di
Franco Astengo
A. Lincoln |
“Se
vi fate statua, vi abbatteranno”
Angelo
Gaccione (Il lato estremo, 2016)
Accade
nella storia che le statue degli idoli siano abbattute ad ogni cambio di
regime. Dopo essere stati elevate dai vincitori di turno la “Caduta degli dèi”
avviene al cambio di regime da parte degli ex-vinti trasformatisi appunto in
vincitori. Non a caso la Bibbia pone il divieto di rappresentare l’immagine di
Dio, proprio per evitare che possa accadere ciò che succedeva agli idoli,
quella di essere abbattuta.
La
vanità del genere umano, invece, ha fatto sì che statue, ritratti, epigrafi,
targhe fossero dedicati ai potenti di turno: generali, imperatori, poeti, capi
della rivoluzione e generali della repressione, di volta in volta nella storia
hanno trovato posto sui piedistalli in mezzo alle piazze e di volta in volta,
quando è capitato, sono rovinati a terra.
In
questo senso gli esempi rappresenterebbero, nella storia, tappe così numerose
da consentirci di evitare citazioni. È il discorso sul revisionismo che
appartiene anche e soprattutto alla storia e alla descrizione del suo divenire
piuttosto che alla descrizione del suo scorrere. Il revisionismo serve a futura
memoria, a ipotecare il futuro che rimane imperscrutabile e al riguardo del
quale è bene che la memoria collettiva si prepari ad ogni evenienza, ad ogni
possibile salto nella narrazione, ad ogni adattamento del sistema.
Il
revisionismo quasi come la sede dei cantori di un futuro sempre possibile.
Oggi
si sta però verificando un fenomeno che forse possiamo giudicare inedito. L’abbattimento
degli idoli avviene per opera di chi è ancora nella condizione di “vinto”.
Il
razzismo è l’oggetto di questa nuova forma di iconoclastia. Le vittime del
razzismo abbattono i monumenti dei generali sudisti, di Cristoforo Colombo, del
filantropo commerciante di schiavi. Le vittime del razzismo rifiutano
addirittura il buonismo di Hollywood. Ciò avviene perché la democratica
America, così come tante altre parti del mondo, è considerata un “regime” da
quella che mi permetto di considerare come la sua minoranza più importante.
Un
“regime del razzismo”.
Razzismo
come sfruttamento, razzismo come crescita dalla disuguaglianza, razzismo come
esclusione politica, razzismo come estrema marginalizzazione sociale. Il
razzismo inteso come fondamento, come elemento di distinzione nell’identità
dalla sua nascita come “Nazione”: ciò è rimasto nonostante ci sia già stato un
Presidente appartenente alla parte oggetto della distinzione.
Un
Presidente però collocato in una evidente condizione di “liberto”.
Un
“regime del razzismo” diverso dal “regime razzista” apparentemente sconfitto
nel caso dell’apartheid sudafricana. Una apartheid che continua però nella
forma feroce delle disuguaglianze sociali.
Qui
si apre ancora il discorso dell’intreccio delle fratture da realizzare attorno
a quella eterna dello sfruttamento. Sul razzismo però si apre un interrogativo:
può essere considerato sfruttamento oppure “condizione umana”?
La
riflessione si può ampliare all’insieme delle democrazie mature che tengono
dentro il loro “ubi consistam” tante forme di razzismo, compresa quella della
differenza di genere.
Anche
la differenza di genere può essere considerata “condizione umana”?
Fin
qui banalità, ma veramente ci troviamo dentro a un fluire della storia nel
corso della quale si erge a regime il dominio della differenza del più forte
che decide di farsi riconoscere quale
“totus” escludendo gli altri ed evocando la propria insindacabile supremazia,
per via del colore della pelle o dell’essere maschio piuttosto che femmina.
L’attualità
dell’abbattimento degli idoli assume così la veste di una ribellione verso il
dominio di un regime non proclamato ma reale, costantemente presente nella vita
quotidiana, che sta sul collo di chi lo subisce.
Flavio
Baroncelli scrisse qualche anno fa, prima di lasciarci prematuramente, Il
Razzismo è una gaffe: credo che quel titolo debba essere idealmente
corretto con: Il Razzismo è un Regime.
Un
Regime oppressivo e totalitario perché fenomeno espressione di un modo d’essere
prima ancora che fatto culturale e politico.
Così
il razzismo come “modo d’essere” diventa il punto di continuità di una
soffocante prevaricazione che percorre il mondo, tutto intero, senza eccezioni
per le diverse forme di Stato e di Governo.
La
Liberazione non può consistere nel rituale abbattimento degli idoli e ognuno la
deve cercare, prima di tutto, dentro di sé per comunicarla agli altri.