PAROLE E LINGUA
di Nicola Santagada
Il ritorno
Tante
parole sono metafora del grembo. Anche la
via, il viaggio, il ritorno sono mutuati dal
processo formativo della creatura, nel senso che questa percorre una strada per
venire alla luce. I greci per indicare vado usarono, per lo più, (baino)
βαίνω ed (eimi) εἶμι,
adottando per βαίνω questa
perifrasi: (è ciò che si deduce dall’andare dentro il generare e per εἶμι: dall’andare
genera il rimanere, ad indicare sia il percorso del grembo sia la nascita.
Per indicare via coniarono (odòs) ὀδός,
mediante questa perifrasi: si riscontra nel legare della creatura fino alla
nascita. Da ὀδός si ebbe esodo (l’uscita degli Ebrei dalla
terra d’Egitto, richiama la fuoruscita della creatura), ma anche metodo,
che, però, indica che c’è un modo, c’è una sequenza per ottenere
determinati risultati, derivanti dalla crescita di quel processo; infatti, μεθ si può tradurre: dal
rimanere il crescere.
I latini coniarono il verbo e-o
is, ivi, itum, ire da una radice minuscola: i,
che si può rendere o con genera o con va. Da questa i furono
dedotte tante parole: via, vico, vinella del dialetto, viaggio,
da itus, da colui che è andato, si ebbe in dialetto: se n’è
andato (iut’), che sta anche per: è morto, in quanto la perifrasi di
itus è: va a tendere la creatura che manca. Sempre da itus
si dedusse: it-er itineris, quindi: iterato, iterativo,
reiterare, itinerario. Inoltre, da itus si ebbe initus
(iniziato), quindi: inizio, iniziato, iniziativa, iniziazione,
si ebbe anche ex-itus (esito come nascita) ed ex-itium, come
nascita funesta.
A dimostrazione che la parola
legge il divenire del grembo, si cita l’avverbio via, come in: andare
via, ad indicare che, dopo un cammino di nove mesi, la creatura sloggia.
Gli italici formularono cammino,
avvalendosi di questa perifrasi: dal generare il rimanere (nel grembo), si
riscontra nel protendersi del grembo fino alla nascita della creatura.
In greco (poros) πόρος significa non solo passaggio
(quello che fa la creatura durante i nove mesi, da cui in italiano: i
pori), ma anche via, sentiero, da cui (poreia) πορεία: viaggio, marcia, andata
e andatura. Poi, da πόρος si ebbe:
(emporos) ἔμπορος: passeggero, mercante e quindi:
(emporion) ἐμπόριον: scalo commerciale, emporio.
Da red-eo/reditum i latini
dedussero reditus reditus: il ritorno, che è il cammino che la
creatura fa dal momento in cui si lega alla madre fino alla nascita. Inoltre,
coniarono il semideponente: verto/vorto/versus sum: giro, mi
giro, mi volto, ruoto ecc., concetti mutuati dal cammino di
ritorno della creatura. Da questo verbo furono dedotte tantissime parole: l’avverbio/
preposizione: versus/versum, versus versus con i significati di: solco,
linea, riga, quindi: vertente, vertenza, vertice,
vortice, inversione, conversione, perverso e perversione,
riverso, avverso, avvertenza ecc.
Dalla radice pet: fa
dal tendere, che indica la spinta in avanti della creatura, coniarono peto/petitum
con tantissimi significati: mi dirigo verso, assalgo, cerco di
avere, bramo, aspiro, da cui: petizione, ripetizione,
impeto, competere, competizione, competente, competenza,
appetente, appetenza, inappetenza, appetito ecc.
I greci da (neomai) νέομαι, cui attribuirono il significato di tornare,
dedussero: νόστος: il
ritorno, avvalendosi di questa perifrasi: dentro il concetto del legare
il tendere (sollevamento/spinta) del grembo, nasce (manca) l’immagine
del ritorno.
I greci per indicare volgo,
rivolgo, torco coniarono (trepo) τρέπω, variante ionica: (trapo) τράπω, che sono rappresentazioni dell’incipit
della formazione del grembo, che, avanzando, porta alla nascita. Da τρέπω i latini, nel bambino diretto alla meta,
impaziente di arrivare, videro il trepido e come contrario: l’intrepido,
poi: trepidante e trepidazione. Da τράπω/τρέπω furono dedotti:
ἐκτράπω/ ἐκτρέπω: volgo
altrove e al medio passivo: mi slogo, sono lussato, sono
slogato, da cui, sicuramente: strappo e strappare della
lingua italiana. Da rimarcare che, in greco, (strofé) στροφή significò: giro, rotazione, rivolgimento,
evoluzioni del coro, canto (strofe) eseguito durante le
evoluzioni del coro.
Dalla radice τρεπ i latini ricavarono strepo/strepitum:
rumoreggio, in quanto quel fare il tendere dallo scorrere il mancare
contestualizzò altro aspetto del reale, colto mediante l’aggiunta di una esse.
Probabilmente, vollero rappresentare l’inizio di uno scontro bellico. Tengo a
ribadire che nel mio dialetto: strepit’ e stripitia’ sono legati
alla creatura imbrigliata nella morsa che la porta alla morte: sono gli
strepiti della morte (sun’ i strepit’ d’ a mort’).
I latini, per indicare un
particolare modo di girare, coniarono trapetum (in dialetto: trappit’)
in quanto o gli schiavi o gli animali da soma facevano girare, mediante un
braccio, il masso per la molitura delle olive. Da questa radice furono
sicuramente dedotti: trappa (come luogo chiuso, segregato dal mondo), trappista,
rattrappito, trappola, trapano e anche traffico. Sempre
da τρέπω i greci ricavarono il deverbale:
(tropé) τροπή: rivolgimento,
cambiamento, ritorno, da cui, in italiano, troposfera, i
tropi, come sinonimo di metafore e l’aggettivo: (tropico) τροπικός: della conversione, del ritorno,
da cui, in italiano, i tropici. Sicuramente, storpio rimanda a τροπή, così come struppi(a)t’ del
dialetto.
I greci s’inventarono il verbo
medio: (tornoomai) τορνόομαι: disegno
in tondo, in forma circolare, da cui: (tornos) τόρνος: compasso da cui in italiano: intorno
(di chi disegna in tondo), i contorni, per i latini: extremae
linae o extremae lineamenta, tornire, tornito, tornitore,
quindi: tornio, che è un girare e, quindi, un continuo tornare
intorno ad un asse. I latini, dal percorso logico dei greci,
coniarono tornus: tornio e, quindi, torno tornas: lavorare
al tornio, tornire. Poi, in italiano, il nostro tornare.
Chi affronta un viaggio ha in
mente una destinazione, una meta da raggiungere. Si tratta di una parola
latina che ebbe i seguenti significati, indicati dal Calonghi: figura conica
e di piramide, punto dove si gira nel circo (in acqua: una
sorta di boa), meta, termine, fine. Personalmente, ritengo
che meta rimandi all’avverbio/preposizione (metà) μετά, che, per gli italici, divenne la metafora
della nascita. Infatti, presupponendo l’apocope di un ς (mancare) o di una ν (ni), la perifrasi di μετά può essere: durante i nove mesi c’è un
cammino che si conclude con la nascita (dal rimanere il tendere genera il
mancare, come divenire). Quindi, raggiungere la meta significa conseguire
un obbiettivo di vita importante. Nel mio dialetto, la meta del grano rappresenta
l’accumulo verso l’alto, a forma di cono, delle biche di grano. C’è da aggiungere
che μετά, insieme ai significati
canonici, come prefisso, determina il divenire della parola, da un punto
di vista concettuale, per cui da (fero) φέρω: porto,
si ebbe: μετα-φέρω: trasporto (nel senso di: porto in
avanti), trasferisco, trasferisco ad altro significato: metafora;
da (stasis) στάσις: stasi,
stabilità, immobilità fu dedotta: μετά-στασις: mutazione,
trasposizione, cambiamento, in quanto il differimento nel tempo
di un grembo in divenire determina la mutazione di ciò che era in stasi.
Quale profonda logica è sottesa
nella formazione delle parole!
I greci per indicare il concetto
di tappa si avvalsero di (stathmos) στάθμος, che rimanda a un fermarsi, per cui
dedussero: σταθερός: stabile,
fermo, da cui, per i latini: Giove Statore. I greci, inoltre, per
indicare la fine del percorso della creatura, si avvalsero di τέρμα τέρματος, mentre per indicare il compimento
dell’opera (creatura) coniarono: τελέω: compio,
mando ad effetto, finisco, termino, da cui τέλεος: perfetto. Il fine in greco fu
dedotto da τελέω e da σκοπός: mira, bersaglio, disegno,
fine, a sua volta desunto da σκέπτομαι: spio,
considero, esamino, da cui, ancora, σκεπτικός come: colui che dubita,
se esamina ogni aspetto di un processo.
Anche i latini, per indicare la
fine del percorso, si avvalsero di τέρμα τέρματος, modificando di poco la radice, formando termen
terminis e terminus: pietra terminale, limite, confine,
ad indicare il punto terminale della creatura prima della nascita. Anche
nel dialetto del mio territorio, oltre a limiti, si usa: i tiirmini per
indicare i confini. Il concetto di finire e di fine, per i
latini, fu dedotto dal compimento della creatura, che si conclude con la
nascita. Ad avvalorare quanto detto, si ricorda che da finire fu dedotto
sfinire, che contestualizza la dura fatica del travaglio. Anche i latini
con fines finium indicarono i confini e con finis finis
la fine di un’opera, mentre gli italici dedussero anche il fine come
obbiettivo da raggiungere. Da τέρμα furono dedotti:
termine come scadenza, come termine di paragone e, quindi,
come termini di una discussione/di un problema. I latini dedussero in-terminus:
senza limiti, infinito (anche: eterno), per cui il poeta
poté dire: “interminati spazi di là da quella”, quindi sterminato:
a perdita d’occhio. I latini con ex-terminus indicarono bandito e
con ex-termino significarono: bandisco, scaccio, che è un
modo particolare di leggere la nascita, mentre con ex-terminatio
indicarono: distruzione/sterminio. Da de-termino, che indica ciò
che scaturisce da termino, i latini pensarono: delimito, pongo
limiti, mentre, in italiano, si ricavò determinante, come colui
che determina, determinato e determinazione, come forza della
creatura per nascere, ma anche come individuazione/deduzione del
termine del percorso da un insieme di dati pregressi. Poi, ci fu indeterminato come sine die
del tempo e come generico: un uomo/una donna. Da finio
si ebbe definio: circoscrivo, delimito, determino, quindi:
definito e definizione, che indica che ciò che nasce/che viene
prodotto ha caratteristiche ben precise, che ne fissano l’essenza. Michelangelo
da finito/rifinito dedusse il non finito, ma altri ricavarono l’infinito
come percorso interminabile, mentre Leopardi vi introdusse il superamento
dello spazio e del tempo, che per i greci fu l’ἀπείρων e/o l’ἀπειρία: spazio infinito/eternità. L’apeiron
fu dedotto da πέρας πέρατος: termine, confine e dall’alfa
privativa, acquisendo, per come dice il dizionario di filosofia Treccani, il
seguente significato: “…termine secondo cui Anassimandro designa il
principio (ἀρχή) di
tutti gli esseri, ingenerato e imperituro, da cui ogni definita realtà
deriva e in cui si dissolve ecc.”.
I latini coniarono un’altra radice: lim
(è ciò che si intuisce dal rimanere della creatura), che generò, nell’ambito
della formazione dell’essere: limen liminis: soglia, limes
limitis: limite, linea di demarcazione, mentre, in
italiano, si ebbe: il limitar di gioventù del Leopardi, limito, limitato,
illimitato. Inoltre, premettendo a lim la perifrasi sup,
da cui furono dedotti: super, supra/supernus, supero,
fu coniato l’aggettivo: suplimis/sublimis: alto, eccelso, sublime.
Qualsiasi viaggio presuppone un
andare avanti, un andare oltre, in latino: ultra, in greco:
(yper) ὑπέρ: al di sopra, al di là, (pera) πέρα: oltre, concetti mutuati proprio
dalla crescita del grembo, che nel procedere realizza la creatura perfetta.
Pertanto, la vera essenza dell’uomo è nel tendere senza posa (Schopenhauer),
come l’Ulisse dantesco, che infiamma tanto i compagni ad andare anche oltre
le colonne d’Ercole al punto che: “dei remi facemmo ali al folle volo”.