ANCORA UNA VOLTA PER LELIO
di
Fulvio Papi
Lelio Basso |
L’ultima
volta che incontrai Lelio Basso, dopo anni di frequentazione quando abitava a
Milano in Corso Venezia numero 6, è stato a Roma nei pressi di Montecitorio
nella tarda primavera del 1964. Fu un breve scambio di saluti e una stretta di
mano che forse andava oltre il silenzio che ormai dominava la scena. Eravamo
entrambi, senza assolutamente dimenticare il livello incomparabile dei
protagonisti, a disagio come se fosse evidente in noi il tramonto politico cui
eravamo destinati. Lelio certamente non aveva trovato nel nuovo partito, il
PSIUP, nato dalla scissione socialista della fine del 1963, l’orizzonte etico
nel quale potesse fiorire il gradualismo umanistico della società verso un
esito socialista che era sempre stata la sua linea politica tra la concezione
socialdemocratica e la concezione elitaria del partito e della morale
bolscevica come avanguardia rivoluzionaria che guida il proletariato al suo
destino storico. Nel nuovo partito si riproduceva il “gioco” politico che aveva
dominato la scena italiana, certamente dal momento che l’apertura a sinistra
era diventato l’argomento parlamentare rilevante. Quanto a me stesso, calato a
Roma con altri nella prospettiva del riformismo rivoluzionario (le grandi
riforme, la programmazione economica) di Riccardo Lombardi, cominciavo a
comprendere che la nostra risposta al “neocapitalismo” avrebbe trovato una
irriducibile opposizione certamente nel partito, ma, soprattutto, nella
maggioranza conservatrice della DC e nei poteri molto forti del capitalismo
italiano, agrario e industriale, sicché il nostro disegno teorico era facile
immaginarlo come destinato a un esito negativo. Nel nostro fragilissimo sorriso
si poteva leggere il destino della reciproca sconfitta. Il che, per quanto mi
riguardava, anche dopo il mio ritiro dalla politica militante, non avrei mai
mutato il mio atteggiamento di ammirazione e di affetto per Lelio che era
rimasto eguale dal mio esordio politico da liceale nell’immediato dopoguerra al
periodo in cui il partito aveva assunto la struttura di quadri
“professionalmente rivoluzionari” a imitazione del modello leninista
emarginando, anche in modi violenti, l’influenza politica di Lelio (che da
segretario del partito nel 1948 era stato contrario al precipitoso errore di
Nenni per la scelta del “Fronte Popolare”.
Lelio Basso |
Sono
passati tanti anni, sì da dare il profilo di una storia più che di una memoria
personale, ma la mia emozione intellettuale per Lelio non è mai mutata, anche
quando la mia esperienza filosofica veleggiava ormai per mari molto lontani.
Così che ogni studio o ricerca storica sul percorso di Lelio continuava ad
essere riconosciuto come una naturale appartenenza. Il che, ovviamente, vale
per il libro di Alessio Olivieri, Lelio Basso per la rivoluzione in
Occidente, uscito tempo fa per le edizioni di Punto Rosso, e di cui ci
siamo occupati su questo giornale. È in ogni parte un buon libro che
consiglierei a chi desidera frequentare il pensiero e la vicenda politica di
Lelio.
I
temi salienti sono quelli che ogni esperto poteva aspettarsi. Si può tracciare
una linea dominante che va dall’adesione all’umanesimo marxiano di Rodolfo
Mondolfo opposto ad ogni interpretazione evoluzionista e positivista, alla
concezione socialista di Rosa Luxemburg, radicale rispetto alla “bismarkiana”
visione della socialdemocrazia tedesca, ma contraria ad ogni avventurismo
rivoluzionario che vedeva nella sintesi contingente del pensiero di Lenin e
della Rivoluzione di ottobre (sèguito di quella già avvenuta nel febbraio) il
modello saliente per l’autonomia politica del movimento operaio e per la strada
corretta della sua azione rivoluzionaria. Non è qui il luogo per sviluppare
questo tema, se non fosse per dire che esso è stato un abbaglio politico,
storico, teorico, filosofico che ha avuto ripercussioni molto gravi certamente
sul movimento operaio italiano suggestionato e dominato dalla Terza Internazionale
sia sui socialisti massimalisti, sia sulla stessa area del PCI, come Gramsci
riconobbe chiaramente nel ’33-’34 e che fissò teoricamente nel concetto di
egemonia. Leggere l’interpretazione umanistica di Marx in un radicale profilo
umanistico alla Mondolfo e in una dimensione
politica alla Luxemburg, era il tracciato fondamentale di Lelio e, debbo
aggiungere, nella sua elevata dignità ideale, il motivo della sua debolezza
politica. Molto più propensa all’altalena tra la visione leninista (che andava
capita nell’insieme dei suoi motivi contingenti) e quella socialdemocratica che
mostrava una sua compatibilità con le trasformazioni necessarie nello stesso
sviluppo sociale (non solo economico) del capitalismo contemporaneo.
Gramsci e Basso |
Lelio era
del tutto fuori sia della mitologia che teneva in piedi il movimento comunista,
che dai limiti persino più ideali che operativi (il compromesso si può fare,
diceva Lelio, purché si sappia che cosa è) della prospettiva socialdemocratica.
Se devo aggiungere qualcosa (che deriva dal costo della nostra esperienza) dirò
che Rosa aveva letto Il Capitale pensando che, proprio nel suo sviluppo
imperialistico, avrebbe trovato la sua crisi definitiva. E che in questo quadro
mancava la lezione del terzo libro del Capitale, dov’era in ombra la
dialettica umanistica della filosofia di Mondolfo. Ma sono considerazioni che
sarebbe meglio con pudore storico tenere per sé. La rivoluzione di Lelio, non
dimentichiamo (come l’Autore non dimentica) la risonanza calvinista della sua
giovinezza, era una rivoluzione umanistica in una società che avrebbe percorso
dal punto di vista tecnologico e da quello comportamentale tutte le strade che
aveva aperto l’incremento capitalistico a livello mondiale. Che Lelio trovasse
il suo spazio nel Tribunale Russell, nella Lega per i diritti dei popoli, e
nella estensione della “Carta di Algeri”, mi sembra l’epilogo più pertinente
per chi aveva aperto una strada politica con un supporto sostanzialmente etico,
com’era del resto l’umanesimo del giovane Marx. Lelio per tutta la vita aveva
cercato il luogo “pratico” dove il suo marxismo ideale poteva realizzarsi, e
devo dire che non è stato affatto un fallimento, ma un’esperienza fondamentale.
La quale però lascia a noi la domanda su quali siano i fondamenti dell’azione
politica, i poteri fondamentali che la condizionano, il dominio che sulle
istituzioni esercita la potenza del sistema economico. Tutti temi che Lelio
avvertiva, e che troviamo in una sua celebre intervista. Ed è proprio qui che
dobbiamo trovare il nostro senso.