di Ilaria, Vito, Adamo
TENNIS MATCH
Siamo
pronte a iniziare la stagione. Oggi è il primo giorno in cui ci scontreremo con
un'altra scuola in alcuni match di tennis. Il mio ginocchio si è fortunatamente
ripreso in tempo e grazie ai miei due “knee brace” posso partecipare anch’io ai
match. È venerdì, questa settimana è stata lunghissima e pesante, le emozioni
mi hanno giocato un brutto scherzo e non vedo l'ora di staccare il cervello,
sfogandomi con la racchetta e una pallina da tennis. Raccolgo i vestiti sparsi
nella stanza e la racchetta appoggiata sul letto. Infilo tutto nello zaino e
salgo in cucina pronta per andare con Joe a scuola.
Mando un messaggio a
Kolton, ho bisogno assolutamente di parlagli. Nemmeno il tempo di rispondermi
che entra nella mia classe del primo periodo e, inventandosi una scusa, mi
porta fuori. Ci sediamo ad uno dei tavoli della mensa e iniziamo a parlare. I
lacrimoni si sciolgono e il nervoso prende lo spazio che poco prima era
occupato dalla delusione. Mi abbraccia e cerca di consolarmi. È l'unica persona
presente in America che riesce a calmarmi e che mi ascolta sempre. Sentiamo
un'altra campanella, increduli ci guardiamo e realizziamo che siamo stati a
parlare un po' più del dovuto. Corriamo in classe ridendo e il prof ci scusa
senza nemmeno lasciarci un ticket.
Finalmente arriva il
pranzo. Mi giro, "Kolton!" mi sorride e mi fa un segno con la mano. Ti senti meglio? " Sospiro. Mi
accarezza la schiena e si appoggia sulla mia spalla per darmi conforto. Cerco
di cambiare argomento in fretta per non focalizzarmi su ciò che mi fa stare
male. “Hei, ragazzo, oggi ho una partita importante.”
– “Sì, giocherai nella squadra oggi?" Esito un attimo, "Non proprio, vedremo … ma sono abbastanza
sicura di giocare il doppio."
Tutte le altre ragazze
sono nello spogliatoio e urlando si scambiano battute e risate. La loro energia
mi fa solo bene. Mi salutano in coro, urlando: "Group hug in the shower
tonight (Abbraccio di gruppo nella doccia
stasera)". Siamo tutte pronte e carichissime. Saliamo sul bus che ci
porterà in Portland per giocare il game.
Il viaggio sembra
volare, nonostante il traffico lo abbia reso quasi di due ore. Scendiamo tutte
un po' appisolate dall'autobus e ringraziamo il nostro Mr. Busdriver. Tutte
insieme ci avviamo ai campi di tennis della Valley Catholic. Il nervoso un po'
si fa sentire, ma il sole caldo alto nel cielo e il venticello fresco, danno
quel senso di primavera che risveglia in noi tutte le energie.
Il riscaldamento dura
cinque minuti, la coach ci richiama con un fischio alla panchina: “Ok, ragazze, oggi sarà dura, ma le possiamo
battere. Questa è la formazione …" inizia a parlare e a scandire i
nomi partendo dal singolo. Fortunatamente non sono nella top singoli… mi sentirei
troppo a disagio da sola in mezzo a quel campo. Inizia la lista dei double. Non
presto troppo attenzione fino a che sento il mio nome. Mi giro di scatto e la
guardo: "Ho sentito il mio nome e
penso di non essere ancora pronta. Mi guarda e sorridendo mi risponde: “Ila, oggi giocherai con la squadra".
Sfodera un sorriso e le ragazze mi applaudono. Saltello sul posto e mi faccio
prendere dall'emozione.
Entriamo in campo senza
sapere contro chi stiamo giocando. La mia compagna si chiama Charlie. É
simpaticissima e esuberante, esattamente come me; ci battiamo il cinque mentre
con un sacco di entusiasmo diciamo: "Just for fun, baby (tanto per divertirci)". Iniziamo
il riscaldamento, ci rendiamo conto in fretta che l'altra coppia è davvero bravissima.
Non ne sbagliano una. Ci guardiamo spesso, io e Charlie, durante il warm-up, e
con lo sguardo ci incoraggiamo. Sarà tosta ma nessuno ci metterà mai fuori dai
giochi, noi siamo qua per divertirci e per avere dei bei ricordi.
Prima di iniziare il
match andiamo a parlare con la coach chiedendo che tipo di livello siano. La
coach non risponde ma dice che possiamo farcela e che, comunque vada, saremo
orgogliose di noi stesse. Con la coda fra le gambe ci andiamo a posizionare nel
campo e iniziamo a chiamare le palle. Facciamo due punti e loro ne hanno tre,
siamo vicine, dobbiamo solo stringere i denti e lottare per i nostri
obbiettivi. Io e Charlie non smettiamo di ridere e ci incoraggiamo a ogni
punto. Facciamo una pausa per bere e il punteggio è 5-5. La coach e il resto
del team ci guarda da fuori incoraggiandoci come non mai. Tocca me alla
battuta. Odio battere. Charlie mi guarda e mi fa una smorfia per imitare
l'altra ragazza del team avversario. Scoppio a ridere, cerco di contenermi, ma
con scarsi risultati. Lancio la palla in aria e, con tutta la potenza che ho, la
butto nell'angolino sinistro del campo. Era veloce e dritta; non la prende e
facciamo il punto per andare in vantaggio. Saltiamo insieme e ci muoviamo
ballando. Le altre ragazze del nostro team esultano con noi e ridendo ci
applaudono. La coach non riesce a trattenere la risata, mentre le avversarie ci
guardano sconcertate.
Le ignoriamo e
continuano a giocare. Il match finisce e siamo soddisfatte del nostro
punteggio. La coach esce e dice che le due ragazze con cui abbiamo appena
giocato sono il secondo team varsity di tutta la squadra.
Sono quasi le 8pm e
abbiamo finito. Abbiamo vinto quasi tutti i game e la soddisfazione ci si legge
negli occhi. Saliamo contente e canterine sul pullman.
Mancano cinque minuti
alla scuola e intoniamo il canto per ringraziare Mr. Busdriver. Scendo dal bus
con tutte le mie cose.
Il freddo mi si attacca
alle gambe coperte solo da un paio di short. Saluto le ragazze e la coach e mi
dirigo in fretta alla macchina di Mom. Mi siedo sul sedile caldo e subito
inizio a raccontare quello che è successo. Con aria orgogliosa e felice di me, mi
dice che sono stata bravissima e che è davvero contenta di come mi stia
mettendo in gioco. Mi abbraccia e poi finalmente siamo a casa.
La stanchezza non fatica
ad arrivare e velocemente mi addormento sul mio letto, senza neanche accorgermi
di non aver messo il pigiama. Good night y'all.
Ilaria
***
Sublimity
Disegno di Adamo Calabrese |
C’è stato un fatto nuovo: l’Agenzia ha indicato
una finestra temporale, la seconda metà di agosto, per la partenza di Ilaria. Siamo
in Liguria a goderci la fine delle vacanze.
- Nonno, ho una
bella notizia da darti - la voce di Ilaria suona eccitata.
- Che è successo?
- Vado in Oregon!
– Lei continua a parlarmi, mischiando emozioni e informazioni, in un vortice
nervoso. C’è una premura a rivelare quelle poche ma preziose notizie sulla famiglia ospitante, che faccio fatica a
seguirla.
- Come si chiama
la famiglia? – chiedo per rallentare il torrente irrefrenabile delle parole.
- Alley. La mamma
è Kelly e il papà è Mike. Hanno 55 anni e quattro figli.
- Dove vivono?
- Un paese di
circa 2500 persone, Sublimity.
- Come? Non ho
capito? Qual è il nome?
- Sublimity,
vicino alla costa del Pacifico.
Un nome
improbabile come tanti nella geografia degli States: Sublimity!
Ilaria mi assedia
con le notizie. Sono dentro un carosello gioioso e lei continua, contenta, a
raccontare dettagli come se fosse già là. Il figlio minore Joe ha la sua età e Morgan,
l’altra sorella che vive in casa, ha 23 anni. La High School, dove frequenterà
il 12º grade, dista tre chilometri.
- Sei contenta?
- Sì, molto.
Quando mi ha chiamato la corrispondente dell’Agenzia non ci credevo e ho pianto
per la gioia.
Oregon. È una meta
interessante, all’Ovest, sul Pacifico. Un tuffo nella vita calma dei villaggi
rurali degli States. Se la famiglia è, come sembra, pronta all’accoglienza, Ilaria
comincia il sogno americano nel miglior modo possibile.
Vito