IL VESUVIO
di Anna Rutigliano
Che il
Vesuvio sia stato da sempre oggetto, non solo di indagini scientifiche, per le
sue potenti eruzioni, da doverne conoscere e monitorare l’attività
vulcanologica, ma abbia attratto a sé anche intellettuali, scrittori, pittori,
poetesse, poeti e scrittrici di tutto il mondo per il suo fondere stupore,
fascino e insieme orrore, lo ho presto appreso dalla odorata Ginestra
sull’arida schiena del formidabil monte Sterminator Vesevo del nostro caro
poeta di Recanati. È, però, con il romanzo Il Viaggio Dolce di Marina
Plasmati (La Lepre Edizioni, 2015) che le mie “visioni vesuviane” si sono via
via ampliate per avermi resa partecipe, con la sua scrittura dallo stile
inconfondibilmente immediato, del soggiorno leopardiano a Villa Ferragni,
presso Torre del Greco, alle pendici del vulcano, voluto dall’amico Ranieri per
porre rimedio alla salute cagionevole del poeta: è stato come poter scorgere, da
lettrice, dalla stessa finestra della stanza “dell’ospite di riguardo” (tale è
nominato il poeta dell’Infinito nel romanzo), le nubi cariche di pioggia che, in
una sera di giugno del 1836, frettolose
avvolsero il cono del Vesuvio e
si appoggiarono gonfie sulla superficie del mare;
così come da lettrice, ho viaggiato in carrozza con “l’ospite di riguardo”, sino a raggiungere Pompei e immaginarne la magnificenza, prima che l’eruzione pliniana del 79 d.c., con la sua colata lavica e con l’enorme nube di lapilli e blocchi la seppellisse crudelmente; una violenta esplosione con collasso del materiale eruttivo, non solo accuratamente descritta da Plinio il Giovane nelle sue due lettere a Tacito, ma confermata dallo stesso Goethe, nella sua seconda scalata al Vesuvio (Da Viaggio in Italia). Da quella stessa finestra di Villa Ferragni ho potuto, infine, “osservare” il fior gentile nella sua semplicità ed umiltà al cospetto del Vesuvio, padre e padrone di quel paradisiaco deserto, nelle parole della Plasmati. A rafforzare il mio desiderio di “Sublime”, misterioso e straordinario, ci ha pensato, in seguito, (non nel senso cronologico della composizione dell’opera, la quale è antecedente a La Ginestra leopardiana), l’Italienische Reise (Viaggio in Italia, scritto fra il 1813-1817) del fautore della “Weltliteratur”, nonché filosofo, drammaturgo, teologo, estimatore di musica e scienziato, J. W. von Goethe.
Quel martedì del 20 Marzo 1787, Goethe decide di scalare il Vesuvio per la terza volta, in meno di tre settimane, senza la compagnia del suo amico pittore Tischbein, ma, con al seguito, le due guide che lo avevano accompagnato durante la seconda ascensione al vulcano. Il suo profondo Amore per la conoscenza lo induce a salire sempre più vicino al cratere per poterne osservare le forme di stalattiti della pietra sotto cui il suolo si faceva sempre più ardente e le varie particolarità del picco indemoniato, che sorge in questo paradiso. Il viaggiatore del Grand Tour naturalistico-culturale nelle città italiane, di ritorno dalla scalata al tramonto, porta con sé una “visione vesuviana” tale da forgiare in me un sentimento di meraviglia che risveglierò, qualche mese più tardi, sia pur osservandolo a distanza dagli Scavi, in occasione di una breve escursione familiare a Pompei: la chiusa finale della pagina goethiana dedicata all’idea di Bello e Orribile che il Vesuvio suscita nel poeta francofortese valgono la pena di essere riportate in lingua originale, accompagnate da una mia traduzione, per via del gioco di assonanze e chiasmi linguistici in cui si immortala la coesistenza del Bello e del Brutto naturale, quella Natura “matrigna” agli occhi e all’animo leopardiani, “sublime” per Goethe: Das Schreckliche zum Schönen, das Schöne zum Schrecklichen, beides hebt einander auf und bringt eine gleichgültige Empfindung hervor. Gewiss wäre der Napolitaner ein anderer Mensch, wenn er sich nicht zwischen Gott und Satan eingeklemmt fühlte. (L’Orribile accanto al Bello, il Bello accanto all’Orribile, entrambi si completano generando pari emozione. Di sicuro il Napoletano sarebbe diverso, se non si sentisse incastrato, fra Iddio e Satana. (da Italienische Reise, Vollständiger Ausgabe beidre Bände, Holzinger, 2016).

Matilde Serao
Un secolo dopo, Matilde Serao, la
vulcanica giornalista e cronista di Napoli, nata a Patrasso, dedicherà al
Signor Vesuvio, di professione Vulcano e suo carissimo amico, una
simpatica lettera aperta, intrisa di ironia e dai toni di denuncia delle
vicissitudini politico-sociali della Napoli di fine ottocento.


Plinio il Giovane

Nella raccolta di scritti e articoli intitolata Dal Vero (1879), la Serao, appena ventiduenne, esorta il Signor Vesuvio ad essere generoso e clemente con gli abitanti e turisti della sua gioconda Napoli, concedendo loro una graziosa eruzioncella, uno spettacolo moderato e non catastrofico, che possa sollevare compassionevolmente dal tempo, cadenzato e noioso, la vita sociale della città partenopea, rendendola culturalmente più viva, ma anche politicamente moderata; così leggiamo nella Lettera Aperta al Signor Vesuvio scritta nell’ottobre 1878: Se ti piglia pensiero dei graziosi villaggi che sorgono sui tuoi fianchi, se temi per la loro salute, allora fa una cosa: non curarli, lasciali da parte, disprezzali, prendi un’altra via. Va all’aperto, sconvolgi, rovina, illumina, incendia, dove non sono quei miserabili ostacoli, dove trovi la strada libera: (…) non conosco le tue opinioni politiche ma ti consiglierei, se devi presto abbracciare un partito, di essere moderato.

De Nittis: Sulle falde del Vesuvio
Qualche giorno fa, in visita
presso Palazzo della Marra a Barletta, per ammirare la mostra dedicata a
Giuseppe De Nittis e ai “Macchiaioli” (aperta al pubblico sino ad aprile 2026),
mi si sono ripresentate, sottoforma di incantevoli quadri impressionisti, tra
cui l’olio su tavola Torre Annunziata (1872) di De Nittis e Veduta
del Monte Vesuvio di Degas ( 1872 ca.), in grafite su carta,
per citarne solo alcune, quelle “visioni vesuviane” che sempre susciteranno in
me quel duplice e antitetico sentimento di venerazione e timore nei confronti di Madre Natura, espressione
della finitezza del genere umano al suo cospetto, quella natura che continua a
trasudare delitto e tralucere grazia, fino alla fine dei tempi, nelle
riflessioni della Plasmati e affidate al suo “ospite di riguardo”.
Chissà che un giorno non possa
accarezzare delicatamente la ginestra, in un dolce viaggio alle pendici del
vulcano, mentre il Signor Vesuvio sbuffa in atteggiamento moderato…





