preoccupata
di coordinare questo insieme di iniziative e di predisporre una integrazione
fra le nuove e quelle già esistenti. Nel Nord Italia a poche decine di
chilometri si fanno nascere più Centri di Ricerca; nell'Italia del Sud anche a
distanza di molte centinaia di chilometri non se ne prevede nessuno. Sarebbe
questa la illuminata e lungimirante politica di sussidio al Mezzogiorno? Le
università storiche delle principali città italiane sono ricche di esperienza
didattica, di organici preparati, di studenti volonterosi; ma tutte sono povere
di soldi. Sono Istituzioni già attive da anni che chiedono di essere potenziate,
oppure sono istituzioni già programmate e sul punto di decollare ed hanno
bisogno di capitali di avvio. Prima di aprire nuove organizzazioni culturali rafforziamo
le vecchie; prima di spendere danaro per future istituzioni rimettiamo in sesto
le molte esistenti. Nelle classifiche dei sondaggi mondiali il posto occupato
dalle nostre università non è brillante; e la spesa devoluta dallo Stato
italiano alla cultura di ogni tipo è notoriamente ridotta e dolorosamente
inferiore alle spese equivalenti stanziate dalle altre nazioni civili. In una
situazione così disastrata e non degna di un paese come l’Italia, ricco di
storia e in ambito europeo considerevole anche per numero di abitanti, il primo
ed urgente obiettivo sarebbe quello di potenziare le strutture esistenti, non
crearne di nuove per non correre il pericolo di non poterle poi adeguatamente
finanziare come già non adeguatamente finanziate sono quelle in vita da molti
anni. Prima di inaugurare nuovi poli universitari, oltre ad assicurare la
sopravvivenza di quello vecchio sarebbe anche opportuno valutare se il loro
numero oggi in funzione è carente ed inadeguato, oppure se è sufficiente a
soddisfare le richieste nazionali di istruzione.
A
Milano la Facoltà di Architettura 2, aperta circa vent'anni fa, è stata
recentemente chiusa; i locali occupati da uffici, aule, laboratori sono stati
svuotati; tutto il complesso dei fabbricati è ora inutilizzato. Il ridotto
numero di iscrizioni ed i finanziamenti ministeriali notevolmente decurtati
hanno indotto a rientrare nella vecchia sede storica, la Facoltà di
Architettura 1, annessa alla Facoltà di Ingegneria. La proposta di nuovi
Istituti a livello universitario va inquadrata in un piano generale, va
ponderata con attenzione, va prevista con lungimiranza prima di commettere
l'errore si doversi rimangiare le decisioni prese. E invece contro ogni buon
senso i Centri di Ricerca sorgono disordinatamente, nascono a caso, si
insediano al di fuori da ogni programma e privi di qualsiasi collegamento. Il
più sconcertante ed irragionevole di questi Centri è quello ultimamente proposto
sul terreno della EXPO ed approvato troppo affrettatamente da numerose ed
autorevoli voci del mondo imprenditoriale, politico, universitario.
Un Centro di Ricerca non consiste
soltanto in un complesso di edifici nuovi e ben attrezzati, in un “campus”
circondato da aule, da laboratori, da uffici; la sua parte vitale è l’insieme
dei docenti, dei ricercatori, del personale ausiliario specializzato: un complesso
di addetti che non si improvvisa da un momento all’altro, ma che richiede tempi
di preparazione lunghi, prove di selezione severe, periodi di avviamento
continui e prolungati. Se il Centro di Ricerca e di Studi consistesse solo in
un adeguato numero di edifici la sua creazione sarebbe semplice e veloce; ma poiché
richiede anzitutto un nutrito numero di ricercatori e di studiosi, la sua
popolazione diventa ardua da reperire, faticosa da addestrare, impegnativa da
mettere a regime. Coloro che propongono sui terreni dell’EXPO la formazione di
un Centro di Ricerca, pomposamente definito anche Polo di Eccellenza, si sono
posti il problema degli addetti al lavoro che è urgente reperire? Dell’organico
che è necessario comporre? Della squadra dirigente ed esecutiva che occorre
costituire? Si direbbe di no: dalle generiche proposte che si sentono fare,
dalla superficialità con cui vengono enunciati nebulosi programmi, sembrerebbe
che delle complicate operazioni da affrontare e risolvere i disinvolti propositori
non si siano dati il benché minimo pensiero. Lo dimostra il fatto che alla
definizione di Centro di Ricerca non sia stata aggiunta nessuna precisazione del
campo di studi al quale destinare quel Centro: destinarlo a specializzazioni in
Scienze Naturali? Ad approfondimento di Conoscenze Tecniche? A sviluppo di
Studi Umanistici? E tale mancanza di precisazioni da parte dei molti
propositori spesso paludati ed autorevoli denota una riprovevole mancanza di
serietà. Affinché il Centro di Ricerca si tramuti in una realtà concreta ed
operativa occorre precisare con maggiore esattezza che cosa si intende
realizzare. Vi sono molte possibili alternative e varie urgenti destinazioni,
ma per ognuna di esse occorre fare un programma esauriente, dettagliato,
realistico.
Prima dell'inizio della EXPO viene
formulata la proposta di creare a manifestazione ultimata un insediamento con
prevalenti "funzioni di carattere pubblico e sociale rispondenti agli
interessi generali della città, al fine di realizzare un intervento di alta
qualità urbana, caratterizzato da una elevata sostenibilità ambientale e da un
contenuto impatto edificatorio, che limiti il consumo di suolo permeabile e salvaguardi
al contempo la continuità territoriale delle zone a parco." (vedere il
sito del Comune di Milano datato 23 marzo 2015:
http://www.comune.milano.it/wps/portal/ist/it/servizi/territorio/pianificazione_urbanistica_attuativa/Progetti_Attuazione/Grandi_Progetti/Expo+2015_Strategie+di+sviluppo_Grandi+Progetti).
La
proposta come si vede dà molte e varie indicazioni ma tutte vaghe e poco definite: fa cenno ad un obiettivo
pubblico e sociale, senza tuttavia meglio precisarlo; manifesta il proposito di
garantire un moderato insediamento edificatorio e di assicurare un contenuto
consumo di suolo permeabile, cioè una bassa densità edilizia, senza tuttavia specificare
indici di edificazione e di superficie coperta; esprime l'auspicio di creare un
unico sistema di parchi che sia correlato a quelli già esistenti nelle
vicinanze senza tracciare i confini della zona verde allargata; nomina funzioni
di carattere pubblico e sociale in palese contraddizione con interventi di alta
qualità urbana, giacché nel comune linguaggio commerciale il concetto di alta
qualità è legato ad edilizia di lusso, non ad edilizia sociale di carattere
pubblico, né tantomeno a costruzioni economico-popolari.
È
facile comprendere come un programma così vasto ed ambizioso sia difficile da valutare
e da giudicare senza prima averne conosciuto i modi di attuazione ed i dettagli
esecutivi. Le molte destinazione suggerite e assai differenti fra loro
confermano il sospetto che non si abbia nessuna idea precisa di quale destino
futuro debba avere il terreno dell'EXPO. Gli organizzatori della manifestazione
pur avendone avuto tutto il tempo non hanno mai pensato come utilizzare, a
manifestazione conclusa, quell'appetibile ed ambito terreno. Eppure le
possibili utilizzazioni rispondenti agli interessi generali della città sono
più di una e tutte dovrebbero essere valutate con attenzione.
Si costruiscono pezzi di città;
perché non far nascere appezzamenti di verde? Nei dintorni di Londra, in
direzione nord-est, esiste accuratamente protetta e gelosamente conservata nel
corso dei secoli la Foresta di Epping: una folta estensione di alberi d'alto
fusto facilmente raggiungibile dai londinesi con trasporti sia privati che
pubblici. Perché non creare a nord-ovest di Milano una foresta simile? Se non
proprio una foresta, date le dimensioni ben più ridotte, almeno un parco o un
giardino all’inglese o comunque una zona di verde. La città di Milano è già
dotata di ampi parchi distribuiti nelle principali direzioni periferiche: Parco
di Monza a nord, Parco Lambro ad est, Parco Agricolo a sud; manca solamente un
grande parco ad ovest il quale aggiungendosi e completando il recente Parco
delle Cave e il frequentatissimo Bosco in Città formerebbe un unico sistema di
zone verdi tra loro collegate. Per facilitare l'ingresso ai cittadini
provenienti da zone lontane dalla città si utilizzerebbero le passerelle
sopraelevate, gli ascensori e tutti gli impianti costruiti per l’afflusso dei
visitatori ai padiglioni della EXPO ed ora inutilizzati e destinati a rimanere
inservibili. Sarebbe un piccolo rimedio all’enorme errore di non vere mai
programmato quale uso fare dell’area ad EXPO ultimata. Il terreno dell'ex-EXPO
è servito da una linea metropolitana in perfetta efficienza; è facile
raggiungerlo anche dalle zone più lontane della città servendosi se necessario
anche delle due autostrade che lo delimitano a nord ed a sud. Le barriere
sonore posate lungo le strade di traffico intenso proteggono dall’inquinamento
acustico e smorzano quello atmosferico. Non sarà più Milano ad invidiare Londra
e la sua Foresta di Epping, ma sarà Londra ad essere gelosa di Milano e della
sua Foresta EXPO. Sfidando le violente urla che emetterà la Società Proprietaria
del terreno EXPO, pronta a lottizzare l'intera area e a far sorgere una
edilizia di lusso, sarebbe auspicabile far sorgere una foresta destinata allo
svago, alla ricreazione, al riposo e mettere a disposizione un patrimonio di
verde che sarà utilizzato non certo da noi, forse neanche dai nostri figli, ma
certamente dai nostri nipoti. Si sa che le operazioni urbanistiche richiedono
tempi lunghi: una casa si costruisce in un anno, un quartiere in un decennio,
una foresta in venti e più anni. La trasformazione del territorio vengono attuare
da una generazione nella consapevolezza che verranno godute e apprezzate, dalla
generazione successiva. La piantumazione di una foresta sarebbe la coraggiosa
dimostrazione che la città non viene soltanto coperta di cemento e di asfalto,
non è composta soltanto di case e di strade, ma può anche essere orgogliosa di
far crescere alberi, cespugli, prati. Tuttavia il verde va programmato con
competenza; serve poco distribuirlo qua e là, disperderlo fra i volumi
costruiti, interporlo fra un edificio e l’altro, illudendosi in tal modo di
soddisfare esaurientemente i parametri richiesti dal Piano Regolatore. Il verde
emana un effetto benefico e salubre soltanto quando si presenta in larghe masse
di notevole estensione, e quando viene fatto crescere in appezzamenti compatti,
densi, continui.
Uno
degli obbiettivi che si propone la Conferenza aperta in questi giorni a
Parigi e dedicata al controllo del clima
sul Pianeta riguarda la salvaguardia delle foreste non ancora distrutte. Si
tratta di una azione in contrasto ed in opposizione al massiccio e continuo
abbattimento di zone fittamente alberate compiuto con criminale e sistematica
ostinazione sia nell'Amazzonia brasiliana sia nella Siberia russa. Milano
dimostra di aderire all'indirizzo auspicato dalla Conferenza sul clima, anzi di
anticipare quell'indirizzo mettendolo subito in pratica e trasformandolo in
attuazione concreta. Milano è più rapida di Parigi.
Altissimo è il numero di pendolari
che ogni mattina dai dintorni di Milano si recano in città usando i pessimi
treni regionali e le affollate estenuanti autostrade; e perdono nei viaggi di
andata e di ritorno tempi interminabili, sacrificando senza averne colpa
innumerevoli ore lavorative e rinunciando a preziosi momenti di vita privata.
Se tanti pendolari si sottopongono a questo viaggio insensato e debilitante ciò
è dovuto al fatto che a Milano il costo degli alloggi è troppo alto per essere
sopportabile da chi percepisce uno stipendio medio. Chi è in cerca di una casa
è costretto a trovarla nei dintorni di Milano perché la città è troppo costosa,
troppo cara, troppo esosa e quindi inaccessibile per una persona di reddito non
alto. Ma se a Milano ci fosse un'offerta di case a prezzi equi gli stessi
pendolari sarebbero felici di abitare più vicino al luogo del loro lavoro e
grati di trovarsi in prossimità delle zone centrali delle città così da potersi
collegare più rapidamente con le principali Istituzioni civiche della
metropoli. Per tutti loro sarebbe finalmente la fine dei disagiati e snervanti trasferimenti
quotidiani. Prevedere una consistente offerta di case a basso prezzo, costruite
sul terreno lasciato libero dalla EXPO sarebbe una decisione non solo di grande
merito sociale ma anche di ragionevole reddito immobiliare. In un momento di
crisi economica ed edilizia come l'attuale, la offerta di case economiche, di
cui vi è una pressante domanda, garantirebbe maggior profitto ed offrirebbe guadagni
più sicuri di quanto non faccia la vendita di case di lusso per clienti di alto
censo oggi divenuti più rari nella domanda e più difficili da reperire
nell’offerta. Il terreno dell'EXPO può diventare un esempio di quartiere-modello;
una zona urbana circoscritta, autonoma, unitaria; un insediamento collegato
comodamente con la città; un nucleo edilizio dotato di un proprio carattere
architettonico studiato attentamente nell'insieme e nei dettagli; un centro
residenziale fornito di servizi collettivi, di edifici pubblici, di
attrezzature comuni necessarie alla vita della intera popolazione che lo abita.
Un tale quartiere rappresenterebbe una alternativa alla deplorevole espansione
a macchia d’olio, e fornirebbe un modello di crescita urbana più razionale e
meglio controllata, composta da unità distinte, autonome, separate, nettamente distanziate
tra loro da tratti di campagna non edificati, da aree verdi coltivate oppure
lasciate incolte e boschive. A Berlino nel dopoguerra si promuove la
costruzione di un nuovo quartiere e lo si erige sulle macerie del centro
storico distrutto dai bombardamenti: nasce il quartiere l'Hansaviertel-Interbau,
firmato dai migliori architetti del momento e progettato in conformità ad un
programma completo, integrato, dettagliato in tutti i particolari. Milano
potrebbe avere, sebbene con caratteri architettonici ed urbanistica del tutto
diversi, un suo quartiere EXPO, firmato dai migliori architetti viventi; e
lanciare una sfida a Berlino.
Questa e altre possibili proposte sono
tutte mirate ad una trasformazione del terreno EXPO, ad una sua valorizzazione divenuta
ormai necessaria ed urgente. Non importa se queste proposte sembrano
utopistiche o poco ortodosse; purché siano il segno che esiste una vera "Idea
di città" frutto di fantasia ancora vivace, di immaginazione ancora
brillante, e non siano invece il risultato di una ripetuta e monotona cantilena
incapace di suggerire altra destinazione che non sia il vago, mal definito e
superfluo Centro di Ricerca.
(Le fotografie che accompagnano il testo sono di Giuseppe Denti)