LA RETE TIM A KKR
di
Franco Astengo
Ancora
sul deficit di strategia industriale.
Il
cda di TIM ha venduto ieri 5 novembre la rete per 22 miliardi al consorzio
formato da KKR, Ministero delle Finanze e F21: il Ministero avrà una partecipazione
di minoranza del 20%, circa metà dei dipendenti di TIM saranno trasferiti alla
nuova società infrastrutturale. Non possiamo che ribadire il forte giudizio
negativo sull'operazione, lanciando un segnale d'allarme e individuando nella
politica industriale un vero punto di debolezza dell'opposizione sia da parte
del PD sia da parte dell'AVS. Siamo di fronte infatti all'ennesimo passaggio
che segnala l'assenza dell'Italia da una qualche idea di piano di strategia
industriale. L'operazione TIM/KKR è un "unicum" in Europa:
separazione della rete dai servizi e privatizzazione. Inutile enfatizzare il
ruolo dello Stato, come ha cercato di fare il governo: il fondo americano KKR
diventerà proprietario al 65% di un asset strategico del nostro Paese e non ci
sono stati forniti elementi per capire quali garanzie siano realmente previste
per le scelte strategiche, l'occupazione, gli investimenti e la tutela dei
dati. Ne avevamo già accennato a febbraio di quest'anno quando era apparsa la
notizia dell'avvio della trattativa in questione: senza alcuna concessione
"sovranista" così si dimostra tutta la fragilità del
contorto processo di privatizzazioni avvenuto in Italia nel settore
decisivo delle infrastrutture tecnologiche (intendiamoci bene: dal tempo
dei dalemiani "capitani coraggiosi" discendendo per le rami dal
prodiano scioglimento dell'IRI). Da allora si è creata una situazione di
evidente scalabilità e debolezza, a dimostrazione di una ormai storica
incapacità di programmazione dell'intervento pubblico in economia e di assenza
di politica industriale (che coinvolge anche l'Europa). L'opposizione e il
sindacato non possono rimanere ingabbiati in questa dimensione strategicamente
inesistente, tutta rivolta all’autoconservazione del politico, schiacciata dall’emergenza
dell’immediato. Serve un colpo d’ala nella progettualità e nell’intervento del
pubblico sui nodi strategici, serve affermare la forza del movimento dei
lavoratori da proiettare in avanti, non basta evocare un indefinito “green” e
un imperscrutabile “digitale” in un Paese al centro della contesa europea e che
accusa da tempo limiti enormi dal punto di vista della politica industriale
soprattutto sul delicatissimo terreno dell'innovazione nei settori strategici.
Limiti del resto non affrontati neppure nella "possibile"(?)
occasione fornita dal PNRR al riguardo della quale il discorso andrebbe
affrontato in sede opportuna ma che non può essere sottovalutato o peggio
dimenticato.