EUROPA
E DISARMO
di Giuseppe Oreste Pozzi
L’urgenza necessaria di una parola profetica, poetica,
disarmata e disarmante.
Non c’è da sorprendersi se oggi chi parla di
disarmo venga attaccato con la ferocia della pancia che ribolle di odio o con
la mente annegata nella logica perversa ed illusoria del “mors tua - vita mea”. Dato che la comunicazione è stata in gran
parte catturata dal demone della ferocia aggressiva ed alimentata da reazioni
senza pensiero critico costruttivo oltre che facilitata dall’immediatezza di
sensazioni, emozioni e false notizie, essa è diventata dia-bolica: assunta a patrimonio di un godimento mortifero e contagioso. L’odierna
comunicazione toglie spazio e vigore a quel tentativo di azione sim-bolica che la cultura e l’arte
ancora si ostinano a proporre con energia creativa e vitale. Tutta la
comunicazione dia-bolica è diventata una dimensione devastante del negazionismo
alla vita.
Mi riferisco anche, naturalmente, alle reazioni
che l’articolo di Angelo Gaccione su Italians
sta suscitando. Da una parte, quindi, un ringraziamento doveroso a Beppe Severgnini
che ha avuto il coraggio di ospitare il pensiero di Gaccione ed allo stesso
tempo, però, un grande rammarico perché non ha avuto la forza di dare dignità e
sostegno ad una voce non solitaria ma certamente indisponente per la retorica
di pancia e di cervello omologati alla forza distruttiva, dilagante ed imperante.
Qualche osservazione
di base
Non c’è
bambino senza istituzione, indica Jacques Lacan.
Non c’è
religione senza istituzione, ripropone Jacques-Alain Miller.
Bambino e religione sono già l’effetto del tesoro
della parola di chi ne produce l’esistenza. L’esistenza produce altra
esistenza. L’istituzione vivente, come il linguaggio, sono già lì ad accogliere
il bambino e la religione. Prima c’è l‘istituzione e poi il bambino e la religione
ma l’istituzione è istituita, è vita, è la parola che vive e che accoglie la
vita, vive per accogliere la vita. La parola, il significante producono di per
sé altre parole, altri significanti. Bambino e religione sono già parlati, sono
già un effetto del loro incontro con il linguaggio. Ma il linguaggio vive,
nell’essere parlante, solo fino a quando, quest’ultimo, non viene distrutto,
eliminato, fino a quando non muore.
Già nel 1959, Isabel Menzies Lyth mostra come le
organizzazioni sociali siano, di fatto, dei linguaggi che hanno la funzione di contenere
l’angoscia di chi vi opera. Vivere porta con sé anche l’angoscia per la vita. Le
sue riflessioni sono il frutto delle sue ricerche al King’s College Hospital. La
guerra, con le sue stragi e con la bomba atomica finale, era ancora nella
memoria di tutti.
Jacques Lacan |
Prima di morire, nel maggio del 1981, Franco Fornari dà alle stampe la prima edizione del suo libro “La malattia dell’Europa. Saggio di psicopolitica sulla struttura diabolica del potere segreto”. Forse, oggi, quel potere non è più tanto segreto anche se si camuffa sotto altre mentite spoglie. A pag. 26 del suo testo, per altro attualissimo, Fornari scrive: “Nei luoghi dove l’informazione è maggiormente presente, il sistema emotivo tende a incallirsi, fino al punto che la gente può vivere all’interno di un grande misfatto, addirittura di un misfatto totale, senza più provare alcuna emozione, come avviene per il misfatto atomico. E a me sembra che uno dei luoghi dove la gente si è incallita di fronte ai misfatti che la riguardano è, attualmente, l’Europa”.
Da sempre la storia umana mostra che le istituzioni, come Giano Bifronte, sono un linguaggio utile a contenere le angosce dell’uomo ma anche il luogo ed il tempo per farle esplodere, annegando, l’essere parlante, nel reale da cui vorrebbe difendersi. Gli psicoanalisti con il Forum “Odio e amore per l’Europa” [1] nel 2019 hanno formulato una serie di proposte per trovare una strada, per velare l’angoscia esistenziale che arruola tutti anche coloro che vivono nell’orrore per la verità, per il sapere e per l’atto.
Si tratta di una proposta che rimbalza con più
insistenza oggi e mostra anche una collettività ampia al lavoro, una
collettività che si apre sempre più alla cultura ed all’arte come luogo di
elaborazione del lutto per la perdita continua che la civiltà ci presenta come
conto da pagare per sostenere la vita.
Bambini e religione sono da sempre una risposta
possibile a “quello che vi è di
sintomatico nella struttura familiare”, scrive Lacan nel suo famoso testo “Due note sul bambino”. Alla base di
tutti i conflitti ci sarebbe sempre una questione strettamente personale che contagia
anche i cittadini che vanno a morire sacrificandosi al posto di chi li comanda.
Già Sant’Agostino aveva dato le coordinate di questa tendenza umana al
sacrificio in virtù di una conquista tutta immaginaria ma dagli esiti reali e
devastanti. Una immolazione sull’altare dell’avidità e dell’invidia più che una
conquista di civiltà possibile. Forse la speranza può riprendere la sua forma e
il suo discorso proprio da lì, dal sogno e dal desiderio delle nuove
generazioni! Sogno e desiderio di vita che necessitano di tanta cura e tanta
manutenzione a partire da subito, fin dai primi anni di età ed in ogni famiglia
umana, in ogni istituzione sociale, in ogni scuola in ogni sistema sanitario e
produttivo. «Il
mondo si regge sul respiro dei bambini che studiano» [2] e il respiro dei bimbi
trae la propria consistenza dal creato, dalla poesia che si svela al bambino
ricercatore, vivo, curioso e creativo. La scienza e gli adulti non deturpino le ali di
questo bambino ricercatore. Gli lascino la competenza del poeta e dell’artista,
in grado di salvarsi ancora dal momento che sanno come ammorbidire ed ammansire
il campo dell’Altro senza intasarlo né riempirlo con le accuse ed i segni
immaginari della propria paranoia.
Franco Fornari
La sensata e
logica proposta di Rocco Altieri
Nel suo testo “Severgnini
e la guerra”, Rocco Altieri [3], riprendendo il testo-lettera
indirizzato a Severgnini da Angelo Gaccione, sulla necessità di essere
pacifisti e disarmati, puntualizza con logica estrema l’assurdità dell’uso
delle armi. Altieri si propone con la sua generosità densa di riferimenti ed
esempi concreti, dove la risposta ad un’aggressione riesce a spegnere la
violenza dell’aggressione stessa, disarmando anche la ferocia degli aggressori
che si trovano impotenti ed emotivamente disarmati davanti alla popolazione
unanime e compatta con la sua presenza etica dagli occhi limpidi e schietti e
senza armi. Non sono solo esempi a cui ispirarsi, quelli evidenziati, ma
proposte da analizzare bene per capire come ricontestualizzare una risposta
disarmante, non violenta proprio perché molto creativa, molto coraggiosa in
quanto poetica e pacifica. Non si tratta di pacifismo ingenuo ma comportamento
disarmante come è necessario fare con chi pensa che solo l’uso della forza e
delle armi possa portare ad avere ragione. Se la nostra civiltà umana vuole
evolvere occorre rendersi conto che è esattamente il contrario. Chi ha ragione
è chi è debole e chi è debole è anche capace di conquistarsi la simpatia ed il
riconoscimento di chi è forte perché civile o civilizzato. Nessun cittadino al
mondo vorrebbe appartenere ad uno Stato che si comporta come il bullo di
quartiere e questo è un valore da spendere, da sostenere, da coltivare. Certo
ci vuole cultura e lungimiranza. I personaggi citati da Altieri hanno uno
spessore non solo umano in quanto hanno una autorevolezza pulita, colta e non
ingenua. Sono richiamate, infatti, le azioni di Gandhi, il monito di Orazio,
l’insegnamento di don Milani, la Primavera di Praga con i suoi eroici attori,
la passione di Havel per non parlare di Martin Luther King, Mandela, di Papa
Paolo II e delle “folle disarmate” che con azioni pacifiche ma intense mettono
fuori gioco Jaruzelski e così via. Vengono citati anche Erasmo e Franco
Fornari. Il primo nel 1514 sostiene che per le faccende della guerra occorre che
sia tutto il popolo a parlarne onde evitare che siano le solite oligarchie
interessate a decidere mandando poi la popolazione sui campi di battaglia.
Negli anni ’80, lo psicoanalista Fornari, da parte sua, ribadisce la necessità
che i cittadini non deleghino la propria sovranità sui temi della pace, perché
gli Stati non sono così in grado di proteggere il pianeta dalla distruzione.
Per Fornari, inoltre, quando il mondo è minacciato
dalla guerra atomica, non ci sono strumenti così collaudati da impedire che la
paranoia di qualcuno non scateni la distruzione di tutti. Per evitare la
situazione pantoclastica paventata dalla minaccia atomica l’unica strada che lo
psicoanalista indica è quella che tutti, ogni famiglia, ogni istituzione riprendano
dentro di sé l’energia paranoica che esportano, perché imparino ad elaborarla
soggettivamente. Occorre che ciascuno impari ad elaborare soggettivamente la
paranoia primaria che caratterizza l’esistenza di tutti fin dalla nascita. Questa
soluzione sappiamo bene che non può arrivare né dalla scienza né dalla tecnica
ma, caso mai, dall’arte e dalla religione.
Franco Fornari |
Tiestopa: la
malattia d’Europa
Lo psicoanalista propone anche una diagnosi per
capire meglio la malattia dell’Europa. Una diagnosi che gli permette di
recuperare la verità antica del mito. L’Europa e, quindi il mondo, sarebbe
malata di “Tiestopa”, da Tieste,
fratello di Atreo [4]. Quest’ultimo, dopo
avere usurpato il trono al fratello, decide di invitarlo a cena per una
riconciliazione senza svelare, però, che lo vuole punire anche per la tresca
che ha scoperto tra lui e sua moglie. Fa cercare ed uccidere i figli di Tieste, Agrao, Orcomeno e Callileonte e
ne fa cucinare le carni. La vendetta completa di Atreo si consuma, infatti, nel
momento in cui, a fine cena, mostra al fratello Tieste le teste dei figli dei
quali ha appena finito di mangiare le carni. Una carneficina dei figli o, diciamo
noi, del popolo del nemico. Fin dai tempi della crisi di Cuba, della crisi con l’Afghanistan
e poi, via via, con le altre piccole e grandi crisi, è evidente che le grandi potenze
del mondo non si sono mai fatte scrupolo di sacrificare i figli eterologhi che
vivono nei territori vicini e/o sotto l’influenza del “nemico” per imporre la
propria supremazia usandoli ed illudendoli. Fornari proponeva un termine specifico
che contiene anche un compito sociale per i politici, perché si adoperino a
fondare, nel mondo, uno spirito di familiarizzazione,
come lui stesso la chiamava. Invece ci
siamo ritrovati immersi nella corsa alla globalizzazione, nella corsa agli armamenti
ed alla competizione al servizio dei grandi potentati ma non al servizio della
terra in cui viviamo, anzi per usare la terra e le risorse sacrificando chi le
estrae queste ricchezze espropriandole agli abitanti della terra da cui sono
estratte perché la condizione imposta anche con le armi è che il tesoro deve appartenere
al più forte e potente. Un tesoro che deve essere anche difeso dalle
intelligence ma sempre e comunque al servizio dei potentati che, per questo,
diventano sempre più paranoici, avidi e prepotenti. La familiarizzazione si
basa sul sentimento e sulla logica della così detta “buona famiglia interna”
dove i vari codici familiari siano tutti riconosciuti senza che uno di questi
arrivi a prendere il sopravvento sugli altri. Questa condizione di equilibrio
sarebbe assicurata da un gran consiglio
di famiglia. L’ONU, come consiglio di
famiglia è stato, sostanzialmente, esautorato sia dalla NATO, il braccio
militare esterno/interno, peraltro non sostenuto da tutte le nazioni, sia dalla
corruzione interna, la parte degli interessi segreti e dei vari personalismi
diffusi che determinano le tensioni tra le varie nazioni.
Max Hamlet S.
"Uomo della morte"
A proposito di calunnia e propaganda
Il discorso
della scienza è andato avanti di pari passo con il discorso sui diritti
dell’uomo, ricorda Jacques-Alain Miller, «costituendo la verità del pensiero
controrivoluzionario.» [5]. Si tratta di una
prospettiva e di un’evoluzione apparente e illusoria. La psicoanalisi è
solidale con la rivoluzione scientifica e quella industriale, continua lo
psicoanalista introduce il fatto che «In effetti, quando lo snaturamento
universalizzante si è inserito a sufficienza, come per miracolo incomincia a
verificarsi una vacillazione che fa sì che vi sia una sorta di irreprimibile
desiderio di stendersi sul lettino.» [6].
La scienza ed anche il diritto universalizzanti, infatti, non tengono conto del
potere soggettivo e collettivo del godimento che sfugge loro completamente. Una
volta era possibile poter inquadrare e gestire il godimento a livello sociale
perché veniva incluso nel discorso dei vari gruppi sociali di un tempo. Finché l’Europa
andava a colonizzare i paesi sottosviluppati andava tutto bene, ma ora che gli
abitanti di questi paesi pretendono di venire a vivere di fianco a noi siamo
preoccupati che ci sottraggano il godimento che abbiamo conquistato e che non
siamo disposti né a cedere, né a condividere. Là dove i discorsi tradizionali
permettevano, alla famiglia istituzionale di allora, di decidere anche «…il
modo in cui fare con l’altro; il discorso della scienza ha avuto l’effetto di
contestare, di mandare in rovina proprio questi discorsi.» [7].
L’odio, il
voler annegare nell’ideale della scienza o del discorso del potente padre
padrone sono modi feroci e radicali di godere dell’odio per l’Altro perché non
è tollerabile il godimento dell’Altro. Esattamente come avviene per il razzismo
dove la scienza ed anche il diritto, in particolare del potere medico e del
potere despotico, sono stati e vengono piegati ed utilizzati a strumento delle
più turpi operazioni contro l’uomo, la donna, i bambini, cioè contro l’umanità.
Maldicenze e calunnie erano pur tuttavia presenti nei discorsi tradizionali
delle famiglie istituzionali allargate di un tempo ma, invece di costruire la
loro infamia a partire dalla scienza, dalla tecnica o dai nuovi diritti a
godere, si organizzavano con la mal-dicenza come forma di demolizione. Il
godimento era comunque evidente in quanto ben contemplato e incluso nel loro
discorso e nella loro narrazione. Come a dire a «buon intenditor …». Sembrerebbe
essere la calunnia istituzionalizzata, oggi, con il suo potere di propaganda, a
lasciare il passo ai negazionisti o ai despoti che tolgono la parola ai loro
sudditi, quando si tratta di temi specifici come il razzismo di ogni tipo e che
non tollerano chi sostiene il disarmo e la pace. Il negazionismo o la stessa
omologazione mentale al servizio della guerra sono anche i più radicali della
calunnia e, nelle intenzioni, negherebbero la propria dose di godimento usando,
come foglia di fico, la competenza scientifica cieca o quella del verbo del
dittatore di turno. La calunnia ha avuto gli onori dell’arte
che sa evidenziare il tratto di godimento che la permea.
"Uomo della morte"
Sandro Botticelli "La calunnia" |
Lo statuto dell’oggetto (il Das Ding, l’oggetto a) è di essere sempre sottratto dall’Altro. Eppure basterebbe mettersi al lavoro sulle due domande fondamentali dell’essere parlante: Chi sono io? e Chi sono io per l’Altro? per capire l’importanza del gnotis auton (gnotis auton, conosci te stesso) in grado di ammansire il campo dell’Altro da cui prendiamo la vita.