UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

lunedì 25 novembre 2024

PATRIARCATO
di Claudia Mazzilli


 
A proposito del libro di Massimo Cacciari su Maria.
 
Ha ragione Gabriella Galzio, quando sulle pagine di Odissea parla di “negazionismo patriarcale” (articolo del 23 novembre 2024). Ho letto anch’io la stessa intervista a Massimo Cacciari (https://www.alzogliocchiversoilcielo.com/2024/11/massimo-cacciari-la-figura-di-maria-non.html?m=1) sul suo ultimo libro La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) e ne ho tratto conclusioni che mi fa piacere condividere in questo spazio di confronto democratico e autenticamente libertario. In tutta l’intervista altro non trovo che la ratifica degli stereotipi di genere, che costellano il testo dall’inizio alla fine. Si comincia con affermazioni come “questa figura della donna simbolo di amore gratuito, di perfetta misericordia”, e si chiude con una siffatta conclusione: “La colpa dei padri è di non aver visto e compreso l’icona di Maria: simbolo straordinario di amore gratuito, di misericordia, di partecipazione alla sofferenza, di capacità di perdono”. Verrebbe da dire che i padri tutto questo l’hanno visto eccome! E hanno appiattito Maria in una figurina bidimensionale, volta unicamente all’abnegazione e al sacrificio. Non basta certo l’urlo da partoriente sotto la croce, tanto enfatizzato da Massimo Cacciari, per farne altro!
La donna soffre e perdona, l’uomo esercita il potere. Può essere questa una grande novità? Può essere una rilettura inedita della figura di Maria? Esasperare i tratti di una Madonna sofferente non mi pare una grande rivoluzione ermeneutica. La chiamano da secoli Addolorata, per l’appunto.
Ma passiamo ai lapsus linguistici. A un certo punto Cacciari dice di Maria: “È una donna reale, simbolo di libertà e di misericordia. Non ha niente a che fare con il simboletto della madre terra, è protagonista, non si limita semplicemente a generare”.



Ma, mentre scrive questo, Cacciari sa di cosa parla? Perché io non riesco a capire quale sia per Cacciari il “simboletto della madre terra”, se lui non lo precisa: si riferisce alle incisioni simili ai triangoli pubici? Si riferisce ai disegni ornitomorfici o a quelli ofidici? Allude ai simboli lunari della triplice Dea? Allude ai cerchi, alle spirali, ai meandri? Si riferisce alle statuette femminili opulente o a quelle stilizzate e filiformi? Non è dato saperlo. Certo è che sorprende leggere una formula che appare sprezzante per tre motivi. Perché usare il singolare “simboletto”, se i simboli della Dea sono tanti? Ma soprattutto perché usare un’espressione così sminuente - il diminutivo dispregiativo in “etto” - per quello che invece è il linguaggio della Grande Dea, per parafrasare il titolo del libro di Marija Gimbutas? Un linguaggio che è stratificato nei secoli e nei millenni, oltre che nelle aree geografiche, perché parliamo di una civiltà che è durata decine di migliaia di anni prima che, per sovrapposizione e conquista, più o meno 5.000 anni fa, si imponesse la patriarcalizzazione ad opera dei pastori nomadi indoeuropei cui giustamente Gabriella Galzio fa riferimento quando cita Heide Goettner-Abendroth, la massima esperta nonché fondatrice degli Studi Matriarcali moderni. 



Perché Cacciari parla solo di madre terra (usando rigorosamente la minuscola!) e non invece di quella Grande Dea che è appunto la protagonista di processi che vanno ben oltre il mero generare e che coinvolgono i grandi cicli cosmici della natura, ossia una potenza del femminile che non si limita alla funzione riproduttiva, ma ha il suo rango in sé stessa? La risposta è una sola: di tutto questo Cacciari nulla sa. Nel seguito dell’intervista, infatti, Cacciari non fa cenno alcuno a ciò che Maria ha significato negli strati popolari e per le donne: l’ultima ipostasi di una Dea del continuum indistruttibile di nascita, morte e rinascita, sia pur svilita dopo il concilio di Efeso, come Galzio puntualmente precisa. Mia nonna, ad esempio, pregava la Madonna come figura intermediaria tra i vivi e i defunti della famiglia, non come dea della natalità. 



Appaiono confuse e sbrigative anche le considerazioni di Massimo Cacciari sulla maternità surrogata. Andare oltre la maternità biologica come si concilia, per Cacciari, con lo sfruttamento dei corpi delle donne? Come distinguere tra lo sfruttamento e il dono? Nella risposta all’intervistatrice, Cacciari divide la sua riflessione a riguardo in due parti senza far capire cosa sia per lui l’egoismo e cosa il dono. Ed ecco che di nuovo Cacciari inciampa negli stereotipi: “Padre è la figura che nella nostra civiltà doveva garantire anche la stabilità della nostra identità. Ma è la madre, è Maria la “persona” della Misericordia”. 
In conclusione, Cacciari vuole sentirsi un iconoclasta del patriarcato, ma è tutto dentro il patriarcato, che non chiama con il suo nome, usando invece il termine “maschilismo”, concetto ben più riduttivo, che nulla dice del sistema di dominio dell’uomo sull’altro uomo né del dominio dell’uomo sulla natura, oltre che sulla donna.



Mi si potrà dire che sono io ad avere fin troppi problemi di comprensione e che, se il pensiero di Cacciari è così alto e io non lo capisco, non è colpa dell’esimio filosofo. Oppure mi si potrà rimproverare che tutto il mio ragionamento è viziato da pregiudizi ideologici femministi grevi, e che dovrei leggere non solo l’intervista che ho trovato sguazzando nel web, ma l’intero libro La passione di Maria, prendendomi la briga di andare almeno a sfogliarlo in libreria. Ed è quel che farò. Chi legge e studia, quando prende tra le mani un saggio, parte dalla coda e guarda la bibliografia. E, sapendo bene quali libri non troverò citati in fondo al volume di Cacciari, ho pensato di fornirgli dei consigli di lettura. Sono libri di illustri studiose: sono gli stessi libri che cita anche Gabriella Galzio. Letture che sentiamo di consigliare non solo ai filosofi, ma anche a molti ministri e, più in generale, a chiunque voglia usare la parola “patriarcato” con un briciolo di consapevolezza.

TAGLIANO ALBERI INVECE DI CURARE I MALATI



La Regione Friuli Venezia Giulia non cura i malati, ma distrugge la pineta di Cattinara.

Trieste. La sanità triestina ha moltissimi problemi: liste d’attesa lunghissime, tagli alle strutture territoriali - con la chiusura di due consultori - sfruttamento del personale, approcci medici discutibili, improntati al dogmatismo più ottuso e nocivo. E l’intera nostra regione non è da meno: basti vedere che tuttora siamo ai vertici nazionali per morti (dichiarate) da covid. I dirigenti di Asugi e gli amministratori della regione sono troppo indaffarati per pensare a come curare le persone. Si devono occupare di abbattere la pineta di Cattinara per dare spazio alla speculazione edilizia e deportare il Burlo Garofalo a Cattinara! Vergogna Poggiana! Vergogna Fedriga! State certi che ci sarà sempre qualcuno che non vorrà accettare il vostro mondo di cemento, soldi e tracotanza! E tenterà sempre di mettersi di ostacolo alla vostra distruzione.
Coordinamento No Green Pass e Oltre
nogreenpasstrieste@riseup.net

ALTA VELOCITÀ NEL VENTRE DI FIRENZE


 
Soddisfazione di Idra dopo il primo incontro con l’Osservatorio Ambientale di S. Barbara: presto una visita al cantiere nella ex miniera.
 
Prosegue l’azione di monitoraggio che dal 1998 l’associazione ecologista di volontariato Idra svolge sul progetto di nodo ferroviario Alta Velocità di Firenze. Questa volta aggiungendo tasselli di curiosità e di informazione attorno al programma di smaltimento delle terre da scavare per tredici chilometri dal sottosuolo della città d’arte e cultura cara al mondo, e ai signori del tondino e dell’acciaio. Dopo l’appuntamento col sindaco del Comune aretino, Cavriglia, che la Regione Toscana e i Ministeri competenti hanno chiamato a ospitare 1.350.000 metri cubi di smarino senza convocarlo alle conferenze di servizi che dal 1999 hanno provveduto ad approvare, bocciare, correggere e riformulare l’intervento in corso fra Campo di Marte e Rifredi, Idra ha chiesto e ottenuto con gradita tempestività un incontro con l’Osservatorio Ambientale istituito il 20 gennaio 2022 per seguire le operazioni di messa a dimora delle terre nella ex miniera di lignite di Santa Barbara, di proprietà Enel. Lo scorso 7 novembre una delegazione dell’associazione ha incontrato in rete la presidente dott.ssa Chiara Pennino, il dott. Roberto Giangreco rappresentante del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, il dott. Marcello Bessi rappresentante della Regione Toscana e il dott. Federico Brega del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica, con funzioni di Segretario. Ad accompagnare, per Idra, Marco Mordini e Girolamo Dell’Olio il dottore forestale Enrico Cenni in qualità di consulente. 



È stato possibile fare alcuni importanti punti fermi su aspetti che l’Osservatorio ha mostrato di voler sorvegliare con la massima attenzione e intransigenza. In primo luogo, credibilità progettuale e qualità ambientale del parco a verde pubblico che dovrebbe risultare dal deposito delle terre del ventre di Firenze, sia di quelle ricavate ‘in tradizionale’ con escavatori e benne nell’area della nuova stazione impropriamente denominata Belfiore, sia di quelle estratte con la fresa TBM (Tunnel Boring Machine) addizionate di tensioattivi. Il primo dato che Idra ha desiderato verificare riguarda uno dei tanti ‘cambi in corsa’ che l’incerta attuazione del piano di sotto attraversamento TAV di Firenze sta presentando, dopo aver languito per 24 anni fra false partenze, nuovi incarichi, inchieste giudiziarie, fallimenti di imprese e revisioni progettuali: l’annunciata aggiunta di calce alle terre conferite in miniera ma incapaci di ‘star ritte’ nella collina destinata a parco per l’eccesso di liquidità che accusano. Netto il responso del dott. Bessi: “La calce attualmente non esiste, non è prevista nel progetto. Se intendono introdurla dovranno avviare le procedure necessarie a una modifica al progetto. Qualche problema di terre probabilmente eccessivamente liquide c’è, è inutile nasconderlo, ed è ovvio che l’ipotesi di calce ci sia. Però, qualora dovesse diventare realtà, c’è tutta una serie di passaggi istituzionali di procedimento che vanno eseguiti, e che però non competono a noi, ma al Ministero e all’Arpat”.


Altrettanto chiara la posizione del Ministero, espressa dal dott. Giangreco: “Noi ragioniamo per atti. Allo stato, gli atti che sono in nostro possesso dicono che la calce non è prevista. Dal momento in cui vi sarà una richiesta formale di utilizzala, dovrà essere sottoposta alle procedure di verifica e controllo, e alla modifica formale del PUT, il Piano di Utilizzo delle Terre”. Già, perché il PUT aggiornato non più tardi dello scorso marzo con l’introduzione di un nuovo additivo a decomposizione accelerata recita testualmente: “Le indagini eseguite e di cui si da conto in motivazione confermano l’utilizzabilità geotecnica dei materiali provenienti dagli scavi per la realizzazione della Collina Schermo, previa esecuzione in corso d’opera del monitoraggio sotto controllo di ARPAT Toscana, non risultando peraltro necessario il trattamento a calce”. 



Una previsione smentita dall’esperienza, se è vero che, come ha chiarito la presidente Pennino, “attualmente la gestione delle terre si limita al conferimento e alle analisi per la verifica della conformità alle prescrizioni ambientali, perché la realizzazione della collina non si è ancora avviata. Ad oggi, le terre sono stese in orizzontale e arrivano a uno spessore di 80 cm nelle piazzole per la caratterizzazione. Successivamente vengono collocate in area contigua alle piazzole”. E il rappresentante della Regione ha precisato: “I viaggi delle terre verso Cavriglia sono iniziati a febbraio, e hanno riempito in tutto 34 piazzole, di cui 4 non avevano all’analisi le caratteristiche corrette (e quindi sono state mandate in discarica a rifiuto), una è andata a Cava Bruni a Serravalle Pistoiese (dove vengono recapitate le terre che rispettano solo alcuni dei requisiti per destinazione a parco), e 29 sono state stese per un totale di circa 100.000 mc. Quindi non stiamo parlando propriamente nemmeno della base della collina da realizzare: siamo solo all’inizio. Al momento sono state semplicemente ubicate nell’area della base della collina in attesa di sistemazione definitiva”.
Se e quando la richiesta di addizione della calce sarà formalizzata da RFI (circostanza finora non verificata), al netto della modifica del PUT saranno dunque necessari due tipi di adeguamento, è stato confermato a Idra: il progetto di collina e relativa piantagione, come ha opportunamente osservato Enrico Cenni, e il piano di cantierizzazione, su cui veglierà l’Osservatorio, titolare di questa specifica competenza.


È vero infatti che - come prevede il decreto ministeriale 161 - le “normali pratiche industriali” ammettono «la stabilizzazione a calce, a cemento o altra forma idoneamente sperimentata per conferire ai materiali da scavo le caratteristiche geotecniche necessarie per il loro utilizzo, anche in termini di umidità». Ma è evidente che la destinazione finale di questi materiali non è un piazzale asfaltato o un parcheggio, bensì un parco pubblico in un contesto di riambientalizzazione: occorrerà dunque valutarne attentamente condizioni e modalità realizzative. “Sarà necessario certificarne la coltivabilità – ha osservato Cenni - da parte di alberi ed erbe, tenendo conto della catena trofica che viene a insediarsi. Il controllo, oltre che sull’assenza di inquinanti, dovrà curare quindi la caratterizzazione anche dal punto di vista dell’inserimento nella catena trofica”. In ogni caso, per favorire l’attecchimento vegetale desiderato,gli ultimi strati di terra - è stato ipotizzato dall’esponente della Regione - non verrebbero trattati a calce”. Non sarà allora un banale dettaglio stabilire lo spessore necessario a questo strato apicale perché - a livello chimico-fisico - risulti accessibile all’apparato radicale delle piante, che crescano in modo adeguato. È fondamentale che lo spessore sia sufficiente allo sviluppo radicale soprattutto degli alberi, che in caso di spessore inadeguato troverebbero una “soletta” compattata dalla calce che ne impedirebbe il normale sviluppo, con conseguenze sulla vigoria vegetativa e sulla stabilità delle alberature. Infine, da Idra, due richieste, un suggerimento e una proposta. Una visita guidata al cantiere di Santa Barbara, promessa sia da Rfi sia dal sindaco di Cavriglia ma mai concretizzatasi, potrà aver luogo a breve, prima delle festività natalizie, in occasione del sopralluogo che l’Osservatorio ha in programma. Idra ha chiesto anche di poter essere tenuta informata sugli sviluppi dell’ipotesi-calce e sugli altri aggiornamenti progettuali. 



È stato chiesto al riguardo di poter conoscere identità e composizione chimica del nuovo additivo adottato dalla fresa sotto Firenze, di cui anche l’amministrazione comunale di Cavriglia è risultata essere ignara. Il dott. Cenni si è chiesto inoltre se non esista un altro sistema di consolidamento delle terre troppo liquide, per esempio a livello di ingegneria naturalistica: l’Osservatorio potrebbe farsene promotore? Sulla scorta dell’esperienza maturata in quattordici anni di monitoraggio della cantierizzazione TAV in Mugello, poi, il presidente di Idra ha suggerito che anche in Valdarno si organizzi a una giornata di presentazione del progetto e di ascolto e interlocuzione con la cittadinanza, come quella che l’Osservatori ambientale per la tratta appenninica TAV presieduto dall’ing. Fabio Trezzini meritoriamente promosse a Borgo San Lorenzo il 4 novembre del 1999, che viceversa l’Osservatorio ambientale del nodo di Firenze si rifiuta categoricamente di accordare nella città bersaglio della pesante cantierizzazione TAV. Infine, come è ormai prassi dell’associazione dopo gli incontri con rappresentanti delle istituzioni, è stato chiesto che questo resoconto pubblico fosse revisionato, integrato e corretto - per la parte riguardante le informazioni fornite dall’Osservatorio - dalla sua cortese presidente, come è felicemente avvenuto.
Associazione di volontariato Idra

domenica 24 novembre 2024

CRIMINALI DI GUERRA
di Angelo Gaccione



Non esistono crimini di guerra, la guerra è essa stessa un crimine”. Questo aforisma del 19 febbraio del 2024 si trova in un mio libretto dal titolo Schegge, pubblicato da I Quaderni del Bardo edizioni a giugno di quest’anno. Sempre in questo libretto ce n’è un altro ancora più perentorio, è del 2022 e recita: “Non ci interessano le ragioni di una guerra, semplicemente perché la guerra non ha mai ragione”. L’incriminazione di Netanyhau e di altre canaglie, mi ha spinto ad andare a vedere che cosa avevo scritto nel pamphlet: Scritti contro la guerra (Tralerighe Libri editore, 2022). Vediamone un passo: “In un sussulto di umanitarismo e di indignazione gli ipocriti hanno scoperto che la guerra è un crimine e vogliono che si processino i criminali. Esiste persino un Tribunale Internazionale per giudicare i crimini di guerra. Purtroppo ipocriti e Tribunali sono prigionieri dello stesso difetto: l’ipocrisia, e dunque si fermano alla superficie, evitano di andare al fondo del problema. Se non fossero ipocriti dovrebbero esigere che a rispondere per crimini di guerra fossero tutti i capi di Stato e di Governo che hanno dotato la loro nazione di eserciti, basi militari, ordigni di sterminio di massa, alleanze foriere di tensioni. Di aver dilapidato gigantesche risorse del bilancio pubblico per fini militari creando le premesse della guerra ritenuta un crimine. Per non aver proceduto a tutelare la vita e i beni dei loro cittadini attraverso una politica di disarmo, di non violenza, di rapporti pacifici con le altre nazioni”. 

Max Hamlet Sauvage
Mercante di armi - 2024

Non avevo aggiunto, in questo capitolo dal titolo “Ipocriti”, gli scienziati e i tecnici che progettano ordigni di guerra, i mercanti di armi che le commerciano, gli operai che le costruiscono, i sindacati e i partiti che tacciono complici, le banche che finanziano gli investimenti, gli investitori che comprano le azioni, i Parlamentari che ne autorizzano l’impiego. Non li avevo aggiunti perché si parla di loro in altri capitoli. Come si parla della categoria dei giornalisti che la guerra la alimentano in maniera più sfacciata e impudente dei militari; degli opinionisti che spacciano guerra a pranzo e a cena dai salotti televisivi, dai giornali, dai mezzi di comunicazione a disposizione. Se la guerra è un crimine, come sostiene l’aforisma con cui abbiamo aperto questo scritto, ne discende che tutti coloro che a vario titolo la provocano, la alimentano, ne fanno l’apologia, sono dei criminali e su di loro dovrebbe pendere un mandato di cattura della Corte Internazionale. Tutti costoro sono complici dei crimini che le armi producono in guerra, come lo è la propaganda che i guerrafondai alimentano. Difficile, dunque, vedere alla sbarra i responsabili delle categorie che abbiamo fin qui enumerate; difficilissimo vederne qualcuno penzolare dalla forca o rinchiuso al 41bis. Se lo facessimo qui da noi, per esempio, non rimarrebbe in piedi nessuna delle istituzioni della Repubblica e avremmo bisogno di una quantità spaventosa di colonie penali e di isole dove custodire i condannati; quanto alla stampa, in edicola trovereste solo “il Fatto Quotidiano” e poco altro.
 

 

 

 

DEMOCRAZIA E COSCIENZA UMANA
di Franco Astengo


 
Un tentativo di riflessione sul tema Intelligenza Artificiale e Democrazia 
 
Dal coacervo di contraddizioni, oggi mai così complicate, che segnano la presenza umana sul globo terracqueo sta sorgendo un interrogativo di fondo: la democrazia fa parte della coscienza umana? Alla democrazia sarà possibile affrontare quei veri e propri incubi che stanno tornando sulla testa del mondo: il rinnovarsi dello spavento nucleare (apparentemente non più regolato dall’equilibrio del terrore, in una situazione di vera e proprio “confusione storica”) e quella che è stata definita intelligenza artificiale attraverso cui si pensa di spegnere la creatività umana, il senso stesso dell’operare umano tra teoria e prassi, riducendone l’azione esclusivamente al “problem solving”?
Il tema è quello del triangolo: sapere scientifico - applicazione tecnica - mezzi della decisione umana. L’idea dell’esistenza di altri mondi che tanto ci appassionò all’epoca delle prime imprese spaziali negli anni ’60 del XX, al tempo della gara tra URSS e USA, si è forse mutata nell’ipotesi della presenza di un mondo parallelo, qui accanto a noi che proprio lo sviluppo scientifico avrebbe consentito di realizzare? Un mondo parallelo dal quale potrebbero scaturire, alla fine, soggetti costruiti artificialmente (almeno secondo la nostra concezione della procreazione naturale) capaci di marginalizzare se non sostituire il genere umano proprio sul terreno della creatività, fin qui fondamentale per proseguire nella scia di quel fenomeno che è stato definito come “sviluppo” di cui seguendo la “coscienza storica” fa parte l’ideale democratico? Ancora una domanda: sarà forse questa, della sopravvivenza e/o della sostituzione della specie la nuova frontiere delle “fratture” da affrontare nel prosieguo della modernità?
Interrogativi che valgono, a prima vista, quelli che agitarono il mondo della filosofia e delle scienze al tempo della “prima modernità”, quella segnata dall’idea dell’universo infinito che portò al rogo Giordano Bruno. 



Il bilancio di questa prima modernità è quello che si indicava prima al riguardo del coacervo complicato delle contraddizioni: dopo i secoli delle guerre e delle rivoluzioni siamo al secolo della disuguaglianza planetaria. Ci troviamo, infatti, nella fase in cui emerge la concretezza di un’impossibilità di estendere a tutto il genere umano gli (apparenti) benefici del sapere così come questi si sono accomodati, nel determinare l’agiatezza dell’individuo nella vita quotidiana, in una sola - ristretta - parte del mondo. Individuo scritto al maschile non per distrazione o voglia di semplicità ma perché rimangono intere anche nella parte opulenta del mondo, le insensatezze della presunta superiorità di genere e dell’altrettanto presunta superiorità razziale. Proseguendo negli interrogativi: quale senso, allora, possono avere parole come “lavoro vivo” oppure - addirittura - “sicurezza” in questo contesto? Tanto per citare la denominazione di due temi che stanno a cuore a gran parte di coloro che abitano la parte “ingiusta” del pianeta vivendo in quelle che un tempo avevamo definito “società affluenti”.
Interrogativi come macigni per coloro che intendono proseguire a pensare in termini di uguaglianza, affidando l’idea di progresso alla materialità del divenire storico. Che risposta può dare la sinistra che si è per lungo tempo identificata nel “fuoco prometeico” nei “soviet più elettrificazione uguale socialismo” e nelle “magnifiche sorti e progressive”?
Nei secoli il flusso tra conoscenza e realizzazione, tra teoria e prassi ha costruito il mondo nel quale viviamo e che, noi abbiamo giudicato comunque sempre migliore rispetto a quello precedente: in fondo nessuno si è mai accontentato dell’affermazione di Candide sul “migliore dei mondi possibili”.



Oggi, forse, su questo punto siamo almeno all’antivigilia di una svolta epocale.
Come ricordano Bernabè e Gaggi (Profeti, Oligarchi e Spie) tra i temi più delicati c’è, ovviamente, l’impatto che la tecnologia ha sul sistema politico e sulla stessa dinamica democratica: questa trasformazione si coglie con sempre e maggiore evidenza nel passaggio da una dimensione collettiva dei fenomeni sociali alla fase dell’individualismo competitivo.
Si dovrà sicuramente affrontare il tema della struttura delle rivoluzioni scientifiche, quella nozione “centrale” che Kuhn ha individuato nel paradigma inteso come costellazione di credenze, tecniche, criteri, e indicazioni metodologiche condivisi dalla comunità degli scienziati e dei ricercatori che oggi, come ha scritto Jerry Kaplan (Le persone non servono. Lavoro e ricchezza nell’epoca dell’intelligenza artificiale a suo tempo pubblicato dalla Luiss) è chiamata a rendersi conto che “i saperi necessari cambiano troppo in fretta” e diventa sempre più difficile inseguirne il senso. 



È il caso dunque di fermarci? Il senso del limite potrà essere oggetto di concreta riflessione?
Apparirà un orizzonte di “socialismo della finitudine” con gran parte del mondo che vive in condizioni neppure immaginabili da parte di chi invece, vive nella realtà dell’individualismo consumista e sta ormai completamente immerso nella sfera del tecnologico che supera l’umano?



Seicento milioni di africani non usufruiscono dell’energia elettrica: tanto per esemplificare una delle tante diversità. All’ordine del giorno della riflessione della sinistra che combatte la disuguaglianza (e non rinuncia all’idea di abolirla: cioè all’idea del comunismo) forse ci si può ancora riferire a Noam Chomsky e alle sue Tre lezioni sull’uomo nel cui testo il grande filologo ha cercato di fare il punto sul linguaggio, la coscienza, la fisiologia, la biologia e la teoria politica, senza trascurare neppure la fisica e la chimica.
Al centro del pensiero di Chomsky l’idea, ripresa soprattutto dai grandi del ’600 - ’700 Newton, Locke, Hume e ancor prima da Galileo che la natura abbia costituito l’intelletto umano con limiti intrinseci alle capacità conoscitive, limiti che non potranno essere valicati e che di fatto quei pensatori riconobbero e che, fin qui, effettivamente non sono mai stati varcati (in questo modo potrebbe porsi il tema dell'uguaglianza e della proprietà da materiale a virtuale).

 


Compare così il grande tema che molti stanno sollevando nell’oggi del rapporto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale, quel tema che Federico Faggin riassume nel suo Irriducibile: “La coscienza umana è fondamentale, quindi irriducibile perché esiste prima della materia”.

 

 

“SE IO NON VOGLIO TU NON PUOI”    
di Vittorio Melandri

Giuseppe Valditara (Lega)
 
Lanciata dall’associazione “Una nessuna centomila”, è ancora quanto mai necessaria una così bella campagna, anche se sono già passati quasi vent’anni da quando, nel 2007, la Suprema Corte di Cassazione ha deliberato, con sentenza n. 35408 che non esiste “diritto” all’amplesso neppure all’interno di un rapporto “di coppia coniugale o para-coniugale”, né, di conseguenza, “il potere di esigere o imporre una prestazione sessuale”. E sempre a proposito di patriarcato giusto un anno fa Michele Serra in un articolo che aveva per titolo “La sfida per noi maschi”, centrava di par suo il problema: “(…) il patriarcato è una forma storica di rapporto familiare, riproduttivo, sociale, fondato sulla proprietà maschile del corpo femminile, (...) vale la pena combatterlo - così come la discriminazione di classe, o la predazione ingorda delle risorse naturali”. La sfida, che la raccogliamo o no, è ancora tutta dinnanzi a noi. Ma per raccoglierla, tanto più non possiamo permetterci illusioni, la figura del “maschio dominante”, per quanti gradi di mutamento abbiamo introdotto, è ancora il cardine attorno al quale tutto ruota, in primis discriminazione di classe e predazione di risorse naturali, a cominciare da quella risorsa primaria che è l’intelligenza umana. Non possiamo permetterci di sederci illusi sui risultati sin qui ottenuti. A differenza del teschio deformato ai piedi degli ambasciatori nel dipinto di Holbein, che l’anamorfosi deforma per nasconderlo alla vista, noi al contrario trasformiamo con lo stesso procedimento a rovescio, dei passi avanti timidi e parziali e deformati quali sono, in confortanti mutamenti, e arrivando ad  abusare, oltre che del corpo delle donne,  anche della sineddoche, forma che consente di identificare una parte per il tutto, proponiamo nel nostro linguaggio il presente, come fosse un solido piedistallo su cui appoggiare le nostre speranze future. Ma così la sfida diventa un gioco dell’oca, in cui capita anche che un Ministro della Istruzione sempre meno pubblica, consideri il patriarcato come un reperto fossile, e si torni tristemente al punto di partenza.
 

A CENTO CELLE A ROMA

Laboratorio Sociale Autogestito




ATENEO LIBERTARIO DI MILANO



 
 

sabato 23 novembre 2024

NEGAZIONISMO PATRIARCALE
di Gabriella Galzio


 

Con il suo ultimo saggio La passione secondo Maria (Il Mulino, 2024) il nostro Cacciari si guadagna la palma del “negazionismo patriarcale”! Cacciari è lo stesso che ha affermato che il patriarcato, senza darne metodologicamente uno straccio di definizione, è finito duecento anni fa. Ora il Nostro non è né un antropologo, né un sociologo, né uno storico delle civiltà o delle religioni, ma solo un filosofo, e ciò dovrebbe indurlo alla cautela, ma poiché si erge a tuttologo, spazia il lungo e in largo senza alcuna metodologia come vorrebbero le scienze sociali. Per questo, sempre su “Odissea”, ebbi modo, a partire dai criteri di definizione di matriarcato, di proporre una definizione di patriarcato, peraltro con l’avallo di Heide Goettner-Abendroth, la studiosa tedesca che nella seconda metà del Novecento ha istituito i Moderni Studi Matriarcali (con buona pace di chi ancora si attarda sugli studi, ma anche sui pregiudizi, di Bachofen e della vecchia scuola). Ciò che allora, però, non mi era ancora chiaro, è che ci troviamo di fronte a un emergente fenomeno trasversale di “negazionismo patriarcale”, dal recentissimo cd. ministro Valditara (“il patriarcato è finito cinquant’anni fa, ora ci sono solo residui di maschilismo”), a Diego Fusaro che lo precede (“Il patriarcato è finito cinquanta anni fa”), a Marco Travaglio a cui evidentemente Valditara si è ispirato (“Non vedo patriarcato, ma maschilismo”), ad Antonella Viola (“Non sono nata in una famiglia patriarcale”), alla faccia della patrilinearità, in base al diritto di famiglia dell’epoca in cui è nata, fino al nostro Cacciari (“Il patriarcato è finito duecento anni fa”). Ora, questa trasversalità del negazionismo è il sintomo che siamo in presenza di una trasformazione in atto profonda, che mette in discussione alle fondamenta la nostra civiltà patriarcale. E non bisogna arrivare allo stupro della propria figlia (Giulia Cecchettin) per svegliarsi finalmente a questo processo di trasformazione che rivendica una sacrosanta uguaglianza tra i generi e, più in generale, un’uscita dai rapporti di dominio, perché è il dominio la quintessenza del patriarcato, che l’uomo esercita anche sull’uomo, non dimentichiamolo (sfruttato sul lavoro, carne da macello in guerra). Oggi che siamo in procinto di manifestare contro la violenza sulle donne (irriducibile a una sola giornata), auspico che le donne, sempre più numerose e salde, contrastino, non solo i femminicidi a livello fisico, ma anche i negazionismi a livello culturale, perché fanno parte della stessa reazione irrazionale e inconscia all’emergente cambio di paradigma. 




E veniamo a Cacciari, perché assegnargli la palma del negazionismo patriarcale? Perché osa dove arrivano le “aquile” (mi si perdoni l’ironia), ovvero osa arrampicarsi al sostrato psico-antropologico delle religioni, e scusate se è poco; ma proprio per questo, non si può più tacere. Ma cosa dice Cacciari in un’intervista che rilascia a proposito del suo libro? Egli afferma che la rimozione della figura di Maria abbia prodotto “il fatto che, nonostante questa figura della donna simbolo di amore gratuito, di perfetta misericordia, noi oggi viviamo in una società lontana mille miglia da ogni idea di dono e di perdono.  Viviamo in un mondo che ha dimenticato completamente la compassione…” (
www.alzogliocchialcielo.com Massimo Cacciari "La figura di Maria non è mai stata al centro del mondo europeo e cristiano"
) Ma va?... e di che si “stupefa” il nostro negazionista patriarcale? Che prima detronizzano la sacra femminile Diana efesina (concilio di Efeso, 431)… e sulle sue ceneri “residuano” la depotenziata, non più sacra, madonna cristiana, reductio ad maternum? Ora di che si meraviglia se quei sacri valori femminili (Afrodite Elemoon, la misericordiosa, ben prima della madonna cristiana) sono stati depotenziati, emarginati, e ora languono, pallidi fuochi fatui ai margini dei campi di guerra e di sterminio. Lo dobbiamo proprio ai padri della chiesa e della teologia cristiana, che sono uno dei cardini (quello spirituale) del patriarcato tutt'ora imperante, checché ne dica il Nostro, il quale, senza uno straccio di definizione di patriarcato, dice che è finito duecento anni fa! Ora questo mucchio di scempiaggini può dirle l'uomo della strada, ma non un Cacciari che intasa i talk e occupa la grande editoria come Il Mulino (che peraltro non ci fa una bella figura). Sono consapevole che combatto ad armi impari - non avendo accesso né ai media, né alla grande editoria, né alle istituzioni accademiche - ma se avesse letto il mio ben più cauto Ritorno alla Dea (Agorà & Co), che queste ardenti questioni di civiltà le ha espresse in forma saggistica e in poesia, non dico che avrebbe fatto da “ponte” (anziché da “pontiere” di un pensiero egemonico patriarcale) ma avrebbe cominciato a confrontarsi con “l’Altro” e con “l’Altrove”, un pensiero autentico origina nello stupore, quello vero...

 

CORTEO A MILANO




venerdì 22 novembre 2024

UMANOIDI
di Angelo Gaccione


 
Un po’ di tempo fa volli fare un esperimento: andare a piedi da Porta Romana a Porta Venezia e constatare quante parole avrei scambiato nel corso di questo tragitto. Si tratta di un tragitto non breve, ma io sono abituato a camminare e ad esplorare la città e dunque, non mi ero affatto perso d’animo. Naturalmente non ebbi modo di scambiare una sola parola e nemmeno il più semplice dei saluti, come accade agli abitanti di città molto grandi come Milano. Di ritorno, anche per riposarmi un attimo, entrai in una gelateria e ordinai un cono; fu il solo modo per scambiare qualche frase con il giovane gelatiere. Ovviamente nella mia città di nascita non sarebbe mai accaduto; per quanto la desertificazione migratoria degli ultimi decenni l’abbia svuotata, in un percorso di pari lunghezza sarebbe stato impossibile non incontrare un significativo numero di persone conosciute con cui parlare e scambiare almeno un breve saluto. Di recente a Milano, in una fiera dedicata all’intelligenza artificiale, è stato presentato un umanoide in grado di sostenere una conversazione. I commenti erano entusiasti: presto gli anziani e gli ammalati si sentiranno meno soli ed emarginati, grazie alla loro compagnia. Ignoro il costo di questi robot dotati di parola, ma a me l’idea ha messo tristezza. Gli esperti comunque dicono che ci abitueremo tutti, nei tempi a venire, alla presenza in casa di un umanoide composto di pezzi meccanici, schede magnetiche, sensori e quant’altro. Sarà il suo braccio metallico a farci una carezza se saremo tristi, a portarci un bicchiere d’acqua se avremo sete, e sarà la sua voce, sempre più perfettamente simile alla nostra, a darci il buongiorno. Trentacinque anni fa, e precisamente nel novembre del 1989, scrissi un brevissimo testo teatrale in cui non viene pronunciata una sola parola dal protagonista. Nessuna parola umana fa eco in quella casa, come se le parole fossero state abolite. Si odono solo voci, suoni e rumori emessi dagli oggetti tecnologici di cui ci siamo circondati, e che possiamo considerare come delle “protesi” non del tutto virtuali del nostro tempo. I gesti sono ancora presenti in quella pièce, alcuni per lo meno, ma si trattava, come ho detto, di un tempo lontano. 



Oggi le luci si accendono al nostro passaggio senza dover girare alcun interruttore e si spengono senza dover pigiare un pulsante; basta un clic per aprire e chiudere la portiera di un’auto; la nostra voce per farci dire dalla radio che ora è o attivare un apparecchio; le nostre impronte digitali per programmare l’accensione del riscaldamento o innaffiare le piante del salotto a distanza. Il più semplice dei robot sa pulire i pavimenti e raccontarci una fiaba. L’androide sociale Sophia, creato da una compagnia di Hong Kong, può essere intervistato e darvi risposte coerenti e grammaticalmente corrette come una persona di buona cultura. Mentre di recente la startup Oversonic Robotics ha creato Robee, il primo androide cognitivo prodotto in Italia, in grado non solo di fare tutti i lavori più pesanti, noiosi e pericolosi, ma come accennavo più sopra, addirittura di dialogare con noi. In verità i computer già da tempo dialogano fra loro da un capo all’altro del mondo. Si confrontano preziosamente sul piano medico salvando vite, ma purtroppo anche su quello militare guidando missili che portano morte, armi di sterminio che potrebbero farci saltare tutti in aria per un banale errore di valutazione. La mano è sempre dell’uomo, anche quella che programma gli androidi perché provino empatia e si commuovano con finte lacrime, come certe bamboline che regaliamo ai nostri bimbi. Io preferisco quelle vere che nascono dalla carne, dal sangue, dall’orrore. E preferisco un brandello di dialogo con un essere vivo che ha conservato un’anima, non con un ibrido che non potrà mai averne una.
 

 

 

   

 

 

 

LA DOTTRINA NUCLEARE
di Alessandro Pascolini - Università di Padova



Aggiornamenti russo e americano sull’impiego delle armi nucleari
  
Il 19 novembre scorso il presidente Vladimir Putin ha firmato il decreto esecutivo che approva i principi fondamentali della politica statale della Federazione Russa sulla deterrenza nucleare, anticipati in parte nella sua dichiarazione del 25 settembre scorso nella sessione aperta del Consiglio di sicurezza russo. Quattro giorni prima (15 novembre), il Segretario alla Difesa americano ha presentato al Congresso la parte non classificata del Rapporto 491 che descrive la strategia di impiego nucleare degli Stati Uniti, definita dal presidente Joe Biden all'inizio di quest'anno.
In entrambi i casi, le informazioni rese pubbliche sono completate dalle norme segrete per l'attuazione operativa delle linee guida da parte delle forze armate dei rispettivi paesi.


 

Le modifiche alla dottrina nucleare russa
La dottrina russa per l'uso delle armi nucleari ha subito diverse evoluzioni negli ultimi 15 anni. Le modifiche apportate nel 2010 e nel 2020 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/putin-svela-politica-nucleare-russa) apparivano essenzialmente consistenti con la definizione classica di impiego deterrente. Il documento del 2010 riservava il diritto di utilizzare le armi nucleari in due circostanze: “l'utilizzo di armi nucleari o di altri tipi di armi di distruzione di massa contro [la Russia] e (o) i suoi alleati” e “in caso di aggressione contro la Federazione Russa che comporti l’uso di armi convenzionali, quando l'esistenza stessa dello Stato è minacciata”. Le modifiche del 2020 introdussero nuove motivazioni: la ricezione di “dati affidabili su un lancio di missili balistici che attaccano il territorio della Federazione Russa e/o dei suoi alleati”, e un attacco (presumibilmente con armi convenzionali) contro “siti governativi o militari critici, la cui interruzione comprometterebbe le azioni di risposta della forza nucleare”. Mentre la seconda motivazione non sorprende, data la cruciale importanza della capacità di reazione nucleare, la prima indica una strategia di lancio su allarme (launch on warning LOW): si reagisce con i missili di ritorsione appena i sistemi di allarme precoce individuano un attacco e mentre le testate dell’aggressore sono in volo e non hanno ancora raggiunto i loro obiettivi. Il LOW comporta un rischio significativo di innescare inavvertitamente una guerra nucleare a causa di guasti dei satelliti di allerta e dei radar a terra, di un lancio non autorizzato, di un’interpretazione errata delle azioni o delle intenzioni della controparte. Ora, il decreto del 19 novembre esplicitamente dichiara non più in forza le disposizioni del 2020, e si definisce come “documento di pianificazione strategica nell'ambito della garanzia della difesa nazionale che riflette le opinioni ufficiali sull’essenza della deterrenza nucleare, identifica i rischi militari e le minacce militari da neutralizzare con la deterrenza nucleare, delinea i principi della deterrenza nucleare e specifica le condizioni che possono portare la Federazione Russa all'uso di armi nucleari”. Il quadro normativo di questi principi fondamentali “comprende i principi e le norme di diritto internazionale universalmente riconosciuti, i trattati internazionali della Federazione Russa, e altri atti e documenti legali che regolano le questioni di difesa e sicurezza”. Poiché il documento non esplicita i contenuti dei principi, per conoscere le novità rispetto alla dottrina corrente si deve ricorrere alla dichiarazione del 25 settembre, nella quale emergono tre punti significativi. 



Il primo punto appare legato alla presente fase della guerra in Ucraina: “l'aggressione alla Russia da parte di qualsiasi stato non nucleare, ma con la partecipazione o il sostegno di uno stato nucleare” sarebbe considerato come un “attacco congiunto” alla Russia. Putin mira così a coinvolgere direttamente i tre stati della NATO con di armi nucleari nelle operazioni convenzionali dell'Ucraina, con il probabile obiettivo di dividere gli alleati europei. In secondo luogo, la Russia prenderebbe in considerazione l’uso di armi nucleari in caso di “ricezione di informazioni affidabili su un lancio massiccio di armi di attacco aereo e spaziale e sul loro attraversamento del nostro confine di stato”, per includere un attacco da parte di “aerei strategici e tattici, missili da crociera, droni, aerei ipersonici e di altro tipo”. Viene così enormemente ampliata la strategia LOW per includere l’attacco massiccio di qualsiasi velivolo armato. Agli osservatori occidentali sembra difficile che anche un tale attacco convenzionale possa innescare l’impiego di armi nucleari da parte della Russia. Infine la Russia si riserva “il diritto di usare le armi nucleari in caso di aggressione contro la Russia e la Bielorussia in quanto membro dello Stato dell’Unione [Russia-Bielorussia]”, compreso un attacco in cui l’avversario “usando armi convenzionali, crea una minaccia critica alla nostra sovranità”. 



Il linguaggio copre esplicitamente la Bielorussia (già inclusa fra gli alleati dell’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva CSTO), segnale emblematico di una relazione strategica sempre più stretta tra Mosca e Minsk, già espressa dall’installazione di armi nucleari russe in Bielorussia. Soprattutto, cambia il criterio per stabilire quando la Russia potrebbe usare le armi nucleari: da un attacco convenzionale che mette “in pericolo l’esistenza della Russia” si passa a uno che “pone una minaccia critica alla sovranità russa” (o bielorussa). Questa formulazione è volutamente ambigua (cosa costituirebbe una minaccia critica alla “sovranità” russa?) e suggerisce un abbassamento della soglia nucleare della Russia, lasciando ampia libertà di manovra al Presidente della Federazione Russa, unico a svolgere “la guida generale della politica statale nell'area della deterrenza nucleare, a seconda dei fattori esterni e interni che influenzano l'attuazione della difesa”.


 
Le modifiche alla dottrina nucleare americana
Il Rapporto 491 (Guida) descrive i cambiamenti rispetto alle precedenti linee guida sull'utilizzo delle armi nucleari da parte del Presidente americano, che rimane la sola autorità a dirigere l'impiego nucleare, tenendo conto delle nuove sfide alla deterrenza poste dalla crescita, modernizzazione e diversificazione degli arsenali nucleari dei potenziali avversari, rispetto alla Nuclear Posture Review (NPR) del 2022 (https://ilbolive.unipd.it/it/news/nuclear-posture-review-biden). Oltre alle sfide nucleari di Russia, Cina, Corea del Nord e i programmi dell’Iran, già considerate nella NPR, si sottolinea la crescente collaborazione e collusione tra questi paesi, che comporta la possibilità di un'aggressione coordinata o opportunistica da parte di una combinazione di avversari, il che richiede agli strateghi statunitensi di pensare attentamente alle complesse dinamiche di escalation e alla dissuasione di più avversari simultaneamente, anche in caso di crisi o conflitti prolungati. La Guida impone di pianificare la dissuasione simultanea di più avversari dotati di armi nucleari; richiede l’integrazione di capacità non nucleari, laddove possibile, per sostenere la missione di deterrenza nucleare; sottolinea l’importanza della gestione dell’escalation nella pianificazione della reazione a un attacco nucleare limitato o a un attacco strategico non nucleare con gravi conseguenze; e sollecita una consultazione, un coordinamento e una pianificazione combinata con alleati e partner per rafforzare la deterrenza estesa.



Si ribadisce che il solo ruolo delle armi nucleari nella strategia degli Stati Uniti è quello di dissuadere attacchi strategici, assicurare gli alleati e i partner e consentire il raggiungimento degli obiettivi nazionali in circostanze estreme qualora la deterrenza fallisca.
Gli Stati Uniti prenderebbero quindi in considerazione l’uso di armi nucleari solo in “circostanze estreme” per difendere gli interessi vitali degli Stati Uniti o dei loro alleati e partner. La Guida non definisce quali siano le ‘circostanze estreme’, lasciando un ampio grado di ambiguità.
Gli Stati Uniti non useranno o minacceranno di usare armi nucleari contro stati non dotati di armi nucleari che sono parte del Trattato di non proliferazione nucleare e ne “rispettino gli obblighi” (ovviamente a insindacabile giudizio americano). Per tutti gli altri stati, “rimane una ristretta gamma di contingenze in cui le armi nucleari statunitensi possono ancora svolgere un ruolo di deterrenza nei confronti di attacchi con effetto strategico contro gli Stati Uniti o i loro alleati e partner”.


Tiziano Rovelli
Guerra

La Guida prevede che il Dipartimento della Difesa conduca una pianificazione nucleare sia deliberata che adattiva. I piani nucleari deliberati sono concepiti per scoraggiare determinati avversari dotati di armi nucleari. Tutti i piani di impiego nucleare deliberato devono contenere la flessibilità necessaria per adattare ogni risposta alle circostanze uniche di qualsiasi crisi nucleare. La pianificazione nucleare adattiva verrebbe attuata secondo le necessità di una crisi o di un conflitto per adattare le operazioni di deterrenza e le opzioni di impiego in base alle circostanze emergenti dalla contingenza, facilitando in particolare l’integrazione con la pianificazione non nucleare.
Venendo ai livelli delle forze militari, la Guida ribadisce la necessità di mantenere e modernizzare la triade delle forze (missili intercontinentali con base a terra e su sommergibili in allerta continua e bombardieri strategici a vari livelli di allerta) e della flotta di caccia a doppia capacità (nucleare o convenzionale). Si assicura che tutti i sistemi nucleari statunitensi sono soggetti a molteplici livelli di controllo e che in ogni caso, gli Stati Uniti manterranno una persona fisica nel processo informativo ed esecutivo delle decisioni del Presidente di avviare e terminare l’impiego di armi nucleari. Infine, viene riconosciuto che “il controllo degli armamenti svolge un ruolo indispensabile per preservare la stabilità, aumentare la prevedibilità, scoraggiare l'aggressione e l’escalation, ridurre le conseguenze in caso di fallimento della deterrenza e mitigare il rischio di corsa agli armamenti nucleari e di guerra nucleare. Tuttavia, “i negoziati futuri degli Stati Uniti saranno soggetti a limiti influenzati dalle azioni e dalle traiettorie di altri attori dotati di armi nucleari.


 
Chiaramente, non bisogna confondere questi documenti politici con la rivelazione di piani o con la divulgazione delle sfumature della strategia nucleare russa o americana. Le politiche dichiarative vanno prese per gli artificiosi avvertimenti che sono. In ogni caso, la gravissima e conseguenziale decisione di usare le armi nucleari dipenderebbe molto di più dal leader e dalle circostanze specifiche del momento piuttosto che da una politica dichiarata. Di fatto dai documenti emerge un’ampia discrezionalità d’impiego garantita ai due presidenti. Quello che appare evidente è la centralità delle armi nucleari dei due paesi nella loro politica di sicurezza e relazioni internazionali. Mentre gran parte dei paesi non nucleari e della società civile da anni chiede alle potenze nucleari di ridurre il peso di tali armi nella loro politica, qui tale ruolo appare addirittura aumentato in modo determinante in una proiezione temporale illimitata. Nel documento russo vi è solo un riferimento indiretto al controllo degli armamenti e quello americano pone ‘limiti’ a possibili negoziati; lo stesso termine ‘disarmo’ è assolutamente assente, neppure come strumento di retorica propagandistica. Il punto immediatamente più preoccupante è l’intenzione americana di adeguare le proprie forze nucleari al contrasto di azioni congiunte delle potenze nucleari ‘ostili’; varie personalità politiche, militari e accademiche sostengono che l'attuale armamento non è sufficiente e una sua espansione si rende necessaria. L’autorevole bipartitica Congressional Commission on the Strategic Posture of the United States nell'ottobre 2023 ha dichiarato esplicitamente che la posizione attuale degli Stati Uniti non è preparata per le sfide potenzialmente esistenziali del 2027–2035 e oltre, e per affrontare queste nuove minacce, gli Stati Uniti devono cambiare rotta con urgenza e determinazione.
Di fatto, il 4 ottobre scorso il laboratorio nazionale di Los Alamos ha prodotto, dopo decenni, una prima carica fissile (pit) di plutonio  certificata per impiego nella nuova testata nucleare W87-1 e in Russia e USA si stanno ripristinando le strutture necessarie per eventuali nuovi test esplosivi.  Dobbiamo chiaramente preparaci per una nuova spirale della corsa agli armamenti nucleari, sia qualitativa che quantitativa, in assenza di qualsiasi prospettiva di ogni forma di controllo degli armamenti.
 

 

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