UNA PROPOSTA DI STUDIO DEL PENSIERO POLITICO
di
Franco Astengo
Questa
proposta è rivolta a quanti si trovano costretti a rilevare una pressoché
totale impreparazione nell’esercizio dell’azione politica a tutti i livelli,
fuori e dentro le istituzioni, da parte degli epigoni - giovani e meno giovani -
di un presunto “rinnovamento” fondato semplicisticamente sulle categorie dei
sondaggi e di un pragmatismo di bassa lega esercitato essenzialmente attraverso
“annunci” elargiti al pubblico attraverso i social network e la televisione.
Un
“agire politico” esercitato attraverso la costruzione di “cerchi magici”
composti di corifei/e di accumulatori di adulazione e facile consenso che hanno
finito con il sostituire la complessa macchina delle organizzazioni costruite
nella storia, da quelle partitiche a quelle sindacali agli altri “corpi
intermedi” associativi di varie espressioni della società.
Tutto
un patrimonio da cancellare perché limitante il potere del “gonfiare il petto”
di diversi aspiranti dittatori.
In
Italia questo fenomeno è comparso sulla scena ormai da quasi trent’anni
perpetuando tutto il negativo (vedi corruzione) che si era accumulato fin dalla
fondazione della Repubblica, eliminando il positivo (soprattutto sul terreno
della partecipazione e dell’aggregazione politica e sociale) esaltando piccoli
e grandi conflitti d’interesse a tutti i livelli, trasformando le occasioni di
confronto anche elettorale in referendum “pro” o “contro” questo e quello, in
un vero delirio di personalizzazione.
La
sinistra italiana, quella “storica” che aveva contribuito in maniera
determinante alla Liberazione e nell’Assemblea Costituente, è stata colpita al
cuore da questi fenomeni, così come anche la Nuova Sinistra sorta in esito alla
ventata del’68, e il fenomeno più inquietante è che “Sinistra Storica” e “Nuova
Sinistra” rappresentate per decenni da gruppi dirigenti di altissimo livello e
intellettuali di primo piano; radicate profondamente sul territorio attraverso
ramificate strutture organizzate hanno prima ceduto sul piano culturale
(pensiamo proprio alla personalizzazione come già accennato poc’anzi e alle
logiche del maggioritario e della governabilità ad ogni costo) e poi su quello
concreto della presenza sociale e politica, lasciando dietro di sé il vuoto e
aprendo la strada ad avventurieri della politica, se non a faccendieri della
tangente, come stiamo ancora una volta osservando nella più stretta attualità.
Il
fenomeno, naturalmente, riveste dimensioni internazionali che non possono
essere sottovalutate ma ha assunto nello specifico del “caso Italiano” (quello
delle anomalie positive del ’68 più lungo perché intrecciato tra studenti e
operai, e della presenza del più grande partito comunista d’Occidente pilastro
della democrazia repubblicana) una valenza del tutto particolare, al punto da
farci pensare dell’esistenza di rischi seri di involuzione autoritaria.
Una
situazione determinata, a nostro avviso, dalla rescissione del rapporto tra
politica e cultura che ha determinato questo gigantesco sbandamento al punto
che neppure una crescita esponenziale dei livelli di diseguaglianza politica e
sociale appare foriera dell’apertura di una fase di conflitto tale da prevedere
un mutamento di fondo del pericoloso stato di cose in atto.
Il
recupero di un’identità, prima di tutto, e poi della capacità di espressione
politica e anche organizzativa di una sinistra italiana non passa però
semplicemente dall’avvio di un tentativo di ricostituzione di una soggettività
politica fondata prima di tutto sull’aggregazione dei soggetti agenti
all’interno delle grandi contraddizioni della modernità ma anche, e
soprattutto, da un recupero nel rapporto tra cultura e politica, dalla
ricostituzione di un nucleo intellettuale all’altezza e ramificato in vari
settori della vita non soltanto del Paese ma a dimensione internazionale.
Un
nucleo intellettuale che recuperi l’idea di una politica considerata anche come
oggetto di studio e sede di riflessione sulle grandi prospettive epocali, sulla
storia, sull’approfondimento del pensiero politico.
Per
questo motivo seguiranno considerazioni di merito rivolte proprio all’aspetto
dello studio del pensiero politico, invitando coloro che non intendono abdicare
dall’impegno nascondendosi (come sempre più spesso purtroppo accade) dalla loro
identità a riflettere attorno a questo elemento.
Dalla
“filosofia della prassi” gramsciana va ripresa in pieno l’idea di fondo del
ruolo dell’intellettuale: “Elemento vitale del partito politico è l'unità di
teoria e pratica. Questo, però, non è un problema filosofico ma, una
"quistione" che deve "essere impostata storicamente, e cioè come
un aspetto della quistione politica degli intellettuali".
Gramsci
si pone quindi il problema di elaborare una teoria generale della funzione e
del ruolo degli intellettuali (a essa sono dedicate le note raggruppate nel Quaderno
10), il cui concetto principale è quello di "intellettuale organico".
Esso sta a indicare che gli intellettuali, contrariamente a come generalmente
si autorappresentano, non costituiscono "un gruppo sociale autonomo e
indipendente", ma "ogni gruppo sociale, nascendo sul terreno
originario di una funzione essenziale nel mondo della produzione economica, si
crea insieme, organicamente, uno o più ceti di intellettuali che gli danno
omogeneità e consapevolezza della propria funzione non solo nel campo
economico, ma anche in quello sociale e politico" (ibid.,
p. 1513). Le funzioni degli intellettuali sono eminentemente
"organizzative e connettive", e dipendono dal ruolo che essi hanno in
rapporto al mondo della produzione, all'organizzazione della società e dello
Stato.
L’idea
allora è quella di lavorare, con tutti gli strumenti disponibili, intorno al
rapporto tra cultura e politica, un rapporto che accusa ormai da molti anni un
deficit particolarmente vistoso, ridotto all’assemblaggio di un insieme di
tecnicismi, in diversi campi da quello accademico per arrivare a quello
istituzionale, laddove la politica appare ormai confusa con l’economicismo e il
giurisdizionalismo astratto.
Si
tratta di partire per una ricognizione di fondo, anche partendo dal proposito
di sviluppare una “ricerca di parte”, con l’ambizione di ottenere il risultato
di provocare una riflessione complessiva tale da superare le
settorializzazioni, gli schematismi oggi imperanti che, alla fine, hanno
danneggiato non soltanto la qualità degli studi e delle ricerche, ma
soprattutto la qualità dell’“agire politico”.
Il
riferimento è rivolto a un pensiero politico in grado di esprimere interessi,
finalità aspirazioni ben individuabili che, a partire da precisi punti di vista
di soggettività determinate, è capace di interpretare le sfide reali della
storia, e vi risponde in base a parametri e a esigenze di volta in volta
mutevoli.
Serve
legarsi a un filo conduttore, coscienti del fatto che ciò non significa che il
pensiero politico si sia rivolto sempre ai medesimi problemi attraverso le
medesime categorie.
Al
contrario è necessario prestare grande attenzione e insistenza nel mettere in
luce che, se è vero che i concetti politici sono la struttura-ponte di lungo
periodo, l’asse portante della storia politica dell’Occidente (perché è
dell’Occidente che si è chiamati a occuparci, sia pure giocoforza) è anche vero
che solo le trasformazioni epocali, il mutare degli orizzonti di senso, il
modificarsi catastrofico degli scenari sociali e politici, oltre che
intellettuali, hanno consentito ai concetti politici di assumere di volta, in
volta, il loro significato concreto. Insomma, è necessario mettere in rilievo
che la concretezza del pensiero politico consiste proprio nel fatto che esso
aderisce alle drammatiche discontinuità dell’esperienza storica, e anzi le
riconosce, le interpreta, le mette in forma. Probabilmente quello che stiamo
attraversando è proprio uno di quei momenti storici. Si deve avere fiducia, ed
è questa l’unica nota di ottimismo permessa, nell’importanza e nell’efficacia
formativa della storia del pensiero politico, nel suo senso più vasto.
Si
tratta di tornare alla capacità di fornire strumenti per interpretare lo
spessore storico e concettuale, per decifrare i momenti di crescita e di crisi,
di dramma e di trionfo, di chiusura localistica e di apertura universale della
nostra civiltà intellettuale e politica: tutto il contrario dell’impreparazione
improvvisata che appare di scena oggi nell’arena del sistema politico italiano.