SFRUTTAMENTO e LOGICA
DEL PROFITTO,
SEMPRE E COMUNQUE
di Franco Astengo
Nel disastrato mondo del lavoro
spiccano oggi tre notizie:
La prima,
drammatica, non commentabile, riguarda la morte di Paola Clemente: sconfitta
dalla fatica di dodici ore di lavoro nei vigneti di Andria. Schiavizzata per
pochi euro al giorno. Sono accusati di sfruttamento e truffa sia il
responsabile dell’agenzia interinale che il trasportatore dei braccianti nei
campi. La versione moderna del caporalato;
Proprio le
principali agenzie interinali figurano tra i soggetti che usano di più i
voucher, come risulta dall’elenco pubblicato oggi, 24 Febbraio, dal
“Manifesto”. Con Adecco e Manpower figurano anche Mc Donald’s, Burger King,
Rinascente, Chef express, Cigierre (ristoranti etnici) oltre alle società
organizzatrici di eventi e fornitrici di steward, hostess e quant’altro (per
poi arrivare al paradosso del lavoro gratuito come all’Expo) e persino le
società di calcio, in testa la Juventus (unica proprietaria del proprio stadio). Siamo nella frontiera
del post – industriale, del personale trattato come fazzoletti “usa e getta”,
interscambiabile a tutte le ore del giorno e in qualsivoglia condizione. Senza
dimenticare naturalmente il comparto della logistica (il nostro ragionamento è
legato, in questo caso, al ristretto spazio del “caso italiano”, ma è facile
dedurne la realtà di un quadro complessivo al riguardo di tutti i sistemi post
– industriali più evoluti. Per il resto del mondo ci sono le guerre, la fame,
le migrazioni forzate, i muri);
La crescita
vertiginosa delle tante forme di precariato con il calo verticale delle
assunzioni a tempo indeterminato quale esito naturale e scontato del compimento
del breve ciclo di agevolazione previsto dal job act.
Al di là dei
commenti esiste un minimo comune denominatore nell’insieme di questa vicenda.
Un minimo
comun denominatore che comprende due definizioni antiche e sempre moderne:
profitto e sfruttamento.
Un binomio
descritto da Carlo Marx in maniera ancora attuale:
“La teoria dello sfruttamento è legata in
Marx alla teoria del valore-lavoro. Ogni merce non è che lavoro umano
cristallizzato, generica capacità lavorativa umana che assume la forma di abiti
o mobili, libri o generi alimentari. Il valore di tutte le merci presenti sul
mercato è dato dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrle. Se un
abito vale quanto due paia di scarpe ciò significa che il tempo di lavoro
socialmente necessario a produrre un abito è doppio rispetto a quello
occorrente per produrre un paio di scarpe. Ciò che si scambia nella
compra-vendita è in realtà generico lavoro umano, lavoro astratto che assume
via via le forme fenomeniche più disparate. Ma se è il lavoro a costituire
l'essenza del valore qual è il valore del lavoro? Marx risponde in maniera
molto netta a questa domanda cruciale. Il valore altro non è che lavoro,
proprio per questo il lavoro in quanto tale non ha valore. Quando un
capitalista paga un certo salario ai "suoi" operai egli non compra
il loro lavoro, ciò che egli compra è la loro forza-lavoro. La
forza-lavoro altro non è che la generica capacità dell'operaio di svolgere un
determinato lavoro. Il valore della forza-lavoro è dato a sua volta dal valore
delle merci che permettono la vita e la riproduzione della classe operaia. Si
tratta della famosa teoria del "minimo vitale": il capitalista paga
agli operai ciò che serve a conservare e a riprodurre la "razza"
degli operai, non un centesimo in più o in meno. Il capitalista non viola in
questo modo la legge dello scambio di equivalenti, paga la forza lavoro al suo
"giusto" prezzo, non compie alcuna violenza contro gli operai.
Una volta acquistata la forza-lavoro il
capitalista la può usare come gli pare e per tutto il tempo che gli pare, così
come chi acquista una zappa può farne l'uso che crede. Ma la forza-lavoro è una
merce particolare: il suo uso crea valore. In un primo momento l'uso della
forza-lavoro riproduce il valore del salario pagato dal capitalista
all'operaio, in seguito crea nuovo valore che non va all'operaio ma al
capitalista: il plusvalore. Se una giornata lavorativa dura 8 ore nelle
prime 4 il lavoro degli operai riproduce il valore dei loro salari, nelle altre
4 crea plusvalore che resta al capitalista. Dal libero contratto nasce in
questo modo lo sfruttamento, lo scambio di equivalenti si trasforma in scambio
ineguale, il rapporto fra individui formalmente liberi ed eguali si tramuta in
un rapporto di spoliazione.”
Parole sempre attuali
e da tenere a mente.
La classe operaia
organizzata, al tempo della grande concentrazione industriale, puntò a limitare
il fenomeno dello sfruttamento attraverso una “strategia dei diritti” attuata
in quelli che erano i punti più “alti” dello sviluppo capitalistico,
mentre in altre situazioni di più bassa
intensità di presenza industriale si sviluppò una fase di “inveramento
statuale” del concetto di abolizione dello sfruttamento da parte della classe.
Oggi il mutamento
compiuto della fase contraddistinta dalla grande industria e la sostituzione
del lavoro vivo attraverso l’innovazione tecnologica e la costruzione, per il
tramite dell’affermazione di società opulente basate sul consumismo
individualistico e l’allargamento delle disuguaglianze sul piano planetario,
hanno modificato radicalmente il quadro.
Il concetto di fondo
tra profitto e sfruttamento però non è mutato anche se la relazione tra i due
fattori si estende per una molteplicità complessa di contraddizioni, al
riguardo delle quali sarebbe necessario un aggiornamento sul piano teorico.