DRAGHI E FANTOCCI
di
Cataldo Russo
Trentotto miliardi alle spese militari, briciole
al resto.
Quando le lobbies economico-finanziarie devono tutelare i propri interessi allora fanno di tutto
per piazzare i loro uomini più affidabili nei posti di comando. La tecnica è
più o meno la stessa: si enfatizza oltre ogni limite l’inaffidabilità e la
rissosità dei partiti e dei politici, soprattutto di quelli al governo, si
pilotano ad arte crisi economiche, licenziamenti, panico bancario, senso di
insicurezza e declassamenti da parte
delle agenzie di rating, queste onnipotenti lobby affaristico-mafiose asservite
ai grandi capitali. In poche parole, si prospetta un quadro a tinte fosche in
cui il paese appare sull’orlo del baratro. A questo punto il gioco è fatto, e a
noi comuni mortali non riamane che genufletterci alle scelte volute nei palazzi
del potere ed accettare il superman che ci viene prospettato come un
concentrato di capacità, competenze, fiducia e poteri magici. Poiché ci hanno
fatto credere di averci dato il governo dei migliori, noi per mesi continuiamo
a chiudere gli occhi, a firmare cambiali in bianco e ad avvallare le loro
politiche liberticide e speculative, illudendoci che il paese possa, stringendo
la cinghia e ingoiando bocconi amari, uscire veramente dalla crisi. È una pia
illusione, perché si tratta solo di protrarre l’agonia del malato, l’Italia, e solo
per farle togliere le ultime gocce di sangue che le sono rimaste. È successo in
tante occasioni nella storia. La penultima volta in Italia è stato il governo
di Super Mario Monti, che ha governato dal 26 novembre 2011 al 28 aprile 2013. Ed
è accaduto di recente il 13 febbraio 2021 con il timone passato quasi
all’unanimità in mano a Super Mario Draghi, con una fiducia nelle sue capacità quasi
miracolistica. Tanto è vero che nessuno osa sindacare il suo operato, al punto
di governare come un sovrano assoluto. Questa volta a incoronare Draghi a capo
dell’esecutivo non è stata solo la rissosa classe politica nostrana ma tutti i
poteri forti dell’Europa. «Come? Avete uno come Mario Draghi e lo tenete in
naftalina? Ma voi siete pazzi! È lui, soltanto lui che può salvare il paese,
guai non servirsene. È apprezzato dalla Banca Centrale Europea, è stimato dalla
Germania con in testa la novella Giovanna d’Arco della Von Der Leyen, è voluto
dall’America, è benedetto dalla Chiesa ed è caldeggiato dalla pletora di
politici italiani che sarebbero disposti a fare di tutto pur di rimpolpare i loro
stipendi e le loro pensioni con altri due anni di retribuzione da parlamentari»,
si diceva alla vigilia del 13 febbraio. Dai proponimenti ai fatti il passo è
stato breve. Il premier Conti è costretto a dimettersi perché gli negano la
fiducia. E allora cosa fare? Di nuovo instabilità? Di nuovo elezioni con il
rischio di compromettere il fiume di miliardi che l’Europa ci ha elargito, a
debito per la verità, e di nuovo trattative e compromessi mentre la pandemia
impazza e fa migliaia di vittime? Quei soldi bisogna spenderli, anche sperperarli
se è il caso, ma guai fare economie o mandarli al mittente! Telefonate,
riunioni segrete, coro di osanna, ed ecco che Super Mario Draghi viene tolto dalla
naftalina e messo in sella. Con Draghi sembra prossima la fine delle Cassandre.
Lui, come Cristo, sa moltiplicare i pani e i pesci, sa guarire i malati, sa
trasformare la notte in giorno. “Vedrete, vedrete se in quattro e quattr’otto
non risolverà tutti i problemi”, si sussurra. Alla prova dei fatti ti voglio,
dice una massima cara a chi osa dubitare delle parole. E la prova dei fatti è
quella cui è chiamato Draghi. L’unica cosa in cui si dimostra capace è
distribuire mance e mancette, fare generosi regali agli speculatori, peggiorare
le condizioni di vita dei più poveri e via discorrendo. Non uno straccio di
intervento serio è fatto per la sanità pubblica. La sanità calabrese era allo
sbando prima e allo sfascio continua a
essere con Draghi. E così la sanità lombarda marciava a vele spiegate verso la
privatizzazione e a gonfie vele veleggia verso la privatizzazione con il
governo “dei migliori”. Le liste di attesa erano lunghe prima e più lunghe si
sono fatte adesso. Non un passo è compiuto per la salvaguardia del territorio,
non un piano per il rilancio stabile della nostra economia, orfana della grande
imprenditoria che ha preferito delocalizzare piuttosto che investire nel Paese,
non una politica seria per l’occupazione giovanile e la riforma della macchina
burocratica che continua a essere una palla al piede. Niente di tutto ciò. Draghi
rimane affacciato alla finestra e dall’alto continua a distribuire
rassicurazioni e mancette. Osserva i prezzi dei carburanti che aumentano e non
muove un dito, constata che l’inflazione galoppa e non vara uno straccio di
provvedimento serio, vede la scuola svilita e smembrata e non decide di porvi
rimedio. Insomma, niente di niente. L’unica cosa su cui è concentrato è
spendere i miliardi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), pur
sapendo che alla fine lascerà sulle spalle degli italiani una montagna di
debiti.