COSTA SAN GIORGIO
di Andrea De Marchi*
La
vicenda di Costa San Giorgio è clamorosa, ma, evidentemente, non abbastanza. Il
problema è la cornice più vasta in cui si inscrive, che è l’assenza di un
disegno maggiore. Non sono fiorentino, però ho legato il mio mestiere, i miei
studi a questa città, ed è per me un dolore vivere la deriva progressiva verso
lo spopolamento e lo snaturamento di questo museo a cielo aperto: che, nei
fatti, è un museo diffuso, ma che, di giorno in giorno, di mese in mese, di
anno in anno sta diventando altro. Costa San Giorgio è uno degli angoli
cittadini più belli e più densi di storia. Gli amministratori di oggi saranno
ricordati per avere dato un contributo decisivo non già a riqualificare e a
rendere questo museo diffuso palpabile a un pubblico sempre più consapevole e vasto,
ma a creare una gentrificazione diffusa, come ben detto da Maria Grazia
Messina. La città diventa così uno scenario da cartolina, non è più vissuta da
chi la abita, da chi ci studia: e questo accade perché manca una politica
illuminata.
Non ci sono solo i conventi di Costa San Giorgio, c’è
un patrimonio vastissimo di palazzi, di chiostri, di conventi: penso, ad
esempio al chiostro di Sant’Apollonia, al degrado in cui versa, alla
possibilità viceversa che ci sarebbe di ripopolarlo mettendolo a servizio come
foresteria per gli studenti e facendone, poi, uno dei tanti possibili gangli di
un vero museo diffuso. Da Costa San Giorgio, dai conventi di San Giorgio e dei
Santi Girolamo e Francesco, vengono la Madonna giovanile di Giotto, che per
anni non s’è più vista nel museo chiuso di Santo Stefano al Ponte, vengono
opere di Giovanni da Milano, di Pesellino, di Baldovinetti, e di tanti altri.
Questi luoghi potranno essere riappropriati e
ripopolati solo in una prospettiva a lungo termine: ma dobbiamo essere consapevoli
del fatto che, perdendoli nell’immediato, li perdiamo per sempre, ci inibiamo
queste prospettive. È una consapevolezza che deve germinare, e nutrirsi di
attenzioni quotidiane, continue. Nel nostro piccolo, all’università cerchiamo
di educare i giovani a questa consapevolezza, insegnando loro che la ricchezza
del nostro patrimonio è, innanzitutto, dietro l’angolo, dietro casa.
A Firenze è stato fatto un errore strategico, è stato
fatto quando si è scelto di potenziare i Grandi Uffizi, invece di creare gli
Uffizi diffusi. Avrebbero potuto ripopolare Sant’Apollonia, facendone un Museo
del Quattrocento. Il chiostro grande di Santa Maria Novella è già un museo di
suo, ma pensate alla possibilità di arricchirlo riportandovi le opere migrate
all’Accademia e al Bargello e altrove, di restaurare ed esporre il patrimonio
inestimabile di corali miniati e di parati tessili, di raccontare la storia di
quel complesso straordinario e del Trecento a Firenze. Cosa pensa di farvi il
Comune? Sono solo esempi fra tanti. Perché non si investe su questo, con
progetti forti? La deriva verso la privatizzazione e gli usi impropri è
ovunque. Guardate qui davanti a Palazzo Vecchio, il Palazzo della Mercanzia:
forse avrebbe meritato qualcosa di più che non il Gucci Garden! In una
posizione così strategica vi avrebbe potuto trovare posto un centro di
accoglienza per i turisti, dove farli ragionare e arricchire le loro
conoscenze, introdurli a percorsi alternativi dentro la città, magari con
l’ausilio di strumentazioni multimediali.
La vicenda di Costa San Giorgio è aberrante, e va
contrastata, ma non è che è la punta di un iceberg, l’epifenomeno su cui
bisogna meditare per invocare un’inversione di tendenza, per costruire
pratiche, attenzioni e strategie che in questa città – dispiace dirlo –
drammaticamente mancano. Anche altre città, come Venezia, si avviano verso un
destino simile a quello di Firenze: e questo sarà inevitabile, se non c’è
movimento capillare, che parta dal basso, in maniera molecolare, a partire
dalla riqualificazione e dalla riappropriazione dei luoghi.
*prof. ordinario di Storia dell’arte medioevale
(Università degli studi di Firenze)