MATTEOTTI: IL PACIFISTA E L’INNAMORATO
di
Angelo Gaccione
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Giacomo Matteotti
Per questo
centenario dell’assassinio dell’esponente socialista Giacomo Matteotti (Fratta
Polesine 1885 – Roma 1924), da parte del fascismo –Mussolini ne rivendicò
pubblicamente la responsabilità alla Camera dei deputati – ho deciso di
concentrare l’attenzione su due aspetti: quello di avversario della guerra, per
la parte pubblica, e quello di uomo profondamente innamorato della donna che
sarà destinata a diventare sua moglie, per la parte privata. Anche se separare
la vita pubblica dalla vita privata è una forzatura per una personalità come
quella del militante attivo concretamente impegnato e del teorico e
organizzatore quale Matteotti fu. Le ipocrite celebrazioni istituzionali non potevano,
per loro stessa natura, insistere sulla coerenza antimilitarista e pacifista di
Matteotti; non potevano perché se ne sarebbero dovute trarre le conseguenze
pratiche e le conclusioni: mettere in moto una seria iniziativa diplomatica per
tentare di porre fine alla guerra russo-ucraina ed evitare ulteriori morti e
rovine. Ma in un clima fortemente guerrafondaio come quello in corso, e con l’asservimento
europeo alle decisioni Nato-Usa, era meglio evitarlo.
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Giacomo Matteotti |
Matteotti invece non evitò di schierarsi apertamente contro guerra e guerrafondai, entrando in conflitto con il suo stesso partito. Non si preoccupò di rimanere solo: accettò isolamento e solitudine, pagò di persona il suo rifiuto e continuò a scrivere e parlare contro guerra, nazionalismo, militarismo, senza venire a patti o tradire la propria coscienza. “Noi non neghiamo l’esistenza della patria, ma essa non è la nostra idealità; un’altra e più alta assai è la nostra aspirazione. E quando a paladini della patria si ergono i clerico moderati, i nazionalisti, i militaristi, cioè tutti coloro che necessariamente si contrappongono all’idealità socialista, e si servono anzi a tale scopo dello straccetto patriottico – allora noi insorgiamo anche contro la patria”. Siamo alla vigilia della Prima guerra mondiale, Più chiaro di così…
Queste invece sono parole di Piero Gobetti: “Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo sovversivismo, le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità: era, contro la guerra, un combattente generoso”. E ancora: “Matteotti parlò contro la guerra […]. Ripeté il suo discorso, anche quando non c’era più pacifista che parlasse […]. Egli rimane come l’uomo che sapeva dare l’esempio”. Ci prova come può, Matteotti, ad opporsi alla Prima guerra mondiale ma l’ubriacatura nazionalista e guerrafondaia saranno più forti della sua volontà e del suo impegno: “Noi tendiamo con tutte le nostre forze al bene del proletariato, e perciò non vogliamo assolutamente la guerra, vogliamo la neutralità”. Non ci sarà alcuna neutralità, e il suo partito si farà travolgere dal clima bellicista che si è oramai impossessato dell’intero Paese. Echi di preoccupazioni se ne riscontrano anche nelle lettere che scrive alla fidanzata Velia, destinata a diventare sua moglie da lì a qualche anno. Leggiamone un passo: “Il pensiero di coloro che stanno uccidendosi è terribile; e mi par giusta l’insurrezione se si volesse domani con assai poca lealtà lanciarci in una guerra contro l’Austria”. È una lettera del 3 settembre 1914 spedita a Velia Titta da Fratta Polesine.
Nella
selezione pubblicata recentemente da Garzanti sotto il titolo: Quando si
porta una speranza nel cuore. Lettere alla moglie, di missive ce ne
sono 84. Una antologia che si apre con un testo molto breve e che data 21
agosto 1912 (di anni Matteotti ne ha 27, Velia 22); il loro rapporto è agli inizi,
è ancora formale e si danno del lei. L’epistolario si chiude con una lettera
del 16 luglio 1923; è inviata da Roma e c’è un passaggio che suona come una
lucida premonizione: “Tutto quello che può avvenire fuori di male mi è
indifferente, se il mio cuore può tremare per te come la prima sera che t’ha
conosciuto”. Il male si materializzerà l’anno successivo sotto forma di
delitto. Il clima era peggiorato già da tempo, e le lettere registrano qua e là
la violenza squadrista: “Da tutte le parti ormai giungono notizie press’appoco
simili: la lotta elettorale sarà impossibile. Meno pochi grandi centri finora
intatti (Milano - Torino - Genova) in tutti gli altri è la stessa preminenza della
delinquenza organizzata” (lettera del 15 aprile 1921). Non era stato facile il
rapporto fra Matteotti e Velia: “Sono passati alcuni anni e li abbiamo trovati
seminati di dolore più che di gioia” scrive in un passaggio di una lettera datata
7 gennaio 1922. Un bilancio pesante ch’era cominciato presto, e che con l’opposizione
alla guerra si era materializzato in continui trasferimenti da un luogo all’altro,
per impedirgli ogni propaganda: a Rovigo, a Verona, a Cologna Veneta, a
Messina.
Il matrimonio celebrato il giorno 8 gennaio del 1916 con rito civile a Roma, in Campidoglio, non servirà a lasciarlo tranquillo; infatti, benché riformato e posto in congedo illimitato, verrà richiamato alle armi e tenuto d’occhio per l’intero arco della guerra. La nascita del figlio Giancarlo il 19 maggio del 1918 lo troverà lontano, a Monte Gallo, e il giorno dopo scrive alla moglie: “T’immagini dove vorrei essere in questo momento? e le domande che ti vorrei fare e tutto ciò che vorrei sapere? (…) sarebbe tutta una folla di domande per sapere com’è, per avere le tue impressioni…”. E tuttavia la speranza e la forza tenace del sentimento amoroso non lo abbandonano un solo istante.
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Matteotti e Velia
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Tutte le lettere ne sono percorse e la scrittura si fa tenera e poetica insieme, fino a raggiungere vette di vera e propria poesia. Leggiamo questo passo: “Quando si porta nel cuore una speranza ogni peso diviene leggero, e l’albero del male s’ingemma dei fiori del bene” (lettera del settembre 1917). E ancora: “Non c’è che attendere il giorno della resurrezione: sogno un mattino di cielo che tu verrai ad annunziarmelo. Credo che ci parrà di lasciare il grave corpo e aver solo l’anima per volare” (agosto 1918). “Appena vengo, prendo il tuo cuore nelle mie mani; da lui solo voglio la verità; da lui solo non voglio illusioni che non mi basterebbero mai. L’amore tuo intero tutto rivoglio; quello stesso che a te ridoni la forza e la vita” scrive il 3 novembre del 1918 questo giurista e riformatore sociale, e davvero fa vibrare il suo di cuore come il più caldo dei poeti. Nella chiusa di una lettera del 17 novembre del 1917 era arrivato a scrivere un rigo appassionato e poetico insieme: “Il mio amore ti sta intorno e ti fa festa”.
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La moglie Titta Velia
Che Giacomo Matteotti
avesse una spiccata indole poetica, tutto questo carteggio lo dimostra. Proviamo
a considerare come veri e propri versi questo passo della lettera del 9 dicembre
del 1914 e disponiamoli graficamente come tali:
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Ho visto di
là
tutto il
sereno che m’ aspetta:
aveva il
colore degli occhi tuoi
quando
interrogano e vedono.
Potranno diventare
sereni anche i miei
bevendo alla
tua luce?
Ora no, sono
torbidi ancora,
e la sera si
fanno neri
quando attorno
il viso arrossa,
e hanno ombre
che nascondono.
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Matteotti con suoi compagni
Chissà cosa
pensavano di questo linguaggio immaginoso le autorità militari che lo avevano
in custodia e che di certo controllavano la posta. “Temo molto che le mie
lettere di qui vengano aperte e lette. C’è la guerra più vicina e ne diffondono
le brutture i racconti di quelli che tornano o passano” scrive da Fratta Polesine
l’11 giugno del 1916. Lo tengono lontano dal fronte, in esilio, perché temono
il suo disfattismo, ma sono costretti ad abbeverarsi alla prosa di un uomo che
non ha rinunciato a sentire appassionatamente, e soprattutto a rivestire di umanità
e di bellezza la sua personale felicità.
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