MATTEOTTI: IL PACIFISTA E L’INNAMORATO  
di
Angelo Gaccione 

Giacomo Matteotti 
 
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| Giacomo Matteotti | 
Matteotti invece non evitò di schierarsi apertamente contro guerra e guerrafondai, entrando in conflitto con il suo stesso partito. Non si preoccupò di rimanere solo: accettò isolamento e solitudine, pagò di persona il suo rifiuto e continuò a scrivere e parlare contro guerra, nazionalismo, militarismo, senza venire a patti o tradire la propria coscienza. “Noi non neghiamo l’esistenza della patria, ma essa non è la nostra idealità; un’altra e più alta assai è la nostra aspirazione. E quando a paladini della patria si ergono i clerico moderati, i nazionalisti, i militaristi, cioè tutti coloro che necessariamente si contrappongono all’idealità socialista, e si servono anzi a tale scopo dello straccetto patriottico – allora noi insorgiamo anche contro la patria”. Siamo alla vigilia della Prima guerra mondiale, Più chiaro di così…
Queste invece sono parole di Piero Gobetti: “Matteotti non disertava, non si nascondeva, accettava la logica del suo sovversivismo, le conseguenze dell’eresia e dell’impopolarità: era, contro la guerra, un combattente generoso”. E ancora: “Matteotti parlò contro la guerra […]. Ripeté il suo discorso, anche quando non c’era più pacifista che parlasse […]. Egli rimane come l’uomo che sapeva dare l’esempio”. Ci prova come può, Matteotti, ad opporsi alla Prima guerra mondiale ma l’ubriacatura nazionalista e guerrafondaia saranno più forti della sua volontà e del suo impegno: “Noi tendiamo con tutte le nostre forze al bene del proletariato, e perciò non vogliamo assolutamente la guerra, vogliamo la neutralità”. Non ci sarà alcuna neutralità, e il suo partito si farà travolgere dal clima bellicista che si è oramai impossessato dell’intero Paese. Echi di preoccupazioni se ne riscontrano anche nelle lettere che scrive alla fidanzata Velia, destinata a diventare sua moglie da lì a qualche anno. Leggiamone un passo: “Il pensiero di coloro che stanno uccidendosi è terribile; e mi par giusta l’insurrezione se si volesse domani con assai poca lealtà lanciarci in una guerra contro l’Austria”. È una lettera del 3 settembre 1914 spedita a Velia Titta da Fratta Polesine.
 
Il matrimonio celebrato il giorno 8 gennaio del 1916 con rito civile a Roma, in Campidoglio, non servirà a lasciarlo tranquillo; infatti, benché riformato e posto in congedo illimitato, verrà richiamato alle armi e tenuto d’occhio per l’intero arco della guerra. La nascita del figlio Giancarlo il 19 maggio del 1918 lo troverà lontano, a Monte Gallo, e il giorno dopo scrive alla moglie: “T’immagini dove vorrei essere in questo momento? e le domande che ti vorrei fare e tutto ciò che vorrei sapere? (…) sarebbe tutta una folla di domande per sapere com’è, per avere le tue impressioni…”. E tuttavia la speranza e la forza tenace del sentimento amoroso non lo abbandonano un solo istante.

Matteotti e Velia 

Tutte le lettere ne sono percorse e la scrittura si fa tenera e poetica insieme, fino a raggiungere vette di vera e propria poesia. Leggiamo questo passo: “Quando si porta nel cuore una speranza ogni peso diviene leggero, e l’albero del male s’ingemma dei fiori del bene” (lettera del settembre 1917). E ancora: “Non c’è che attendere il giorno della resurrezione: sogno un mattino di cielo che tu verrai ad annunziarmelo. Credo che ci parrà di lasciare il grave corpo e aver solo l’anima per volare” (agosto 1918). “Appena vengo, prendo il tuo cuore nelle mie mani; da lui solo voglio la verità; da lui solo non voglio illusioni che non mi basterebbero mai. L’amore tuo intero tutto rivoglio; quello stesso che a te ridoni la forza e la vita” scrive il 3 novembre del 1918 questo giurista e riformatore sociale, e davvero fa vibrare il suo di cuore come il più caldo dei poeti. Nella chiusa di una lettera del 17 novembre del 1917 era arrivato a scrivere un rigo appassionato e poetico insieme: “Il mio amore ti sta intorno e ti fa festa”.

La moglie Titta Velia 
 Che Giacomo Matteotti
avesse una spiccata indole poetica, tutto questo carteggio lo dimostra. Proviamo
a considerare come veri e propri versi questo passo della lettera del 9 dicembre
del 1914 e disponiamoli graficamente come tali:

Ho visto di
là
tutto il
sereno che m’ aspetta:   
quando
interrogano e vedono.
Potranno diventare
sereni anche i miei
bevendo alla
tua luce?
Ora no, sono
torbidi ancora,
e la sera si
fanno neri
quando attorno
il viso arrossa,
e hanno ombre
che nascondono.   

Matteotti con suoi compagni 

 

 
 
 





















