IL CUORE E LA STORIA
di
Adam Vaccaro
Angelo Gaccione
Su
concessione di “Milanocosa”
pubblichiamo il lungo scritto che Adam Vaccaro ha dedicato a “La mia Milano”
di Angelo Gaccione domenica 11 febbraio 2024 sotto il titolo: “Il cuore e la
storia resistenti di Milano”.
Bisogna avere un grande cuore, al pari di quello che si vuole aprire
e riaccendere,
per poterlo raccontare e farne corpo di questo libro di Angelo Gaccione. Cuore,
beninteso, non come melassa sentimentale, ma come centro vitale di intelligenza
che sa andare in profondità, per risalire col sorriso trionfante di un sub con
in mano una perla che brilla nelle sue mani. Un frutto di lavorio lungo,
attraverso il tempo e lo spazio, immagine di bellezza, perché sintesi di quella
nostra illusione di prendere nelle mani la totalità della vita, che solo le
oasi d’amore ci regalano, dopo lunghi attraversamenti di sabbie aride. Stiamo percorrendo un tratto di storia,
che disegna orizzonti illusoriamente aperti tra dune desertiche, che ci
accecano e ci seccano le labbra, tradendo promesse risolutive delle somme di
ansie, pericoli, ignominie e orrori che costellano sempre più le linee del
contesto. Questo libro di Angelo Gaccione diventa così una sorprendente,
salutare macchia verde dei rari ristori cercati e trovati. E che questa oasi abbia il nome di Milano è
un regalo inatteso, vivendo e respirando nella sua crescente foresta di
problemi irrisolti e cemento. Ma è l’amore che sa scovare tutte le ragioni per
glorificare e fare Luogo di un orizzonte che tende a esaltare connotati
di un nonluogo metropolitano.
La carrellata nel tempo e nello spazio, che
Angelo inanella va a caccia di tutte le tracce ed evidenze, non solo
architettoniche, che resistono e smentiscono tali tendenze, come testimoni
testardi presenti ai delitti commessi, ma che riaffermano ragioni di un passato
che ostinatamente vuole essere pedana di un salto verso un futuro disegnato
entro un’altra prospettiva.
È una
sfida che sfama il nostro bisogno di coniugare bellezza, quale incrocio
antropologico di dignità operosa ed etica, che fece meritare a Milano
l’appellativo di capitale morale, prima di vederlo rovesciare in morale
del capitale, con il trionfo, a partire dagli anni ’80, del
neoliberismo globalizzato e del dominio finanziario su tutte le attività umane.
Gaccione
racconta la sua vicenda personale, quando arrivò a Milano dalla Calabria alla fine degli anni
’60, col sogno di una nuova vita in quella che allora era ancora una città,
nemmeno tanto grande, col suo Monumento di marmo al centro di un fervore
di vita e una Madonnina d’oro in cima. I terroni che arrivavano vi trovavano
sensi di comunità unita a una sacralità della vita, seppure con nomi e forme
diverse da quelle delle proprie origini. Chi vi arrivava (anch’io ne feci
approdo dal Molise, dieci anni prima) trovava modi di rinascere dopo il trauma
del trapianto, perché Milano – come tutte le altre realtà urbane, piccole e
grandi, era ancora una realtà-città, che proiettava nell’animo di chi vi viveva
una sua identità, con segni di storia, memoria, arte e civitas, trasmessa da
evidenze di luoghi del sacro e luoghi amministrativi, quali segni-simboli che
componevano, una immagine finita dell’infinito.
Gaccione firma copie del libro
Lo tsunami cementizio travolgente degli ultimi ‘60 anni ha come accerchiato
questi segni, e anche se non ha potuto ovviamente cancellarli, ha prodotto
rovesciamenti di sensi del passaggio da una realtà-città a una
realtà-metropoli, con l’accentuazione di spazi e strutture poco distinguibili
gli uni dagli altri, in luoghi senza identità tendenti a disegnare quei nonluoghi,
che rovesciano la percezione urbana dei sensi precedenti in immagine
infinita del finito. È una immagine consona alla cancellazione del senso
del limite, alias dell’etica e del senso del sacro, rispecchiante la visione e
i deliri di onnipotenza, la hybris costitutiva dell’ideologia
neoliberista che si addobba di una magia tecnologica capace di farne essenza e
immagine, con zoccoli, poteri e armi monetarie, dominanti e insieme invisibili.
Gli ultimi decenni sono stati teatro di
esplosioni ravvicinate di innovazioni, diventate supporti
di disgregazioni socioculturali, che hanno inciso anche sulla “amministrazione
di una città” e ridotto anche il senso civico della “cura che ciascuno ne fa
per la sua parte”, frase di Licurgo, citata dall’Autore, in esergo alla sua
nota iniziale, con la quale evidenzia le sue origini che non fanno ombra
all’amore per questa sua nuova casa, amata perché è stata fonte di una
ulteriore crescita della propria identità: “Non ho sangue milanese nelle vene,
ma spesso i figli adottivi si rivelano più affettuosi e riconoscenti dei figli
legittimi”.
Gaccione
va perciò a caccia di luoghi che illuminano e trasmettono la fatica, i pensieri
e l’umiltà di essere umani, che sono tali, solo se incarnano una polis e
la sua identità collettiva, orgogliosa quanto bisognosa della visione di un Oltre
e Altro, storico, sociale e spirituale, che riguarda sia credenti
che noncredenti. Un Oltre, che non può essere restituito dall’infinito
indistinto e artificiale, a tratti infernale, di un sacro senza mistero.
Il libro
è un viaggio, sia orizzontale che verticale, che risponde a tali
orizzonti e fa rivivere la magia delle ricchezze accumulate dalla storia, se si
è capaci di uscire dall’indifferenza della “maggior parte dei suoi abitanti”
verso il “destino della città”, che “appena può corre altrove, come se la città
fosse invasa dalla peste”.
Ma è in effetti una sorta di peste invisibile che
è subentrata, come il ronzio sordo di insetti corifei dello scenario cementizio
che ha ricoperto navigli e dilaga intorno al suo cuore originario. Uno sviluppo
e inviluppo che producono respiro affannoso, fisico e mentale, e che a tappe
crescenti hanno issato vessilli chiamati progresso e fatto della città una
metropoli.
Gaccione firma copie del libro |
Gaccione in una foto
di Antje Stehn (gennaio 2024)
Sono
vessilli di centri di potere economici che di tali magnifiche sorti e progresso
hanno fatto fonte di un processo di concentrazione di ricchezze
finanziarie, che ha asservito gran parte delle tradizionali forze politiche e
ridotto lo Stato a un fantasma, tra illegalità, corruzioni e impoverimenti
crescenti delle classi lavoratrici, pur essendo queste le formiche artefici di
quelle ricchezze.
Il
viaggio di Gaccione segue i percorsi di una coscienza critica rispetto a tutto
il processo che ha informato gli ultimi decenni, stando “dalla parte degli
interessi collettivi contro le consorterie e le lobby di ogni tipo, che
si annidano, impudentemente, a destra e a sinistra”.
E non a
caso le prime tappe del suo libro riguardano proprio simboli del sacro, con
sensi laicali di difesa del sacro della vita, ridotta a merce e a medium di
affare, fino a far diventare privati, elementi e alimenti primari,
dall’acqua a beni pubblici di sussistenza, quali energie e sanità.
Il
viaggio è in primo luogo pedonale, di un cammino che ha sentori di un
pellegrinaggio, con primi capitoli e soste ne “La Sala Capitolare di Santa
"Maria della Passione”, in “San Bernardino alla Monache”, e “Santa Maria
della Sanità e via Durini”, più avanti le abbazie di Viboldone e Chiaravalle, “Il
Luogo Pio di San Giuseppe”, cui seguono ovviamente, oltre a “La Fabbrica del
Duomo”, il “Lazzaretto” e le “Lapidi” dedicate alla Resistenza, per chiudere il
percorso del libro, non a caso, con “Campane e campanili”.
Ma
tra l’abbrivio e una sorta di ossimorica chiusura aperta del cerchio narrativo,
il cammino inanella musei e spazi culturali, fontane, giardini e alberi,
presenze parimenti del sacro (“Niente è più sacro e più esemplare di una albero
bello e forte”, citazione in un esergo, di Hermann Hesse).
Gaccione in una foto di Antje Stehn (gennaio 2024) |
Gaccione in Galleria. Sede degli
Amici del Loggione della Scala
Chiudendo questo sintetico resoconto, come detto, il pellegrinaggio
amoroso non è solo orizzontale, da via a via, da porta a porta, è anche
verticale. Ma pure tale moto, non è solo nei meandri della piccola storia
personale che rivive visitando questo o quello scorcio, inebriandosi ad esempio
nel ricordo di una via piena di sole, che magari riaccende fulgori lontani e
perduti dell’infanzia calabrese. Come già evidenziato con alcuni titoli delle
tappe del percorso, il moto sprofonda e fa riemergere soprattutto memorie
epiche, gloriose e dolorose della storia collettiva, recente e lontana.
In
ultima sintesi, la
lettura del libro è una esperienza che sa coniugare restituzioni affettive con
presa di coscienza e responsabilità eticosociali. Eppure non basta, perché il
moto verticale si apre anche all’immaginazione, di cui diventa focus
simbolico il volo del capitolo finale, “Milano vista dall’alto”, nota ed eco di
leggerezza del testo, nonostante le tematiche coinvolte siano tutt’altro.
Leggerezza
e impegno si intrecciano, così, in una scrittura e lettura, che donano tensione
alla totalità, sottolineata all’inizio e per me fondamento della passione
poetica, che fu parimenti alla base – mi sia qui consentito di ricordarlo – di
quel mio progetto, “Il Castello, Storia e Immaginazione”, realizzato nel 2007
con Milanocosa: 5 incontri che coinvolsero diecine di autori e artisti, non
solo soci, nell’allora libreria del Castello Sforzesco (inopinatamente
cancellata), con contributi poi raccolti nel libro Milano, Storia e
Immaginazione, (Milanocosa Ed. 2011). Lo ricordo, non per autocelebrazione,
ma perché nella lettura di questo libro non comune, tra mille altre consonanze,
ho ritrovato e mi ha fatto rivivere anche quella straordinaria esperienza
collettiva di fatica felice, suscitata dalla Milano che resiste agli interessi contrari alla
ricchezza della sua storia.
Amici del Loggione della Scala