Confronti
L’UCRAINA E LE RESPONSABILITÀ DELL’EUROPA
Stefano
Levi Della Torre*
Se
i movimenti e i governi d’Europa volessero giustamente formare uno schieramento
contro l’invasione russa dell’Ucraina senza però rinunciare alla responsabilità
di mediazione dovrebbero dichiarare di essere contro l’estensione della Nato e
a favore di una zona militarmente neutrale ai confini orientali e a favore di
un’autonomia europea anche nella difesa. Questa è una sensata proposta di
mediazione con gli interessi della Russia, posizione che avrebbe dovuto esprimersi
preventivamente, ma è comunque inevitabile al tavolo di trattativa, anche se, a
invasione avvenuta, risulterà un successo di Putin. Riguardo all’Ucraina, la
Nato ha dimostrato non solo la sua dannosità politica ma anche la sua impotenza, proprio perché il suo carattere
militare, improntato all’equilibrio atomico della Guerra Fredda, la rende
inabile a interventi militari territoriali a scala subnucleare. Per questo la
Nato è condannata a restare sullo sfondo, risposta implicita alla minaccia nucleare
agitata da Putin. Ma è tempo di ridiscutere l’atlantismo e la Nato. L’autonomia
dell’Europa dagli Usa è sostanziata dal differenziarsi degli interessi
economici e commerciali nella globalizzazione. E d’altra parte l’inaffidabilità
degli Usa è stata dimostrata in modo crescente, in particolare dalla guerra in
Iraq del 2003, dal tradimento dei Curdi, dall’impotenza in Siria, dal disastro
in Afghanistan, nonché dalla degenerazione della democrazia in Usa, in cui gli
insuccessi di Biden preparano una rivalsa di Trump e della sua carica
golpistica. Pur restando l’alleanza con gli Usa, meglio allentare i rapporti
organici tra Europa e Usa. Ormai si tratta di muoversi in un mondo non più bipolare,
tanto meno mono-polare (assetti inattuali, ispiratori della continuità della
NATO) bensì multipolare.
Il crollo dell’URSS ha prodotto un riflesso
disastroso, già sperimentato con la pace di Versailles dopo la Prima Guerra
Mondiale, che con l’umiliazione della Germania ha favorito lo sviluppo del
nazismo: quel riflesso per cui ai vincitori non basta aver vinto ma vogliono
stravincere espandendo la NATO, umiliando la Russia e fomentandone la rivalsa.
Il
discorso del patriarca ortodosso di Mosca, Kirill, sulla “giusta guerra” contro
le democrazie sostenitrici di diritti umani dissolutori delle tradizioni
patriarcali afferma che quella di Putin non è solo guerra territoriale ma conflitto
tra civiltà, a sfondo religioso e antropologico-culturale. Uno scontro in atto
da tempo da parte islamistica. Kirill incoraggia Putin a pensare che per opporsi
alle democrazie e ripristinare l’impero l'ideologia reazionaria, religiosa e autoritaria
già diffuse nel mondo possa sostituire le funzioni svolte un tempo dal
prestigio ideologico del comunismo.
Utile
ri-potenziare non la NATO ma l’ONU. Non la Nato ma i governi europei dovrebbero
sostenere la resistenza ucraina anche con l’invio di armi: il logoramento degli
occupanti nel tempo grazie alla capacità di durata della resistenza è
necessario perché nella trattativa l’asimmetria delle forze tra occupanti e
resistenza sia ridotta.
Tuttavia,
l’invio di armi significa “armiamoci e partite”, versate il vostro sangue per
conto nostro. Né è facile controllare se quelle armi andranno alla resistenza
“patriottica” o a qualche fazione. In ogni caso sulla delega agli ucraini deve
prevalere per gli europei l’assunzione diretta della responsabilità della
mediazione, che rimetta in discussione l’atlantismo: una trattativa volta a
ridisegnare gli assetti geo-politici in Europa.
Tra i danni in cui il regime di Putin incorre
nella guerra c’è la sua esposizione al mondo, non solo della sua aggressività
verso l’Europa, ma anche dello sviluppo in Russia dell’ingiustizia sociale attraverso
l’appropriazione di risorse da parte di un’oligarchia. Logico che il regime si
veda costretto a criminalizzare l’informazione, perché le evidenze non si diffondano
in Russia. Logico che Putin con la
guerra nel cuore d’Europa abbia voluto fomentare la coesione nazionalistica dei
russi per aggirare i contrasti sociali interni prima che diventino espliciti.
Mi
sembra positivo che si sia manifestata una inconsueta coesione tra i paesi
d’Europa nelle sanzioni, nella espropriazione delle oligarchie russe, nonché
nel sostegno alla resistenza ucraina e nell’accoglienza della massa dei
profughi. Tutto ciò rimette in discussione la politica dell’immigrazione in
Europa, i criteri di gestione dei potentati economici multinazionali, la
politica imperiale, compresa quella della Cina, e anche la politica israeliana
circa i territori palestinesi occupati. Per tutte queste implicazioni, la
guerra in corso è un evento carico di trasformazioni, possibili se ci si
lavora.
[* Docente di architettura Politecnico Milano]