RESISTENZA
MARIO MANZONI PARTIGIANO DI VENT’ANNI
di Fulvio Papi
Gruppo di partigiani, Mario Manzoni è il primo a destra, il terzo da destra è il Comandante Arca (Armando Calzavara). |
Un
caro amico che conosce le mie competenze più affettive che storiche sulle
vicende della Resistenza nella zona Cusio-Ossola-Verbano, mi ha portato il
libro di Mario Manzoni “Partigiani nel Verbano”
la cui seconda edizione di qualche tempo fa mi era sfuggita. È una lettura così
avvincente da far risentire nell’immaginazione gli echi di quel tempo
drammatico e indimenticabile per chi c’era. Mario Manzoni è stato un partigiano
valoroso di diciotto anni che ha fatto parte della formazione “Battisti” sin
dall’inizio della resistenza armata, novembre del ’43, sino agli ultimi giorni
dell’aprile del ’45. Il suo è un racconto di una memoria così puntuale quale
può formarsi solo quando gli accadimenti si sono trasformati in quel tipo di
ricordi che diventano definitivi della propria vita. La narrazione segue quasi
giorno per giorno la vita difficile della formazione partigiana da quando si
viene formando sulle montagne a ridosso di Intra: all’inizio solo pochi ragazzi
con molto coraggio, pochi e difficili rifornimenti, pochissime armi che per lo
più si potevano recuperare togliendole con imprese veloci e audaci alle
formazioni fasciste.
Non sono ovviamente in grado di seguire la
cronistoria del gruppo partigiano nei suoi movimenti che, in diversi periodi
vanno dalle zone alpine di Pallanza sino alla valle Cannobina e a Cannobio
medesimo. Tuttavia vi sono alcuni punti salienti della narrazione che desidero
rievocare perché coincidono con la memoria di me stesso, ragazzo in quel
periodo, e tuttavia emotivamente del tutto dalla parte dei resistenti.
L’antifascismo faceva parte della tradizione familiare, l’avversione ai
tedeschi occupanti immediata sino dai giorni del settembre ’43 quando le SS
della divisione corazzata Adolf Hitler uccisero tutti gli ebrei della sponda
piemontese del lago Maggiore.
La prima rievocazione è
quella del grande rastrellamento delle truppe tedesche sulle montagne che vanno
da Fondo Toce sino alla valle Cannobina. Fu un’azione violenta ma ben
congegnata, una caccia, punto per punto, di ogni possibile assalto di
formazioni partigiane con fucilazioni sul posto e cattura di prigionieri.
Difficilissimo il contrasto partigiano che non poteva avvenire in uno scontro
diretto per una troppo differenza del potenziale offensivo, ma solo tramite trasferimenti
di luogo in luogo, del resto per nulla certi per il procedere del
rastrellamento di punto in punto con grande impegno. Il risultato fu la cattura
di 43 partigiani fucilati nel giugno del ’44 a Fondotoce dopo averli fatti
sfilare per il lungo lago di Pallanza con il cartello: “sono questi i banditi e
liberatori d’Italia”.
Di qualche giorno
successivo fu la fucilazione a Baveno di 17 ragazzi (che, nella mia memoria,
non appartenevano nemmeno a gruppi partigiani ma erano stati rastrellati sul
posto). Era stata la rappresaglia per l’attacco riuscito a un veicolo con a
bordo due ufficiali, l’uno un capitano tedesco l’altro un ufficiale fascista.
La guerra era durissima e senza risparmio di vite. Essa condizionava i nostri
stessi sentimenti. Ero uno studente del Collegio Rosmini di Stresa che, forse
più che le lezioni, ascoltava le tragiche voci del nostro piccolo mondo e le
vicende delle formazioni partigiane alle falde del Mottarone, la 7a brigata
della divisione Valtoce. L’estate del ’44 vide la ripresa della guerriglia partigiana in tutta la
zona del Verbano, e nel settembre vi fu l’occupazione di Domodossola e la
creazione della Repubblica democratica dell’Ossola. E per Manzoni si pose una
domanda che “tutti noi”, al tempo, ci eravamo posti. Nella zona occupata vi
erano certamente le possibilità di atterraggio di aerei alleati che avrebbero
potuto portare non solo armi pesanti, ma addirittura truppe e carri leggeri. Un
contingente di questo tipo sarebbe stato fatale per i nazi-fascisti. Perché non
è avvenuto? La risposta è, purtroppo, molto semplice. La guerra seguiva precise
direttive politiche, tra le quali vi era il timore che nelle formazioni
dell’Ossola prevalessero i reparti comunisti. Il che, fra l’altro, non era
vero. Così dopo 40 giorni la Repubblica dell’Ossola fu riconquistata dai
nazifascisti che avevano impiegato diverse formazioni fasciste e tedesche,
soprattutto con un armamento del tutto superiore alla dotazione di armi leggere
da parte dei partigiani. Seguì un inverno durissimo. Ma, con mille difficoltà
dalla Sesia, all’Ossola, al Verbano, i gruppi partigiani non scomparvero.
Nonostante il famoso (ma irresponsabile) appello del generale Alexander che
invitava i partigiani a tornarsene a casa per l’inverno, come se la resistenza
sulle montagne fosse una gita domenicale. Quanto al partigiano Manzoni, dopo
una serie di azioni difficili e molto pericolose, fu obbligato a varcare la
frontiera svizzera per essere curato da una pleurite e da una polmonite. Con la
primavera la “Battisti” e le altre formazioni partigiane si rafforzarono
notevolmente per l’afflusso di giovani di varia estrazione sociale. Fu la
primavera vittoriosa sui tedeschi che puntavano su una resa tutelata dai
celebri accordi di Ginevra e sui fascisti che spesso puntarono su una difesa
disperata. Il libro di Manzoni è una biografia completamente costruita su fatti
pubblici e collettivi. È una dedizione che è paga del suo onore etico. Per noi
ricordare vuol dire anche interrogare noi stessi, senza troppa compiacenza
quanto alle risposte. La copertina del libro. M. Manzoni al centro della foto |
Per richieste
Il libro è stato ripubblicato dal Comune di Verbania,
dal Comitato Unitario per la Resistenza nel Verbano,
Ha 180 pagine e può essere richiesto alla Casa della Resistenza di Verbania,
www.casadellaresistenza.it -gratuitamente-