CHI, CON CHI E PER COSA?
di
Girolamo Dell’Olio
Ci
hanno rubato la scena. O ce l’hanno imprestata? Punti di vista.
Perché
se il video-operatore Mediaset ha ritenuto di riprendere il cartello con le
cattiverie che si infliggono a Piombino, lo si deve all’attenzione suscitata da
quest’altra cosa che succedeva stamani. E chissà, magari scappa fuori in
qualche super-notiziario. Certo è che mi sono appena posizionato al n. 4 di via
Cavour, uno dei due civici d’ingresso al Consiglio Regionale, con un cartello
addosso e l’altro al davanzale della finestra, che arriva un drappello di donne
e uomini con bandiere rosse (CGIL?) ancora arrotolate attorno all’asta, mi si
piazza davanti senza tanti convenevoli, e si mettono a chiacchiericciare
fra loro. Dopo un po’, faccio timidamente notare che, mentre aspettano di
partire stanno coprendo del tutto uno che manifestando sta già. Fanno mostra di
aver sentito, ma la situazione non cambia. Solo una di loro ha la buona creanza
di spiegarmi la loro vertenza: sono dipendenti della Regione, vengono da tutta
la Toscana e protestano per una storia di assegnazioni inique di risorse economiche
interne, che non condividono. I salari
vengono tagliati per pagare gli staff degli organi politici. Ne avevo
già sentito parlare, da un’altra dipendente incontrata al presidio in piazza
Duomo, e dunque capisco, e condivido. Abbiamo un Giani in comune, dunque. Ma -
tranne lei - nessuna e nessuno del gruppetto sindacale mostra interesse o
curiosità, anche se si nota che ho dei volantini in mano e i cartelli sono
scritti in un italiano abbastanza comprensibile. No, mi voltano tranquillamente
le spalle e si fanno i fatti loro.
Ecco,
questo davvero un po’ dispiace. Questo sì che mi sembra nimby, come si usa dire
nei salotti televisivi. O corporativismo piccolo-borghese, come si diceva nel
secolo scorso. E allora mi sposto, prima di qualche metro, vado alla finestra
più a monte, e poi ancora a quella successiva. Sono arrivate nel frattempo
tutte le bandiere confederali e io, ai margini, osservato come uno di quei
nativi esotici delle “esposizioni etnografiche” ottocentesche nelle capitali
europee, una sorta di curioso prodotto coloniale da apprezzare ma da lontano.
Fortuna
che almeno qualcuno, con una bandiera sempre rossa ma con un’altra sigla
stampata sopra, mostra comprensione e condivisione. Mario è dell’USB di
Firenze, e sa benissimo di cosa si parla, qui nei cartelli: il suo sindacato è
attivo a Piombino, e partecipa allo stesso ricorso dell’amministrazione
comunale di quella città di cui proprio oggi è prevista la discussione nel
merito. Commentiamo insieme le ultime notizie, comprese le ‘anticipazioni’ di
ier sera, per cui ‘state tranquilli che il disturbo ve lo leveremo fra tre
anni, e si cambierà mare: sempre Mediterraneo, ma non più Tirreno’. “So che Snam sta lavorando anche a soluzioni,
anzi si sta indirizzando su soluzioni che dopo tre anni di attività nel porto di Piombino portino la piattaforma
offshore sull’Adriatico”, Giani
dixit.
Con
Mario mi avventuro in un’ipotesi interpretativa improntata all’ottimismo, mio inguaribile
difetto. Quella per cui sarebbe in corso un gioco delle parti che conduca alla
sola soluzione intelligente, ma senza troppi danni per l’immagine del Principe,
che va preservata. E cioè che, proprio sulla scorta di uno scenario così
inaccettabile per l’erario (che senso avrebbe attivare una procedura costosa
come quella della messa in opera di quasi 9 km di tubazione in un Sito già
inquinatissimo per ‘soli’ tre anni?), il Tribunale ispiri a saggezza
amministrativa la sentenza: chiuda cioè la partita prima che diventi ancor più
onerosa e, come si dice, buonanotte al secchio. Così si salverebbe (si fa per
dire) la reputazione del Principe, si limiterebbe il danno erariale a quello
accumulato finora, e soprattutto si solleverebbero dall’angoscia e dai guai
economici i piombinesi. Le cronache delle ore successive mi danno
inesorabilmente torto, e semmai - seguendo lo stesso filo di ragionamento -
lasciano immaginare che il progetto resti quello del ‘cosa fatta capo ha’, con
la nave che chi la smuove? Figuriamoci fra tre anni quante nuove emergenze
avranno tentato di farci ingoiare oltre a questo boccone. Ergo, un motivo in
più per allargare, approfondire, radicalizzare la resistenza. Perché, come
ormai tutti possono capire, qui non è in ballo solo un porto, un’economia
locale, un dono della natura: qui è in gioco un modello economico, culturale e
sociale internazionale. E questo non deve farci paura: al contrario, deve
motivarci ad allargare gli orizzonti nello spazio e nel tempo, a difendere casa
nostra e la sua unicità alleandoci a tutte le case nostre e a tutte le unicità
che si battono per un presente e un futuro degno di esser vissuto anche dalle
generazioni che verranno. Ecco perché, se continuiamo a difendere Piombino
senza far nulla per levare l’Italia da questa disgustosa guerra ‘umanitaria’,
giusto per esempio, Piombino affonda, come affonda il Mugello, al quale pure si
sta imponendo - con le pale eoliche che ne disboscheranno, ne cementificheranno
e ne impermeabilizzeranno pendici e crinali - un’analoga balla energetica.
Oggi
è venuto a trovarmi un altro commilitone di antiche battaglie, Daniele.
Un
altro col cervello acceso, come tutti noi. E insieme, vedere questa sbandierata
confederale dei dipendenti regionali che - tolti gli amici dell’USB - manco
riescono a collegarsi con le battaglie delle terre e del mare della loro
Regione, quella in cui lavorano e in cui subiscono i torti che lamentano, ecco,
vedere questo spettacolo di ‘opposizione’ ci conferma nell’idea che è appunto
la strada da non seguire. Non a caso la qualità della disobbedienza di Piombino
sta nei suoi cartelli artigianali fatti a mano, nei suoi striscioni fantasiosi,
nei suoi motti irridenti, nelle sue sceneggiature genuine, nella trasversalità
dei messaggi. Guai se dovesse prestarsi all’omologazione! Mi veniva da pensarlo
per contrasto stamani, venendo da San Marco, quando ho visto arrivare compatta
dietro il suo striscione questa allegra brigata di ragazze tinteggiate di rosa.
Già! La rituale Festa della Donna che i media ci hanno rivenduto ancora una
volta da tutti i possibili altoparlanti, dal Quirinale a Radio Radicale con la
sua inascoltabile diretta dalla Camera
giù giù fino al Teatro della Pergola, con l’immancabile Giani che
consegna il ‘Pegaso della Donna’, a caso, alla presidente del Consiglio di Sorveglianza di
Unicoop Firenze. Ecco, queste ragazze
avanzavano urlando in coro il loro bisogno di libertà e di dignità, le loro
voci squillanti rallegravano l’aria e l’animo di chi aveva la fortuna, come me,
di captarle già da lontano.
Ma
che slogan stantii! che ritmi vecchi e monocordi! che conformismo, nella
protesta! ‘Sul mio corpo decido io’: meraviglioso! Ma è davvero andata così, in
questi ultimi anni di psicopandemia generalizzata, di asservimento mentale dei
ragazzi nelle famiglie e nelle scuole? Ho provato un paio di volte a
chiederglielo, ad alcune di loro. Potrei sbagliarmi, non c’era davvero il tempo
di mettersi a ragionare, ma ho avuto l’impressione che la mia domanda semplicemente
non arrivasse. Ripeto, potrei sbagliarmi. Ma le parole d’ordine ‘trans-femministe’
sventolate dal servizio televisivo che le ha raccontate, poco fa, dalla piazza
in cui sono confluite, la SS. Annunziata, mi fa temere che la manipolazione
della protesta e del disagio stia facendo pericolosi passi avanti in salsa
pseudo-progressista. Un po’ come con la fola dell’‘antifascismo’.