LE MIRE USA SUL VENEZUELA
di
Franco Astengo
 Tra la nozione di
imperialismo e pacifismo.
 
 In tempi di "complesso tecnologico autoritario" e di
post-democrazia il dipanarsi della matassa delle vicende geopolitiche a livello
globale sembra costringerci a riprendere in mano vecchie nozioni della dottrina
ottocento-novecentesca. L'atteggiamento che gli
USA stanno tenendo verso il Venezuela rispolvera l'antica dottrina di Monroe
sull'America Latina "cortile di casa": in più questa volta
l'imperialismo USA sembra esprimersi in maniera diversa rispetto a quella
"golpista" usata negli anni passati (rimane emblematico il caso
cileno del 1973) mostrandosi piuttosto nell'espressione di una logica di
superpotenza militare. Gli USA però non sono
soli in questo senso e in Europa stiamo vivendo momenti simili a quelli del 1914.
Sembra proprio il caso di riprendere l'antica nozione
di imperialismo anche perché come vedremo meglio essa è tornata, in questo
periodo, di prepotente attualità.
 Da ricordare in
premessa due punti:
1) La nozione di
“impero” si risolve nella definizione di una forma politica che associa un
comando universale al mantenimento di una varietà di realtà politiche
subordinate. L’idea di impero attraversa la storia politica dell’Occidente e
spesso si presenta quando un’organizzazione politica pare ritrovarsi in una
fase particolarmente critica del proprio sviluppo;
2) Ciò accadde
proprio nel 1914 quando le due forme imperiali presenti sul suolo europeo:
quella coloniale (Francia, Gran Bretagna) e quella fondata sull’imperio al riguardo
delle nazionalità (Imperi Centrali, Impero Russo, Impero Ottomano) si trovarono
proprio a fare i conti con la crisi del proprio sviluppo e cozzarono fra di
loro al fine di stabilire l’indirizzo storico prevalente per il futuro.
L’Impero Russo per ragioni “storiche” si schierò con gli imperi coloniali ma
quello fu un fatto contingente. Tra l’altro la crisi dell’Impero Russo era
ormai arrivata a uno stadio così avanzato che, come tutti ricordano quella
struttura statuale non arrivò al termine del conflitto crollando in anticipo
sotto i colpi della rivoluzione, prima “democratica” e poi bolscevica.
Riprendiamo però il
filo della definizione di imperialismo.
L’uso e la diffusione
del termine risalgono agli ultimi decenni del XIX secolo, all’epoca cioè della
rapida spartizione fra gli Stati Europei di buona parte dell’Asia e
dell’Africa. Il dibattito sull’imperialismo si
articolò attorno a diverse possibili interpretazioni del fenomeno, di tipo
economico, sociologico, politico. Le
interpretazioni di carattere economico furono influenzate dalla dottrina,
diffusa nel XIX secolo, della caduta tendenziale del saggio di profitto dovuta
al sottoconsumo secondo gli economisti liberali o alla crescente composizione
organica del capitale secondo l’interpretazione marxiana.
 Nell’interpretazione
di un economista appartenente alla sinistra liberale inglese, J. Hobson la
spinta imperialista poteva essere disinnescata attraverso una serie di
interventi volti ad aumentare il potere d’acquisto delle masse.
Per gli studiosi di scuola
marxista il nesso tra capitalismo e imperialismo si presentava ben più
profondo, se non addirittura necessario. Hilferding,
Rosa Luxemburg, Bucharin e Lenin, pur nella diversità delle loro accentuazioni,
notarono come il capitalismo fosse stato capace di ritardare il suo inevitabile
crollo per mezzo dell’espansione imperiale (sia al riguardo delle colonie, sia
rispetto alle nazionalità), trovando così la strada per far accogliere i
prodotti in eccesso e ricevendo materie prime e mano d’opera a buon mercato.
 Fu Lenin a sostenere
con maggiore decisione, nel suo Imperialismo, fase suprema del
capitalismo (1917) che gli Stati capitalisti erano stati spinti
all’espansione imperiale da un’esigenza di sopravvivenza. Questo fatto aveva reso inevitabile il loro scontro come
stava - appunto - avvenendo nel corso della prima guerra mondiale: i partiti
socialisti francese e tedesco, votando i crediti di guerra, avevano dimostrato
di non aver compreso il livello decisivo dello scontro allora in atto,
anteponendo il loro nazionalismo all’analisi relativa proprio al livello
“imperiale” del conflitto.

Le hanno dato il Nobel... povero Nobel 
 Proprio come accade
adesso nell'ignorare i termini veri del conflitto e si svia l’attenzione da
quello che è lo scontro in atto, oggi, tra le superpotenze.
L’accumulo proprio di
“politica di potenza” verificatosi nel corso dell’ultimo decennio nel confronto
globale ha fatto nuovamente emergere, infatti, una dimensione nel rapporto tra
USA e Cina di tipo assolutamente imperiale cui sta tentando di unirsi la
Russia: tutto questo avviene in conclusione della fase post-caduta del muro di
Berlino nella quale gli USA avevano svolto la funzione di "gendarme del
mondo" e di "esportatore della democrazia" mentre il mondo
islamico era stato scambiato per l'unico possibile soggetto di contrasto.
Oggi nelle condizioni
mutate sarà difficile che l'emergere dei BRICS possa allentare questa stretta
nell'idea del multilateralismo, mentre l'alleanza dello SCO sembra confermare la
tendenza "imperiale" con la formazione di un blocco tra Asia Centrale
e Impero di Mezzo molto forte militarmente e provvisto di una potenza atomica
espressa da una pluralità di stati.
Un altro punto di
riflessione dovrebbe riguardare l'arrestarsi di quel processo di cedimento di
sovranità dello "Stato-Nazione" che sembrava aspetto decisivo nella
fase di globalizzazione pre-crollo del 2008.
L’Unione Europea priva di una propria dimensione politica non
riesce proprio a sviluppare una qualche forma di autonomia rispetto all'orbita
occidentale dalla superpotenza USA, tanto cara alla destra italiana e al suo
governo.
Il ritorno alla dimensione imperiale rende quindi di
pressante attualità il recupero della nozione pacifista da parte delle sinistre
alternative e di opposizione a questo tipo di logica del tutto distruttiva.
Nozione pacifista da recuperare attraverso proposte
riguardanti prima di tutto lo spazio politico europeo tornando a pensare al
disarmo e alla creazione di "zone neutrali" al centro del continente
oltre alla promozione della democrazia affrontando anche il tema della
concezione della riduzione della politica in una forma semplificatoria di
semplice e pura determinazione del "comando".




