I GENERI FILMICI: UNA IPOTESI
di
Sergio Azzolari
È cosa certa che ogni
classificazione predilige una o più particolarità escludendone altre, ovvero,
tutte le classificazioni raggruppano elementi costruendo insiemi e sottoinsiemi
per similitudini ed esclusioni; ma, non esistono insiemi “perfetti” e completi.
La realtà produce quasi sempre un “ornitorinco” che mette in imbarazzo
l’ambizione sistematica. Per quanto riguarda i “film”, ritengo che in
ultima analisi siano solo due gli elementi che possono essere considerati
significativi come minimo comun denominatore a cui è possibile ricondurre la
produzione cinematografica: questi generi sono le Favole e i Saggi. Vi
potrebbe essere un terzo genere che è la “Tragedia”, ma che, come
tenterò di chiarire, è in realtà un sottogenere della Favola.
I
film “Favola” sono quasi la totalità, la stragrande maggioranza e sono tutti
riconducibili all’incipit: “C’era una volta”. C'era una volta un agente
segreto,
c’era
una volta un sommergibile, c’era una volta una vedova… un cacciatore di alieni…
un detenuto… uno scienziato… un elefante
dalle orecchie grandi, etc. etc. Scelgo il termine Favola come sinonimo di
Leggenda, Fiaba, Mito, Parabola, Storia, etc. Assolutamente non denoto “favola”
in modo riduttivo (nel senso di fanciullesco o non reale); la sua specificità è
facilmente identificabile e riconoscibile proprio in base agli elementi tipici
delle favole, quali:
-
Un contesto che può essere del tutto fantastico, con un mix di realtà e
fantasia o del tutto reale (una città, un periodo storico etc.)
-
Un protagonista (più raramente due o un gruppo) principale anche questo di
fantasia o riconducibile a un archetipo reale ma anche a un personaggio
realmente esistito.
-
Uno o molti antagonisti
-
Uno o più morali/significati/messaggi ricavabili dalla “storia” narrata, intesa
in ultima analisi come una parabola (racconto immaginario tendente a proporre
per deduzione una verità generalizzabile ed esportabile). La parabola può
essere più o meno esplicita, nascosta.
La parabola principale può contenere sotto parabole, oppure le può
presentare senza un livello gerarchico.
-
Un obiettivo/scopo/meta da raggiungere (solitamente non facile e con molti
ostacoli da superare); quasi sempre viene raggiunto, e se non viene raggiunto,
la “morale” ricavabile sta proprio nel “fallimento”.
Ovviamente
sarebbe anche possibile un tentativo di classificazione delle “favole” in
sottogeneri, Favola Fantasy, Favola Comica, Western, Sentimentale etc. ma anche
qui la classificazione rigida fallisce, dato che il più delle volte nella
stessa favola coesistono due o più sottogeneri. Così come avviene per i bambini
dove le favole sono un modo di avvicinarsi al mondo attraverso il meccanismo
della immedesimazione, esattamente avviene
per gli “adulti”, attraverso un identico processo di identificazione
nella storia raccontata. Lo schema di lettura favolistico però non deve essere
interpretato a senso unico. L’eroe, per uno spettatore, può essere il “cattivo”
per un altro. Le morali che se ne possono trarre possono anche essere lette in
modo antitetico. è la struttura in sé che definisce il genere “Favola”.
Se
ritengo abbastanza plausibile trovare un accordo sui film che possono essere
raggruppati sotto la voce “Favola”, più difficoltoso è, forse, trovare un
accordo su un particolare prodotto che viene definito “Tragedia” che ritengo
essere un particolare sottogenere di favola. Alcune “Favole” possono
“diventare” tragedia per il motivo che cercherò di spiegare.
Una
tragedia è sempre un fatto personale e psichico.
La
tragedia non è generalizzabile: quello che può essere tragico per un individuo,
può non esserlo per un altro, nello stesso modo in cui non “tutte” le favole
con protagonista un orco, spaventano “tutti” i bambini.
Ciò
che caratterizza il tragico è il legame con un vissuto personale che può
rimanere latente o inconscio o somatizzarsi in particolari “stati” quali fobie,
paranoie, paure, incubi, angosce, terrori, repulsioni e via dicendo.
La
tragedia ha intrinsecamente in sé qualcosa di traumatico, realmente accaduto o
semplicemente fantasticato.
Un
accadimento, per quanto “tragico”, al suo verificarsi non è già “Tragedia”, è
solo un fatto. Diventa “Tragedia” nella sua interiorizzazione, nella
rielaborazione e poi nel ricordo, anche stravolgendoli e ingigantendoli.
Quello
che concorre a riconoscere un fatto, quindi un film-Favola tragico, si fonda,
pertanto, su un vissuto reale o frammenti di un vissuto, o una rielaborazione
psichica che provoca sostanzialmente ansia e angoscia. Ansia e angoscia sono
entrambi un terreno indefinito, una landa dalla quale ci si vorrebbe
allontanare trovandosi invece in uno stallo. Quante volte è capitato di non
riuscire a vedere una scena chiudendo gli occhi o girando la testa da un’altra
parte, o uscire dalla sala prima della fine della storia? Nel teatro tragico la
rappresentazione di fatti o vicende (collocate in un passato) aveva (anche) lo
scopo di provocare negli individui (al presente) la catarsi, cioè, smuovere
quel magma indistinto sul quale non si aveva ancora un controllo e condurre
così la mente a una riflessione che a sua volta poteva condurre alla
razionalizzazione e infine a una presa di coscienza liberatoria e
purificatrice.
Anche la psicoanalisi sfrutta questa diade
passato/presente con lo scopo di far
riaffiorare alla coscienza esperienze traumatizzanti precedentemente vissute
che generano angoscia. Si potrebbe anche utilizzare la metafora della Favola
come una amena conversazione tenuta in un salotto o di pettegolezzo da cortile,
mentre la Tragedia come un difficoltoso soliloquio interiore davanti a uno specchio.
È
come parlare di corda in casa dell’impiccato. Se la favola di Cappuccetto Rosso
viene raccontata sbadatamente alla nipotina nel giardino dove il tenero pitbull
aveva sbranato inspiegabilmente la nonna mentre prendeva il tè, allora la
favola non è più Favola. È perciò possibile che una Favola per i più, possa
essere una Tragedia per pochi. Tento un esempio. Il film Titanic
potrebbe avere come incipit di Favola:
“C’era una volta una nave inaffondabile che intraprese il suo primo viaggio con
a bordo...”. E tantissimi seguirebbero questa storia raccontabile seduti in
poltrona davanti a un camino come se si parlasse di un bel racconto di fantasia
nel quale è possibile individuare i principali protagonisti (la nave, i due
giovani...) e gli antagonisti (la natura, l’iceberg, il fidanzato possessivo,
etc.) e ricavandone una morale che potrebbe essere “diffidare dalle sicurezze
promesse della tecnologia” oppure “il vero amore è altruista” o altro ancora.
“C’era una volta una nave inaffondabile che intraprese il suo primo viaggio con
a bordo...”. E tantissimi seguirebbero questa storia raccontabile seduti in
poltrona davanti a un camino come se si parlasse di un bel racconto di fantasia
nel quale è possibile individuare i principali protagonisti (la nave, i due
giovani...) e gli antagonisti (la natura, l’iceberg, il fidanzato possessivo,
etc.) e ricavandone una morale che potrebbe essere “diffidare dalle sicurezze
promesse della tecnologia” oppure “il vero amore è altruista” o altro ancora.
Ma
per una persona che ha vissuto realmente proprio quella esperienza (anche se
oggi non è proponibile dato che si riferisce al 1912 e nessuno dei protagonisti
è ancora in vita) o, più probabile, ne ha fatta una molto simile, la
riproposizione di quella situazione sarebbe come rivivere la “Tragedia”, vi
sarebbe una identificazione o sovrapposizione tra fantasia e realtà.
La
“Tragedia” in ambito filmico è perciò qualcosa di definibile solo a livello
individuale, è solo il singolo spettatore che può etichettare un film come
tragico, essendo la sua visione (non esclusivamente l’aspetto iconico, ma tutto
il suo insieme), intimamente insopportabile. La tragedia non muove le corde del
sentimentalismo ovvero, non muove alla
compassione ma alla fuga, al non voler vedere. Anche se, quello che è vissuto
come “Tragedia” in ambito filmico può avere un lieto fine, ciò che caratterizza
il fatto tragico è che a livello individuale non c’è la catarsi positiva
finale. Se quello che si vede fa star male, sia perché collocato in un evento
nel passato, o perché prefigura una possibilità insopportabile, allora stiamo
rivivendo una Tragedia non superata o una paura inconscia. La Favola è un
distacco, la Tragedia è un contatto e il contatto è sostanzialmente di natura
psicologica.
Ora,
potrebbe essere abominevole (sotto molti punti di vista), collocare i film sul
nazismo e lo sterminio, sotto il genere “Favole”, ma il paradosso è che per
molti, non solo i film, ma la “storia dell’olocausto” è una favola, una
invenzione.
Credo
che sia innegabile che per chi (per fortuna) non ha vissuto quella tremenda
esperienza, la visione di un film sul nazismo (es: Schindler’s list)
risulti, anche quando il film vuole essere crudo e violento, una visione che
coinvolge sì, ma con un certo distacco, come da un balcone, insomma, da
spettatore nel senso stretto della parola. C’erano una volta dei cattivi, ma
veramente cattivi... La tragedia non ha una morale, non ha un “messaggio, non
ha buoni o cattivi. la “Favola” sì.
Personalmente,
in base a quanto detto, collocherei (come esempi) i film “Un giorno di
ordinaria follia” e “127 ore” sotto il genere “Tragedia” non perché
trattano di esperienze personalmente vissute (che non ho fatto) ma perché
evocano o prefigurano situazioni per me insopportabili. Nel primo caso quello
di perdere il controllo e dare sfogo a pulsioni che solo “il buon senso” tenta
giornalmente di governare. Nel secondo caso di dovermi trovare intrappolato in
una situazione di estrema angoscia claustrofobica senza apparente uscita. Ma,
vi è un altro “racconto” per me insostenibile ed è quello in cui il
protagonista per insipienza, ottusità, faciloneria per risolvere un pasticcio
da lui creato, mette in movimento una serie di eventi che lo conducono
inevitabilmente alla propria rovina. Ogni espediente messo in atto per uscire
dal pantano in cui si è messo lo fa sprofondare invece sempre di più.
Anche
se ironico, propongo (almeno nella prima parte), come esempio, “Fargo”
dei fratelli Cohen.
L’altro
genere di film è definibile come: “Saggio”. Il “saggio, ovviamente non può
essere né una Favola né una Tragedia. Può avere alcune caratteristiche della
“Favola” ma non può diventare Tragedia. Il termine “Saggio” è da intendersi dal
punto di vista del “regista”. Essenzialmente è l’autore dell’opera che intende
proporre il proprio lavoro come un “saggio” della sua visione del “mondo”. I
Film “Saggio” non possono cominciare con il classico incipit della “Favola”. O
piuttosto, potrebbero avere come inizio una sua deformazione “C’era una non
volta”.
I
film “Saggio” sono come un trattato di filosofia dell’Essere, in definitiva
prodotti alquanto cerebrali. Questi film sfidano lo spettatore a giocare a
palla con il proprio cervello, a dipanare il bandolo della matassa, ammesso che
esista, e qualora sia possibile individuarlo, a seguirne il filo ammiccando che
non resteranno ingarbugliati. Sono i classici film che affascinano in quanto se
da un lato sembrano voler strizzare l’occhio allo spettatore, considerandolo
“all’altezza” della proposta, dall’altro lo fanno sentire spiazzato e spaesato
e anche un po’ stupido, perché il nucleo risulta sfuggente. Paradossi,
allegorie, labirinti, citazioni, citazioni di citazioni, contrattempi e
stonature sono gli ingredienti principali di questi film.
Tre
per tutti: Twin Peaks e L’Anno Scorso a Marienbad, Eyes Wide
Shut.
Sintetizzando:
i film “Favola” sono quelli che attraverso un facile sentiero ci conducono
piacevolmente alla meta in una giornata di sole. I film “Tragedia” si
presentano, non per tutti, come una difficile arrampicata ostacolati dalle
asperità del cammino. I film “Saggio” ci invitano ad entrare in quello che si
rivelerà essere un labirinto, difficile trovarne l’uscita. A che serve tutto
ciò? Solo (forse) a collocare gli spettacoli nei rispettivi cassetti del
cervello.