TACCUINO
di
Angelo Gaccione
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Veduta di Piazza Adriano Olivetti |
Ripamonti si trasforma
Prima di divenire quel che è ora,
la lunga via Ripamonti, la via più lunga di Milano, è stata molte cose insieme,
riferite a memorie personali e a sentimenti contrastanti. È stata la
via delle tante fabbriche dalle alte ciminiere dove si concentrava una
massiccia quantità di tute blu; il cavalcavia che scavalcando la ferrovia ti
conduceva al capolinea di un tram dove una vecchia trattoria dal nome a tre
lettere maiuscole: “SPQ”, segnava il limite oltre il quale ti immaginavi campi
e nebbia. E campi e nebbia ti trovavi davanti, se proseguivi per Opera e Pieve
Emanuele. Più tardi il capolinea fu spostato dove è ora, ai confini con Opera,
per via di un palazzone dell’Inps e dello Ieo, acronimo sinistro che sta per
Istituto Europeo di Oncologia: tumori, per essere più chiari. Infilandoti tra
le sue traverse, dal cavalcavia in giù, non ti compariva nulla di significativo,
e solo molto più tardi scoprii la chiesa di Santa Maria dell’Assunta al
Vigentino. Per anni la via Ripamonti è rimasto l’odiato luogo dove avevano
costruito un banale palazzo a vetri del Provveditorato agli Studi, poi
scopertosi pieno di amianto, dove gli studenti si recavano in cortei per
protestare contro il dissesto e le manchevolezze delle scuole milanesi; ma
anche il palazzo dove avevano arrestato il boss mafioso Luciano Liggio nel
1974.
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Il palazzo a Vela |
Al di qua della seconda cerchia dei Navigli, le cose stavano
diversamente e trovavi belle case primi-Novecento spesso impreziosite da
balconcini magnificamente lavorati, come quelli di via Atto Vannucci, per
esempio, che incrocia la Ripamonti a pochi passi dal viale Bligny. Per me la
Ripamonti è stata per un certo numero di anni, la casa a ridosso delle mura
spagnole dove andavo a trovare l’amico e critico cinematografico Morando
Morandini; e, soprattutto, il riconoscimento dei milanesi allo storico di cui
la via porta il nome, a cui il cardinale Federigo Borromeo aveva reso la vita
impossibile.
La fine delle fabbriche e della classe operaia, ha coinciso
con un profondo mutamento umano, prima che urbano. Ma questo vale per la città
nel suo insieme.
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Il Palazzo a vetri della Fastweb |
Lungo la sua direttiva, subito dopo l’incrocio con i viali
Toscana e Isonzo, già sopra il lato destro del cavalcavia, le strutture
industriali sono divenute studi, laboratori, locali, e abitazioni di pregio per
professionisti e benestanti. Molte di queste costruzioni hanno mantenuto le
forme tipiche dei capannoni. Abitazioni anche nella parte sottostante, quella lungo
la via C. De Angeli, e più in là, dove è stato costruito un intero quartiere
residenziale, noto come quartiere Spadolini. Quartiere di lusso, che non ha
niente a che vedere con le case popolari deturpate di via dei Fontanili. C’è
anche una moderna costruzione al fondo di via Vittore Buzzi, una residenza per
studenti, visto che lì attorno è stato spostato l’Istituto Europeo di Design (Ied),
e nella via Noto la facoltà di Scienze dei Beni Culturali. Una discreta
superficie, sempre sul lato destro, è stata occupata da un’altrettanta moderna
costruzione, quella dell’Esselunga, capofila della grande distribuzione qui a
Milano. Si presenta con una stazza enorme, forse la più grande di tutta la
città, e il suo insediamento ha vivacizzato non poco, almeno nelle ore diurne,
la zona.
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Veduta complessiva della Piazza |
Vi scorre la Roggia Vettabbia, in via Ripamonti, e qualche volta per
vedere le robuste nutrie che vi sguazzano, sono andato in via Corrado il Salico
(io scherzosamente dico il Sadico) o nella piccola via Morivione. Per
anni me la sono immaginata (nella mia fantasia di scrittore), come una via un
tempo piena di piante di more, anche se il toponimo era del tutto improbabile.
Ma alterare i significati di un nome è un esercizio che mi diverte e che faccio
spesso. In realtà le cose stanno in modo ben diverso e la leggenda (o la
storia), ci riportano a fatti più truci e più prosaici. Pare che in questo
luogo (l’antico borgo Vione) uno spietato e sanguinario bandito dal nome Vione,
fosse stato ucciso dai lancieri del duca di Milano (forse Azzone Visconti) nel
1336. Una pietra ne ricordava l’evento con la scritta “qui morì Vione.
Il tempo e il popolo fecero il resto: il verbo e il nome si fusero in un
termine solo, Morivione, e le generazioni che seguirono, con questo nome
connotarono il borgo stesso. Ma è storia andata, e nessuno più se ne cura.
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La Terrazza della Fondazione Prada |
Sul lato sinistro del cavalcavia, la via Lorenzini porta
davanti alla Fondazione Prada, che ha inglobato vecchi opifici e cascine per
realizzare uno spazio espositivo d’arte fondendo tradizione e modernità. Copre
una superficie notevole questa costruzione, e dall’ultimo piano che si
raggiunge con un ascensore che si affaccia per un tratto nel vuoto, la veduta
ampia sulla città spazia per chilometri. Raccontarla a parole non le rende
giustizia e pertanto me ne astengo. Davanti c’è la ferrovia dello Scalo di
Porta Romana: che cosa diventerà questa zona non lo sappiamo; non sono sicuro
che riusciremo a contenere gli appetiti degli invasati del cemento e l’uso di
suolo che si converte in danaro per i pochi che già ne hanno a dismisura e non
gli basta mai. A parole, governanti e amministratori (di destra, di sinistra o
di centro che siano), si dicono amici del verde per contenere i cambiamenti
climatici; nei fatti lasciano che ogni area dismessa venga edificata e i
cittadini deprivati di spazio pubblico, di superfici “vuote” assolutamente
necessarie. È avvenuto col palazzo privato all’angolo di via Brembo ai cui
costruttori è stato concesso di elevarsi a piacimento, facendo sparire dallo
sguardo il bel campanile della chiesa di San Luigi che dà il nome all’omonima
piazzetta, e probabilmente sparirà dalla vista tutto il tratto della via Brembo
che a me ha sempre ricordato uno scorcio parigino, come se oltre il muro, visto
dal piazzale Lodi, scorresse se non proprio la Senna, almeno un corso d’acqua.
Finora vi scorre la ferrovia, una via ferrata utilissima, ma si parla di
dismissione, e il suo destino pare, per il futuro, ahimè, segnato.
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Particolare della Fondazione |
Alle spalle della Fondazione Prada un suggestivo palazzo a
forma di vela anch’esso imponente e coi terrazzi ricchi di vegetazione, si
allinea ad altri altrettanto moderni. Non si sono operati guasti, e si spera
che le ultime vestigia rurali sopravvissute, siano tutelate; sarebbe gravissimo
se fossero “soffocate”, o peggio, cancellate. Al momento, quello che è stato
battezzato “progetto Symbiosis”, ha prodotto una piazza suggestiva dedicata ad
Adriano Olivetti ed un’enorme costruzione che la delimita in orizzontale quasi
per intero. È un palazzo a vetri che riflette tutto quando cattura nella sua
superficie, cielo e nubi compresi, sede della Fastweb. È sorretto, nella parte
sinistra, da due giganteschi pilastri a forma di X che indubbiamente lo rendono
più aereo e come sospeso. L’impatto visivo è piacevole, anche perché per ora
non ha nient’altro alle spalle; si dovrà aspettare cosa emergerà, quando le
tante gru in attività, avranno finito il lavoro nei cantieri lì attorno, per
capire se questa sensazione rimarrà, o ne resteremo delusi.
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Veduta a spigolo |
Ma vediamo come ci
viene presentata nel suo complesso, la piazza che delimita le vie Adamello e
Orobia e che confina su un lato con la parte retrostante della Fondazione
Prada. “L’area si compone da tre ambiti distinti. Una grande superficie
pavimentata occupa la zona centrale per ospitare attività, ed eventi
collettivi, oltre che aree di sosta e d’incontro ombreggiate da esemplari di
prunus pado, il ciliegio da fiore dei boschi umidi lombardi. Tra questa e l’edificio
della Fondazione Prada si colloca il giardino ruderale dove sono coltivate
numerose specie arbustive ed erbacee perenni che, componendo diverse fioriture
stagionali, ripropongono lo sviluppo della vegetazione spontanea propria dei
ruderi delle aree industriali. Sul lato opposto tre fontane, che per forma ed
estensione evocano il sistema dei corsi d’acqua del vicino Parco Sud Milano,
sono disposte in sequenza per estendere visivamente, ma anche fisicamente, il
limite della piazza verso il primo edificio”.
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Fondazione Prada |
La realizzazione
di una piazza è sempre un’ottima cosa. Finisce per attirare inevitabilmente tante
persone e diventare fruibile a più livelli di interesse. Per brutta che una
piazza possa essere, ha almeno il pregio di tenere lontane le macchine e di
essere uno spazio sicuro per bimbi, mamme ed anziani. Questa dedicata ad
Adriano Olivetti è bella e armonica. L’unica difficoltà sono le
panchine senza spalliera, non proprio comode per chi vuole riposarsi,
leggersi un giornale o adagiarvi un bimbo molto piccolo. La terza vasca della
sua fontana, con l’oasi vegetale e le ninfee, è diventata una preziosa
attrattiva per i bambini; ai tanti pesciolini che vi guizzano si sono aggiunte
le anatre che vi si nascondono e nidificano, ed è un piacere vederle alzarsi in
volo o planare nell’acqua per atterrare. In questo periodo di forzato “distanziamento
sociale” (che termini orribili coniano politici e burocrati), ci sono venuto di
continuo.
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Uno scorcio della Piazza |
Non è lontana da casa mia questa piazza, ed è ad una manciata di
minuti a piedi da quella di mia figlia. Vi ho portato un mucchio di volte la
nipotina che ha potuto giovarsi anche di altalene, scivoli e dei giochi di un
giardinetto lì vicino, e che l’imbecillità di teppisti (qualità molto diffusa e
pertinace più dei virus), si è divertita a svellere parti della staccionata che
lo contorna. Abbiamo preso il sole ai bordi della fontana su quella piazza; dato
briciole di pane a pesciolini, scambiato qualche parola con altri nonni,
giovani mamme e tanti bimbi, con l’accortezza che era necessaria avere in epoca
di pandemia. Per fortuna molti di loro non portavano la mascherina e si è
potuti vederli in viso.
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Allegra ai bordi della Fontana |
Allegra che è estremamente comunicativa (in questo mi
assomiglia), si è divertita e ha divertito. Ci ha preso gusto, e adesso è lei
che ha preso in mano le redini e mi comanda a bacchetta: “Domani alla Fondazione
Prada”; ed io come tutti i nonni, obbedisco. In un pomeriggio particolarmente
luminoso, ci siamo cimentati, per scherzo, a mettere assieme dei versi dedicati
alla piazza, alla fontana, ai pesci, alle anatre e alle nubi spumeggianti e
vaporose, che lei ha paragonato, con una magnifica similitudine, allo “zucchero
filato”. Non li abbiamo trascritti quei versi, perché eravamo sprovvisti di
carta e penna. Ma lei li ricorda tutti. Potenza della memoria dei bambini…
ALBUM
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La Torre della Fondazione |
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Veduta in miniatura del complesso |
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Uno dei cortili interni |
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Vetri e cielo |
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I prunus |
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Particolare della Piazza |