FORMA DI GOVERNO
di
Franco Astengo
Giancarlo Consonni
"Vivaldiana" 1998
Nell'editoriale
firmato da Massimo Franco apparso lo scorso 4 settembre sul "Corriere
della Sera" si affronta l'analisi del processo in corso di ridefinizione
della forma di governo. Una rara occasione di riflessione, almeno dall'avvento
dell'attuale esecutivo, Nell'articolo si descrive come si possa pensare a un "rimodellamento
delle gerarchie istituzionali, con Palazzo Chigi in un ruolo quasi
"tolemaico" e il sistema politico parlamentare impegnato in un
dibattito animato ma anche separato dalle sorti dell'esecutivo".
In
questo modo, secondo l'autore (che ritiene comunque il progetto di non facile
realizzazione), si eviterebbero "invasioni di campo" tra diversi
poteri e si arriverebbe a una sorta di "fusione" (o perlomeno di
interdipendenza diretta) tra Presidenza della Repubblica e Presidenza del
Consiglio.
Per
realizzare questo surrettizia modificazione costituzionale, almeno a nostro
giudizio, servirebbe (considerata la struttura del sistema politico italiano)
l'adozione di un sistema elettorale fortemente maggioritario con ritorno al
bipolarismo. Sistema elettorale dal cui sgorgherebbe come naturale una sorta di
designazione diretta del Capo dell'Esecutivo (soluzione simil- tedesca:
situazione nella quale il sistema elettorale è misto, con doppio voto
proporzionale e maggioritario e sbarramento al 5% per la parte proporzionale). I
due rami del Parlamento risulterebbero così finalmente ridotti ad una funzione
di mera approvazione dell'indirizzo governativo: un discorso che arriva da
lontano se pensiamo all'invadenza, fin dagli anni '80, della decretazione
d'urgenza, poi ai dpcm e via raccontando.
Appare
evidente la volontà di conseguire il superamento dell'equilibrio costituzionale
tra i poteri e la "deviazione" dalla centralità parlamentare: una
tentazione "salazarista" che abbiamo già attraversato nel passato più
o meno recente. Una struttura del potere che rimarrebbe, nell'ipotesi delineata
nell'articolo del Corriere centrata su due figure monocratiche in modo da
rispondere direttamente ai nuovi livelli di dominio sovranazionali e
sovrastatuali: probabilmente i veri centri dove governo e potere si sono
intrecciati. Una struttura semplicemente "sostenuta" all'esterno da
un parlamento bipolare ma equamente filogovernativo. Lo schieramento
parlamentare che uscirebbe suffragato dalle urne risulterebbe semplicemente complementare,
tanto più che ci troveremmo in una Camera di ridotte dimensioni privata della
capacità di rappresentazione politica e territoriale e di un Senato costretto
in un quadro di evidente inferiorità istituzionale con il bicameralismo
profondamente falsato pur essendo stato rinnovato recentemente (dicembre 2016)
come istanza di natura costituzionale.
Verrebbe
fuori, insomma, un Parlamento di notabili rappresentativi più o meno di sé
stessi tutti più o meno governativi, che tanto varrebbe tornare ad eleggere da
parte di una élite economica raccolta attorno al "caminetto".
La
democrazia “classica”, quella che abbiamo sempre intesa appunto per via
parlamentare, sembra ormai ridotta a simulacro e gli interpreti ristretti nella
sua estrema forma “recitativa”. All'interno di questo quadro nel sistema
politico italiano emerge, in aggiunta, come il PD risulti totalmente privo di
una linea politica che non sia quella dell'accomodamento comunque nell'ambito
governativo: eppure si dovrebbe trattare del principale partito in una ipotesi
di ritorno ad un futuribile centrosinistra che comprenderebbe quel M5S del
quale si constaterà il grado di declino dall'esito delle urne del prossimo
turno di elezioni amministrative. Se si intende sviluppare un'alternativa a
questo stato di cose è necessaria allora e prima di tutto una rielaborazione
del concetto di rappresentanza (facendo di questo punto di riflessione politica
l'elemento fondativo di una ripresa di soggettività).
Una
rielaborazione che dovrebbe partire dalla formulazione di un interrogativo: il
concetto di rappresentanza rimane quello fondamentale di espressione della
democrazia?
Servirà
ancora una rappresentanza politica da destinarsi a costruire una dimensione
“visibilmente distinta" tra i diversi livelli dell’agire politico?
Se riteniamo che la
rappresentanza politica rimanga fattore fondamentale della democrazia (il
togliattiano "Parlamento specchio del Paese") la nostra idea di una
nuova soggettività dovrebbe allora partire dal riconoscimento di una soggettività
che ritiene necessaria una “distinzione della visibilità" sul piano
istituzionale e dall'idea di un recupero di ruolo per soggetti che si misurano
con una articolazione in senso orizzontale della dimensione del potere. La
rappresentanza politica, infatti, deve trovare (com’è stato del resto, pur tra
contraddizioni evidenti, in Italia nel periodo dei grandi partiti di massa) nel
riferimento costituzionale e nell’idea giuridica della personalità dello Stato
(in cui si rappresenta la “totalità” del corpo politico”) il cardine dell’unità
politica del popolo. Fuori da questo non
c’è popolo ma soltanto una disgregata moltitudine che finirebbe semplicemente
di subire passivamente l'isolamento del potere. Del resto abbiamo avuto
occasione di osservare il fenomeno nel corso del recente esperimento sulla
democrazia diretta e dell’uno vale uno: esperimento che alla fine si è concluso
con il trionfo del più vieto trasformismo. In questa fase le forze prevalenti
nel sistema politico italiano stanno tentando l'emarginazione della
rappresentanza dal contesto istituzionale: di questo fatto dobbiamo cercare di
essere pienamente consapevoli comprendendo anche che ci troviamo in una fase
che si è cercato di descrivere e che si potrebbe appellare come di vero e proprio
"arretramento storico".
Giancarlo Consonni "Vivaldiana" 1998 |