di Laura Margherita Volante
Ricorre l'8 marzo per
ricordare non solo le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche le
discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state e sono ancora oggetto
in quasi tutte le parti del mondo. Dal
17 dicembre 1999, il 25 novembre viene celebrata la Giornata Internazionale per
l'eliminazione della violenza contro le donne. Alla fine del 1946 nasce il simbolo del
riconoscimento della donna e dei suoi diritti come persona con la mimosa.
La Costituzione
Italiana in vigore dal 1° gennaio 1948 nell’ Articolo 3 recita: “Tutti
i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
Ormai da
anni la Festa della Donna è diventata una ricorrenza più che mai vitale, anche
se non esaustiva, per attirare l’attenzione “sull’Isola delle donne”, affinché
possano uscire dall’isolamento psicologico, morale e sociale, nel quale da
secoli per motivi antropologici e culturali sono relegate. Inutile qui fare un
excursus storico sulle condizioni femminili nelle varie culture ed etnie del
mondo, che ancora oggi sono sotto gli occhi di tutti, attraverso i mass media,
i filmati degli inviati speciali di guerra e non solo…
Ogni
giorno in Italia avvengono crimini nei confronti della donna, che ancora soffre
di disparità anche economiche nel mondo del lavoro. Ogni tre giorni una donna
viene barbaramente uccisa dal fidanzato, dal marito, dal compagno, spesso padre
dei suoi figli, la cui ricaduta lascia segni indelebili per tutta la vita nelle
vittime. “Sindrome di Stoccolma”, “sindrome di Medea” all’incontrario da parte di soggetti disturbati dall’odio, dalla
sete di possesso e controllo sulla propria vittima, in nome di un amore malato
e ossessivo, che amore non è.
Sindrome di Stoccolma. Sono
stati prodotti anche dei film su questo fenomeno sociale, che appare nei campi
nazisti. Un esempio ne è il film di Liliana Cavani Il portiere di notte del 1974.
Sindrome o complesso di Medea. Medea,
in greco, significa “scaltrezze”, per evidenziare il carattere del personaggio
che, per raggiungere i suoi fini, non esita a commettere con deliberata astuzia
i più atroci delitti. Il mito di Medea è diventato il simbolo di infanticidi e
purtroppo
la prassi insegna che la sindrome di Medea è molto diffusa anche fra gli uomini;
infatti esistono sempre più spesso padri
che tolgono la vita ai propri figli per una ritorsione nei confronti delle compagne.
Anche in loro sono presenti gli analoghi sentimenti di vendetta, di
onnipotenza, di incapacità nel rispettare il bambino come persona, usandolo
come "arma", contro chi li abbandona.
Da questa premessa si evince quanto il problema
sia ancora presente con rivoli tragici in una società che vuol dirsi civile,
riconoscendo sulla Carta i Diritti inviolabili della persona.
Il problema è prima di tutto culturale. Nelle
culture più evolute, per un elevato grado di Conoscenza e Amore - come
fondamento biologico - in un’etica di condivisione, i rapporti di genere
convivono su un piano di pari dignità, in una ricerca di rispetto
dell’altro/persona, riconosciuto e legittimato in quanto tale. L’amore è
visionario dove spazio relazionale si fonda sulla consapevolezza. Nelle culture
arretrate il fenomeno sociale della violenza è parte integrante dei rapporti
interpersonali, dove il maschio dominante detiene il controllo sui propri simili
e in particolare delle donne, ultimo gradino della scala sociale. Prevale,
quindi un’ottica di prevaricazione e di odio verso chi non si sottomette al
potere.
Il cammino è ancora lungo nella complessità
odierna, in una fase epocale di grandi trasformazioni, per cui anche nelle
realtà più evolute la crisi morale e di valori sta prendendo il sopravvento. Una
famiglia senza società e una società senza famiglia non offrono più coordinate
per una mappa solida di relazioni, ferite nell’affettività. La caduta
dell’educazione sentimentale e di reti sociali capaci di contenere i soggetti
più deboli, finisce di logorare il tessuto connettivo sociale, che apre le sue
falle su scenari inquietanti. La tecnologia ormai la fa da padrone diventando
altro veicolo di devianza per soggetti sempre più fragili, alla ricerca di
altro da sé su modelli diseducativi e disturbanti. Non solo gli adolescenti ne
diventano dipendenti, ma anche gli adulti danno uno spettacolo deformante e
privo di qualsiasi esempio a guida dei giovani, che soli, come piume al vento,
brancolano nel buio, diventando merce di scambio di gente e di organizzazioni
criminali senza scrupoli.
In tutto questo panorama c’è una famiglia in
crisi dove il maschio frustrato, che non ha saputo evolversi al passo
dell’emancipazione femminile, in una veste di controllore e di dominio diventa
violento, per sottomettere ciò che ritiene suo e nel suo territorio, che ha
segnato come un animale.
Questo teatrino familiare si gioca tutto sul
piano di un amore insano, plagiando con strategie, dalla seduzione alla
manipolazione, la propria donna. I figli diventano inevitabilmente arma di
ricatto. I segnali di personalità bordeline
e bipolari ci sono già all’inizio di una relazione amorosa, ma la donna non li riconosce,
non è in grado di leggerli specie se è molto innamorata, per cui tende a
giustificare, fino a che intrappolata non sa più come fare a uscirne, per
vergogna, per paura, per protezione dei figli e dei propri familiari, tenuti
all’oscuro della drammatica situazione. La vita di queste donne diventa un
labirinto di specchi deformanti, la cui ambiguità ne rendono la condizione
psicologica annullata, incapace di reagire. La sua mente ormai vive in un’isola
sperduta nell’oceano, aspettando una nave per portarla sulla terra ferma della
normalità, una normalità che sarà difficile da intraprendere, se non con il
sostegno di esperti nel settore. Le donne che trovano la forza di ribellarsi,
lasciando il proprio persecutore, se non denunciano e se non trovano
istituzioni o leggi, fatte da uomini, gestite da uomini, capaci di metterle al
sicuro in tempo, prima o poi vengono uccise o devastate con il preciso scopo di
cancellarle o di deturparle. L’isola delle donne non un’isola di pace e di
bellezze naturali, ma un’isola solitaria e di disperazione. Non siamo isole, ma
siamo animali sociali, relazionali, emozionali, amorevoli e che l’isola non sia
mai l’approdo di un inferno.
Fonti ONU
auspicano che nel mondo sia raggiunta una effettiva parità di genere entro il
2030.