BENI CULTURALI
di Lodovica Braida*
Cliccare sulla locandina per ingrandire
Biblioteche d’autore e costruzione dell’identità
letteraria.
Vittorio Alfieri e la biblioteca ritrovata.
Le
biblioteche d’autore ci consentono, in casi fortunati, di avvicinarci al mondo
misterioso della creazione letteraria, lasciando affiorare gli interessi e le
passioni di una vita. Ma entrare nel “laboratorio” di uno scrittore attraverso
le sue letture non è certo semplice: i libri spesso scompaiono con l’autore,
oppure si disperdono in mille rivoli senza possibilità di ricomporre la
biblioteca nella sua interezza. Qualche volta però succede che le biblioteche
perdute e i loro cataloghi riaffiorino, illuminando tratti di vita letteraria e
artistica di una luce nuova. È stato così per le biblioteche di numerosi
autori, tra cui Montaigne, Pico della Mirandola, Montesquieu, Voltaire e ora
anche Alfieri, di cui Christian Del Vento (Université Sorbonne Nouvelle,
Parigi) ha ricostruito le complesse vicende dei libri che avevano accompagnato
il tragediografo italiano fino al 1792, quando, il 18 agosto, dovette partire
precipitosamente dalla capitale francese, a causa dei tragici esiti degli
eventi rivoluzionari.
Era una biblioteca con edizioni preziose quella che Alfieri aveva dovuto
abbandonare alla svelta. Invano aveva sperato di ritracciarla, anche perché
quei libri avevano accompagnato il lavoro di redazione delle sue tragedie, dei
trattati politico-filosofici e della prima stesura della Vita. Per
lungo tempo, di quella biblioteca si è saputo poco: la mancanza di un catalogo
completo, la dispersione di numerosi volumi nelle biblioteche parigine, la
vendita attraverso il mercato antiquario, e le traversie del sequestro, avevano
impedito di ricostruirne le peculiarità. Si conosceva invece la seconda
biblioteca di Alfieri, quella costituita dopo il 1793, a partire dai pochi
libri che era riuscito a portare con sé fuggendo da Parigi, e poi accresciuta
fino alla morte, una biblioteca nota agli studiosi sin dal 1825, quando fu
donata dal pittore François-Xavier Fabre, erede della contessa d’Albany, alla
sua città natale, Montpellier. Ma la curiosità per le sorti della prima
biblioteca non si era mai spenta…
Era una biblioteca con edizioni preziose quella che Alfieri aveva dovuto
abbandonare alla svelta. Invano aveva sperato di ritracciarla, anche perché
quei libri avevano accompagnato il lavoro di redazione delle sue tragedie, dei
trattati politico-filosofici e della prima stesura della Vita. Per
lungo tempo, di quella biblioteca si è saputo poco: la mancanza di un catalogo
completo, la dispersione di numerosi volumi nelle biblioteche parigine, la
vendita attraverso il mercato antiquario, e le traversie del sequestro, avevano
impedito di ricostruirne le peculiarità. Si conosceva invece la seconda
biblioteca di Alfieri, quella costituita dopo il 1793, a partire dai pochi
libri che era riuscito a portare con sé fuggendo da Parigi, e poi accresciuta
fino alla morte, una biblioteca nota agli studiosi sin dal 1825, quando fu
donata dal pittore François-Xavier Fabre, erede della contessa d’Albany, alla
sua città natale, Montpellier. Ma la curiosità per le sorti della prima
biblioteca non si era mai spenta…
E finalmente, nel 2000, Del Vento, dopo
lunghe ricerche, ha rinvenuto presso gli Archives
Nationales di Parigi l’inventario dei libri di Alfieri confiscati dalle
autorità rivoluzionarie. A partire da questo “tesoro” inesplorato, lo studioso
è riuscito a individuare un elenco di circa 3400 volumi, di cui è stato
possibile, grazie alla ricerca nelle biblioteche italiane, francesi, inglesi e
statunitensi, identificare il 46% dei volumi appartenuti allo scrittore.
Ma il risultato
più importante di questa ricerca, anche per le sue ripercussioni metodologiche,
è quello di aver individuato nella biblioteca la connessione con il
“laboratorio” letterario dell’autore, portando attenzione al rapporto tra
lettura e scrittura, cioè a quanto alcuni libri abbiano influito sulla sua
creazione letteraria, ma soprattutto a quanto la biblioteca abbia contribuito a
costruire l’immagine d’autore che Alfieri voleva consegnare alla posterità.
A differenza di
quanto traspare dal catalogo del sequestro, il tragediografo aveva preparato un
elenco dei suoi libri assai più scarno: poco meno di mille volumi, quasi
esclusivamente appartenenti alla tradizione classica greco-latina e italiana.
Arrivò così a falsificare la realtà, eliminando dal catalogo la gran parte dei
libri francesi che attestavano le sue letture dei philosophes e di altri
autori francesi di successo, che tanto aveva apprezzato durante la sua
giovinezza. Volendo trasmettere alle generazioni future l’immagine ideale della
sua attività di scrittore in lingua italiana, aveva cercato di cancellare, con
una sorta di autocensura, la testimonianza di ogni lettura che non fosse
riconducibile al canone classico, antico o italiano. Un segno che la
costruzione dell’autorialità passa anche attraverso le biblioteche d’autore.
*Università degli Studi di Milano
Centro Apice