UNA NUOVA ODISSEA...

DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES

Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.

Angelo Gaccione
LIBER

L'illustrazione di Adamo Calabrese

L'illustrazione di Adamo Calabrese

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA

FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
(foto di Fabiano Braccini)

Buon compleanno Odissea

Buon compleanno Odissea
1° anniversario di "Odissea" in Rete (Illustrazione di Vittorio Sedini)


"Fiorenza Casanova" per "Odissea" (Ottobre 2014)

venerdì 28 febbraio 2025

A CORSICO
Parole e segni di pace


Cliccare sulla locandina per ingrandire
     

PAROLE: SEGNI DI PACE 

Questa Domenica 2 Marzo, insieme agli amici poeti di Respirando Poesia, ci ritroveremo per dare voce alla pace attraverso la forza della parola e dell’arte poetica. Dopo tre anni di scontri, non abbiamo mai smesso di far sentire il nostro contributo per riaffermare il vero significato della pace. Lo faremo ancora, con un incontro all’insegna della poesia, dell’espressione artistica e della condivisione 

Saloncino La Pianta

Domenica 2 marzo
10:30 - 19:00

Via Leopardi 7, Corsico (MI) 



L’evento è organizzato in collaborazione con il Gruppo Frigerio di Corsico ed è patrocinato dal Comune di Corsico. 

PRIMO MARZO 1944
di Franco Astengo


 
Classe Operaia, Sinistra, Resistenza, Costituzione  
 
L’Unità del 15 Marzo 1944, sotto l’occhiello: “La classe operaia all’avanguardia della lotta di liberazione nazionale” titolava: “Lo sciopero generale dell’Italia Settentrionale e Centrale è una grande battaglia vinta contro gli oppressori della Patria”.
 
In quella forma redatta in estrema sintesi, l’organo ufficiale del Partito Comunista Italiano formulava un giudizio sull'esito dello sciopero delle grandi fabbriche, svoltosi il 1° Marzo di quell’anno: un vero e proprio punto di svolta nella Resistenza al Centro-Nord e che è necessario ricordare unendo nella memoria collettiva il pensiero di quanti, in quell’occasione, furono prelevati dalle fabbriche e portati nei campi di sterminio, Mauthausen in particolare.
L’intervento della Resistenza a sostegno dell’offensiva alleata del primo trimestre 1944 non si manifestò, infatti, soltanto con l’intensificarsi della guerra partigiana sulle montagne e nelle città. Quando si sviluppa un tentativo di analisi storico-politica l’importanza e l’efficacia dell’apporto della Resistenza Italiana alla contesa bellica deve essere collegata anche alla vasta azione di massa condotta dalle classi lavoratrici. Solo in quel modo, nella saldatura tra la lotta di montagna, quella di città e la presenza nelle grandi fabbriche, il movimento di Resistenza assunse in quella fase cruciale della guerra un ruolo decisivo alla vigilia dello sbarco in Normandia e mentre sul fronte orientale le truppe sovietiche stavano calando a marce forzate verso Occidente.
Fin dal gennaio 1944 nella consapevolezza di questa necessità di intreccio tra i diversi livelli della lotta la direzione del PCI per l’Alta Italia (Longo, Secchia, Li Causi, Massola, Roasio) tenne una riunione, alla quale intervennero anche i rappresentanti dei comitati d’agitazione che avevano diretto gli scioperi nel novembre-dicembre 1943 (Colombi per il Piemonte, Grassi per la Lombardia, Scappini per la Liguria) e decise di avviare immediatamente la preparazione di uno sciopero di vaste proporzioni, costituendo a quel fine un comitato di agitazione per il Piemonte, la Lombardia e la Liguria. L’iniziativa venne poi discussa ampiamente con gli altri partiti del CLNAI, e in particolare con il Partito socialista e il Partito d’azione che s’impegnarono anch’essi nel lavoro preparatorio. Seguirono settimane d’intensa attività per mobilitare almassimo le forze operaie e per coordinare l’intervento dei GAP, non solo nelle regioni del triangolo industriale, ma anche nel Veneto, in Toscana e in Emilia; questa estensione del movimento impose alcuni rinvii della data d’inizio, che infine venne fissata per il 1° Marzo 1944.



In campo fascista (ovviamente la preparazione di una iniziativa di così grande portata non poté essere condotta in totale clandestinità) l’iniziativa era considerata con rabbiosa inquietudine anche perché avrebbe significato di fatto il fallimento di una grossolana manovra propagandistica: la cosiddetta socializzazione della gestione delle imprese, che proprio in quei giorni (il decreto legislativo era stato emanato 12 Febbraio) il governo di Salò aveva lanciato proprio nell’intento di placare l’ostilità delle masse operaie. Le masse operaie delle grandi fabbriche del Nord accolsero con assoluta indifferenza il progetto di socializzazione, attorno al quale tuttavia i fascisti continuarono a orchestrare una rumorosa campagna propagandistica, sperando di riuscire così a richiamare prima o poi su di esso l’interesse dei lavoratori. Una speranza che crollò miseramente di fronte alla prospettiva dello sciopero.
Considerata l’impossibilità di bloccare il movimento, le autorità fasciste tentarono di ridurne gli effetti diramando attraverso la stampa l’annuncio che alcune fabbriche piemontesi sarebbe rimaste chiuse per 7 giorni, a cominciare dal 1° Marzo, per mancanza di energia elettrica. L’espediente, subito denunciato da un manifesto del comitato interregionale, non impedì che proprio a Torino e in Piemonte si registrasse una elevata partecipazione allo sciopero: 60 mila lavoratori in città e 150.000 in Regione si astennero dal lavoro. A Milano scioperarono anche le maestranze della tipografia del Corriere della Sera e per tre giorni l’organo della grande borghesia lombarda non poté uscire. La repressione tedesca fu dovunque feroce. L’ambasciatore Rahn ricevette personalmente da Hitler l’ordine di far deportare il 20 per cento degli scioperanti. Anche se il mostruoso provvedimento non fu eseguito nella misura indicata per “difficoltà tecniche inerenti ai trasporti” e per il danno che ne sarebbe derivato alla produzione bellica (come spiegò lo stesso Rahn) alcune migliaia di operai furono deportati nei campi di sterminio.



I fascisti s’assunsero il ruolo servile di esprimere la volontà dei tedeschi, rivolgendo minacciose intimazioni agli operai che continuavano ad astenersi dal lavoro. A Genova, il capo della provincia Basile (lo stesso personaggio che, 16 anni dopo, sarebbe stato al centro dei moti genovesi contro il governo Tambroni, per via della decisione del MSI di fargli presiedere il previsto congresso nazionale di quel Partito proprio a Genova: congresso che proprio quelle mobilitazioni di piazza impedirono che si svolgesse aprendo la strada anche alla caduta del governo che gli stessi missini stavano sostenendo) lanciò un “ultimo avviso”, minacciando - appunto - la deportazione nei campi di sterminio (si trattava, secondo lui, di mandare gli operai a “meditare sul danno arrecato alla causa della vittoria”). La minaccia fu poi concretizzata il 16 giugno 1944 quando, a tradimento, 1.488 operai genovesi che stavano entrando nelle fabbriche per il primo turno furono portati via e condotti prigionieri in Germania. Nella provincia di Savona parteciparono allo sciopero 5.200 operai: i nazifascisti compirono diverse retate e furono portati a Mauthausen e ai campi sussidiari di Gusen ed Ebersee diverse centinaia dei partecipanti allo sciopero, prima concentrati nella colonia del Merello a Torre del Mare poi alla Casa dello Studente di Genova e infine portati a Bolzano prima del passaggio decisivo in Austria dove la maggior parte di loro trovò la morte.
 

Lo sciopero fu una dimostrazione imponente di forza e di volontà combattiva: un movimento di massa che non ha trovato riscontro nella storia della resistenza europea. Ai fini bellici la sua importanza non fu minore diun’azione di guerra, se si pensa che per otto giorni la produzione di guerra venne completamente paralizzata in tutta l’Italia invasa. Il che equivalse per i tedeschi a una grossa sconfitta riportata sul campo di battaglia.
Non mancarono anche dalla parte degli operai debolezze e cedimenti: un fatto che non deve essere nascosto. Complessivamente però è possibile riassumere il senso complessivo di quelle giornate (gli scioperi si conclusero come previsto dal comitato di agitazione interregionale l’8 Marzo) rileggendo quanto scritto, all’epoca dalla “Nostra Lotta”: “Lo sciopero generale politico rivendicativo del 1-8 Marzo assume un’importanza e un significato nazionali e internazionali di gran lunga superiori agli obiettivi immediati che esso si poneva (che erano quelli salariali, n.d.r.); indica la strada da seguire nel prossimo avvenire in cui si annunciano grandi e decisive battaglie, in Italia e nel mondo, per l’annientamento del nazifascismo e la liberazione dei popoli. Gli operai italiani che l’hanno sostenuto, i lavoratori e i patrioti che l’hanno appoggiato, le organizzazioni che l’hanno preparato e diretto possono essere fieri e orgogliosi della grande battaglia combattuta: essa si iscrive fra le migliori pagine della lotta dei popoli per la propria libertà e costituisce una tappa decisiva per il risorgimento della nostra patria. I sacrifici di oggi sono il prezzo e il pegno del sicuro trionfo di domani”.



Gli scioperi del 1-8 Marzo 1944 assunsero anche un significato complessivo di indirizzo politico della lotta di Resistenza: il proletariato aveva assunto, in quell’occasione, un senso di “responsabilità nazionale” che stava dentro alle indicazioni dei partiti che componevano il CLNAI, facendo così convivere le istanze della liberazione della classe con quelle della vittoria sul nazifascismo e dell’avvento della democrazia. Quello fu il compito di sintesi dei grandi partiti della sinistra italiana: far convivere, all’interno di un progetto politico che era appunto quello di un vero e proprio radicale rinnovamento della democrazia in Italia, le motivazioni di classe con quelle della Resistenza al nazifascismo. Non a caso pochi giorni dopo lo sciopero, l’11 aprile 1944 Palmiro Togliatti (appena rientrato in Italia) in un suo intervento svolto nel cinema Modernissimo di Napoli lanciò la parola d’ordine del “Partito Nuovo”: il PCI come grande partito di massa e non soggetto chiuso nella cerchia ristretta dei “rivoluzionari di professione”. Così il PCI si avviava a compiere quel tratto di percorso che Gramsci aveva già indicato nelle tesi del III congresso del Partito a Lione nel 1926. Nel corso di quella fase storica fu quello dei partiti della sinistra un non facile lavoro di indirizzo e di sintesi, un lavoro realizzato anche in forme contraddittorie, ma che alla fine ottenne un risultato fondamentale: ancor oggi possiamo, infatti, affermare che alla base della democrazia repubblicana stanno le lotte operaie e la Resistenza.


 
In tempi davvero difficili per la democrazia italiana sottoposta ad attacchi molto duri di vero e proprio “revanscismo storico” ricordare oggi quelle giornate del marzo 1944 significa anche riaffermare quell’origine e quelle radici. Resistenza, classe operaia, partiti della sinistra restano nella storia come stelle polari, punti di riferimento, per chiunque oggi intenda ancora affermare i valori della democrazia, della libertà, del riscatto sociale, dell’eguaglianza.

 

GUERRA ED ECOCIDIO
di Alfonso Navarra


Il collegamento tra disarmo e giustizia sociale e ambientale è il coniglio che estrarrà dal cilindro l’assemblea di ICAN il 2 marzo, a New York, riunione che precede il Terzo meeting ONU dei firmatari del Trattato di proibizione delle armi nucleari? Il tema sembra maturo. Ad esempio, il New York Times di Sunil A. Amrith sostiene che l’ecocidio è diventato inseparabile dal conflitto militare. (Il termine fu varato nel 1970 di fronte alle distruzioni attuate con l’uso dei defolianti nell’intervento USA in Vietnam). L’articolo contiene dati sulle emissioni di gas serra nella guerra ucraina e la stima del 5,5% del “world’s military carbon footprint”. Ne risulta confermato il nostro obiettivo di attivisti ecopacifisti, quando Disarmisti esigenti & partners mandiamo delegazioni alle COP sul clima: bisogna includere le attività militari quando si stabiliscono i target per le riduzioni di CO2. L’articolo suggerisce che riparare il nostro ecosistema danneggiato può diventare un attivo veicolo per la pace. In realtà dovremmo essere ancora più radicali: è vitale riconoscere che non possiamo più permetterci alcun conflitto, per qualsiasi motivo, in forma bellica. E questa presa d’atto non è dogmatismo da nonviolenti ideologici, è intelligente e pragmatica rispondenza alla realtà delle cose. La massima di Papa Francesco, non di esclusiva del mondo cattolico, ma patrimonio delle organizzazioni centenarie come la War Resister International, ci aiutano a inquadrarla: “Oggi non esistono guerre giuste, la guerra è sempre una sconfitta”.

TAV


Anche le ferrovie riconoscono danni agli edifici


Firenze. Ieri all’incontro dei tecnici di RFI con la cittadinanza del quartiere Campo di Marte le prime ammissioni: lo scavo delle gallerie ha provocato danni agli edifici sottopassati. L’ingegner Fabrizio Rocca nell’illustrare i lavori del Passante AV ha riconosciuto che sono state fatte circa quaranta segnalazioni di danni agli edifici: “danni lievi, fisiologici per un’opera del genere”. Ecco, è soprattutto il riconoscimento dei danni “fisiologici per un’opera del genere” che offende la memoria dei tanti cittadini che erano preoccupati per i loro appartamenti; quelli che avevano dubbi vennero sedati con dosi massicce di dichiarazioni tranquillizzanti sulla sicurezza di questi lavori con mezzi tecnici modernissimi. Oggi queste dichiarazioni ufficiali dei dirigenti di RFI e del Consorzio Florentia (l’esecutore del Passante) dimostrano che i cittadini sono condotti, con il paravento di un linguaggio tecnico volutamente oscuro, ad accettare ciò che poi si dimostra sostanzialmente falso. Giusto per non passare da bugiardi ricordiamo uno dei tanti articoli dove la camomilla veniva versata generosamente: la talpa è programmata per esercitare una pressione tale da prevedere una perdita di volume dello 0,4% e il suo percorso sarà monitorato costantemente. Qualora ci accorgessimo che produce subsidenze superiori a quelle previste, verrebbe ritarata per rimodulare la pressioneDunque - conclude Rocca - i soli edifici sul tracciato che restano in classe di rischio medio sono due. Era il 3 giugno 2023, le parole del rappresentante RFI erano formalmente corrette, dire che pochi edifici erano a rischio “medio” era giusto, ma non si dicevano quali erano questi rischi e si facevano dimenticare quelli medio bassi e bassi; soprattutto il linguaggio tecnico faceva percepire che non ci si doveva preoccupare e tutto veniva riassunto nel titolo tassativo: Tav Firenze, gli ingegneri: Sul tracciato della talpa solo due edifici a rischio crepe”. L’aspetto comunicativo è stato sempre preminente per far ingoiare alla città un progetto che sta razziando 3 miliardi e creando una dannosa rottura di carico (grave difficoltà ad accedere alla mobilità fiorentina). Certamente nessuno parlò due anni fa di danni “fisiologici per un’opera del genere” come si fa oggi per mimetizzare i problemi. Tutti i fautori dei tunnel - dai politici in Regione Toscana e Comune di Firenze fino ai dirigenti di RFI - hanno sostanzialmente mentito agli abitanti della città nel minimizzare i rischi, talvolta addirittura negandoli. Tutto questo, al di là della qualità dei danni provocati, mina ancora di più la credibilità delle istituzioni, della politica e del sistema imprenditoriale legato alle grandi opere. La gravità o meno dei danni è comunque un parametro molto vago; certamente davanti a crolli di edifici come si sono avuti in altri luoghi, crepe nei muri o solai e pavimenti saltati o stanze inagibili, sono poca cosa. Per chi subisce il danno non è così.

Da quanto ascoltato nella assemblea non è emerso un altro dato che è potenzialmente più grave di quanto sta avvenendo: la stabilità degli edifici nel tempo è compromessa, in che misura? Stuccare una crepa o rifare un pavimento non rimedia eventuali danni strutturali. I silenzi passati e quelli presenti non assolvono questa opera faraonica, sostanzialmente inutile per il sistema dei trasporti (si possono separare i flussi dei treni anche senza tunnel) e dannosa per la mobilità fiorentina. Gli abitanti sono, come sempre, in attesa delle prossime dichiarazioni tranquillizzanti di RFI e del trionfale panegirico dei tunnel che verrà pronunciato dal Presidente Eugenio Giani.
 
Comitato No Tunnel TAV Firenze
338 3092948

HANNO PAURA DELLA PACE



La Questura ci vieta Piazza Unità e ci impone Piazza Goldoni 


Trieste. Avevamo avvisato la questura della manifestazione in Piazza Unità già il 19 febbraio, ma solo oggi ci hanno prescritto di svolgerla in Piazza Goldoni. È il loro solito modo di allontanare la protesta dai palazzi del potere e di sfibrare chi si mobilita. Non possiamo fare molto altro, attualmente, dall’accettare i loro diktat, consapevoli del fatto che hanno il coltello dalla parte del manico. Ci cacciano dal salotto borghese e noi manifesteremo fra la nostra gente, quella che veramente paga le scelte politiche di trascinarci progressivamente nella terza guerra mondiale. Daremo comunque voce alla rabbia di chi vede, in quella portaerei, la scuola che crolla, la sanità negata, la bolletta impossibile da pagare...


CI VEDIAMO SABATO PRIMO MARZO ALLE 10.00 IN PIAZZA GOLDONI! 

A voi gli spettacoli di morte, a noi la lotta e la passione per la vita!

In allegato la locandina che vi chiediamo di diffondere.

Coordinamento No Green Pass e Oltre
Insieme Liberi
Fronte della Primavera Triestina

 

giovedì 27 febbraio 2025

L’UNIONE EUROPEA VUOLE LA GUERRA
di Angelo Gaccione


Varsavia ridotta in macerie

Lavorano per la distruzione dellEuropa


Mentre gli ucraini non ne possono più di farsi massacrare e devastare (siamo in possesso di una serie di video in cui giovanissimi ucraini vengono sequestrati letteralmente per strada o nei negozi da militari in divisa e rinchiusi forzatamente in furgoni blindati per essere mandati al fronte come carne da macello), i loro protervi governanti - e soprattutto gli euro-idioti di Bruxelles - sono in lutto perché c’è il rischio che il massacro ucraino possa cessare. Hanno paura che “scoppi la pace” e si danno alacremente da fare perché la guerra continui ad oltranza. Loro se ne stanno al sicuro, i loro figli sono nelle loro comode case ben protetti, i loro averi e i loro beni sono custoditi come si deve nei forzieri delle banche e finora nessun missile e nessuna granata li ha inceneriti e carbonizzati. I più determinati non sono i fascisti o le minoranze naziste, anzi, in questi ambienti si dice apertamente basta, e partiti di destra europei vincono e si affermano alle elezioni perché la gente li vota proprio perché disgustati dalla guerra, dall’immiserimento che ha provocato alle loro economie e alle loro condizioni di vita. I più feroci e oltranzisti guerrafondai sono le forze liberali e di sinistra (si fa per dire), come possiamo vedere in Germania, Francia, Inghilterra, e qui da noi in Italia. Hanno l’impudenza di definirsi persino “democratici”.



L’Europa nata dalle ceneri del secondo conflitto mondiale proprio per evitare una terza ecatombe (questa volta definitiva per la presenza di ordigni nucleari in grado di sterminarci tutti), è divenuta, paradossalmente, con questi nani ignoranti di storia (e non solo) che la governano, il maggior pericolo per la propria esistenza. Sempre più diffuso diventa il sentimento collettivo che non essendosi dimostrata all’altezza del suo compito e di quello di chi l’aveva concepita, l’Europa non ha più ragione di esistere ed è destinata al suo tramonto. È amaro dirlo, ma forse è giusto così. Hanno forse imparato alcunché i burocrati guerrafondai di Bruxelles dal conflitto russo-ucraino o da quello mediorientale? Sentite qualche ragionamento di buon senso dalle loro bocche? Si riuniscono per cercare di far fallire una possibile soluzione del conflitto tentato da Trump (loro che per tre anni hanno mandato armi per tenere vivo l’incendio e non sono stati in grado di proporre una soluzione diversa che fosse una) e non parlano che di difesa comune, di esercito europeo, di aumento della spesa militare. 



Non sapremmo dire se sono più criminali o più stupidi; e questo mentre noi riceviamo messaggi dagli ucraini che pregano per una pace qualsiasi subito, ma che sia pace ora e non importa come, purché i loro figli e mariti restino in vita, le loro case integre, i loro figlioletti con due braccine e due gambette. Chiedono molto questi esseri umani? Se le fanno i criminali che ci governano queste domande? Fino a quanto tireranno la corda? E fino a quando noi lo sopporteremo?    




Video 

Ucraina. Video 1 


 
 
Video Ucraina 2 


 

LA PACE È VICINA O ANCORA LONTANA? 
di Luigi Mazzella



Come una rondine non fa primavera, così è difficile che il desiderio di pace di Papa Francesco e di Donald Trump riesca a prevalere sull’ansia di guerra di tanta parte dell’Occidente.
La domanda è: la popolazione è in preda a una vera e propria crisi di cupio dissolvi o è la classe politica Europea, tutta intera, da destra a sinistra, passando per il centro, che
a) essendosi posta al servizio di Biden e del suo Partito Democratico, 
b) avendo sposato le tesi della propaganda anti putiniana 
c) essendosi resa conseguentemente responsabile di cospicui finanziamenti a favore di Zelensky e a danno dei propri contribuenti (addirittura superiori a quelli americani), si trova ora in difficoltà di accettare che la “pace” sancisca inequivocabilmente la sua stupidità politica e corresponsabilità finanziaria?



La seconda delle due alternative sembra la più probabile.
Le ragioni e gli ostacoli, però, non si fermano qui.
E vero che a differenza del Pontefice, osteggiato dalla sua stessa Curia, interessata alle finanze dello IOR, il Neo eletto Presidente Nordamericano sembra godere di un consenso molto ampio tra i suoi più vicini e potenti collaboratori, ma l’ “accrocco” da lui sconfitto alle elezioni non fa parte di quelle gang che si lasciano “liquidare” agevolmente. 
L’unione è arroccata intorno a un Partito Democratico che con l’aiuto della CIA, suo partner essenziale, ha messo radici in tutti i Paesi Occidentali con i cosiddetti “servizi deviati” ed ha alleati di ferro nella lobby finanziaria di Wall Street, in prevalenza ebraica, e nell’industria delle armi, strettamente connessa al Pentagono, che si ritiene, da molti notisti politici, dominato da generali corrotti. Trump, naturalmente, d’intesa con le maggiori potenze mondiali, che sono Russia e Cina, saprà attendere, sulla riva del fiume, il passaggio dei “cadaveri” dei suoi nemici - fuor di metafora il declino politico degli attuali governanti - salvo che in Italia dove la Meloni è già passata dalla sua parte (con un titubante Tajani e ed un ben determinato Salvini). 



Seconda domanda: Sarà l’Italia della fascista Meloni l’unica alleata di Trump in Europa? È difficile dare una risposta soddisfacente. I voltagabbana sullo Stivale riescono facilmente e in tempi anche brevi a moltiplicarsi. Sullo Stivale, per esempio, ha un suo seguito anche l’ambiguo Giuseppi, che, oggi deve ancora considerarsi una vera quinta colonna dell’esercito dei Democratici americani elettoralmente  sconfitti. Essendo prevedibile, però, che non sarà certo la sua opera di tamponamento delle perdite della Schlein, sempre meno compos sui, a creare problemi per la sconfitta, augurabilmente definitiva, dei guerrafondai incalliti, non è da escludere che il medesimo possa apprestarsi anche lui a fare il salto della quaglia.  
 

 

POTERE E AFFARI DI FAMIGLIA   
di Romano Rinaldi


 
Ho ascoltato con attenzione la versione originale del discorso di Robert Fitzgerald Kennedy Jr, figlio di Bob e nipote di John F. Kennedy, riproposto da “Odissea”, domenica 23 febbraio, in prima pagina insieme con la ben articolata relazione di Alessandro Pascolini su “The Iron Dome for America” e con le mie quattro parole su “Pace e Dominio”.
La prima osservazione è che quel discorso sulla Pace è una nobilissima e a tratti commovente rappresentazione dello spirito che io e la mia generazione di giovani liceali di quel tempo avevamo percepito dalle dirette parole pronunciate esattamente sessanta anni prima dall’illustre Zio dell’oratore, il compianto presidente JFK. Si tratta del famoso discorso del 10 Giugno 1963 all’American University di Washington DC, un discorso che sono andato a riascoltare per rinfrescarmi la memoria.
In quella orazione, non piccola, c’era tutta la dirompente novità di quella presidenza americana che aveva entusiasmato molti giovani in tutto il mondo, soprattutto il mondo occidentale di quel tempo. I punti salienti toccati da JFK riguardano l’idea della assoluta necessità da parte delle potenze nucleari di addivenire ad accordi inalienabili per contrastare la proliferazione e lo sviluppo delle armi atomiche all’interno e all’esterno delle due potenze, gli USA e l’Unione Sovietica. L’altro tema toccato con passione è quello della necessità di smentire con parole chiare e soprattutto con azioni indiscutibili, la propaganda sovietica che addita gli Stati Uniti come il nemico da abbattere in quanto esportatore di un imperialismo capitalista che vuole acquisire al suo dominio tutte le nazioni europee ed oltre, attraverso la dottrina capitalista e contro il benessere sociale garantito dal comunismo. 



L’idea di pace che JFK propugna in quello storico discorso è quella di una convivenza tra popoli evoluti e consapevoli della necessità del rispetto reciproco nelle diversità. Una comunità umana che si prende cura del pianeta in cui vive e che rispetta i principi della vita e della convivenza nella conoscenza e nel sapere che le istituzioni accademiche perseguono (parlava all’Università). Un’alternativa alla pace, in un mondo in cui una sola delle migliaia di testate nucleari ha un potenziale distruttivo pari a tutte le armi utilizzate nel secondo conflitto mondiale, non esiste. Devono essere banditi tutti i test per lo sviluppo di armi nucleari e devono essere avviati accordi per prevenire errori catastrofici. È altrettanto chiaro che non esiste nemmeno la pace assoluta totale e perenne; ci saranno sempre conflitti e divergenze che possono sfociare in azioni violente anche fra stati e nazioni. Ma il principio da perseguire dovrà essere quello di trattati e accordi che portino il più rapidamente possibile alla soluzione dei conflitti. Così come capita in una famiglia, in un vicinato, in regioni limitrofe, in stati confinanti, ci saranno sempre divergenze ma queste devono essere affrontate con la volontà di superarle, non con la volontà di sopprimere chi dissente dalle proprie convinzioni. La popolazione russa non è diversa dalla popolazione americana, proviamo a immaginarci come loro, mettiamoci nei panni dei cittadini sovietici e vedremo che non sono diversi da noi americani. Tutti aspiriamo a un mondo di pace dove i deboli si sentano protetti anche se non dispongono della forza necessaria per difendersi dagli attacchi di chi potrebbe minacciarne la libertà… 



Chiunque può ora immaginare la profonda sensazione di perdita che si impadronì dei giovani della mia generazione che credevano negli ideali della democrazia liberale e della pace, nel novembre di quello stesso anno, con l’assassinio del presidente John Kennedy. Da quel giorno ci siamo sentiti tutti orfani di quel pensiero e di quella volontà. Una sensazione solo vagamente lenita da alcuni dei successori che ogni tanto, a parole, sembravano voler ricalcare quelle grandi orme, mai più uguagliate.
Di quell’originale discorso di JFK ho accennato solamente alcuni dei punti che ancora ricordavo da quel lontano passato ma che hanno particolare pertinenza con temi che vengono trattati oggi quando si parla di accordi di pace tra gli USA e la Federazione Russa a proposito della guerra in Ucraina. Non dimentichiamo che il discorso originario di JFK era quello di un presidente in carica. Mettiamolo a confronto coi discorsi che sentiamo oggi dall’attuale presidente. La carica di dirompente novità può apparire simile… ma il contenuto…?
Vediamo dunque l’attualità e nello specifico, la riproposizione del discorso del nipote Robert Kennedy jr. Una volta riconosciuto il nobile intento di far risuonare una voce di pace da parte degli odierni Stati Uniti, deve tuttavia essere considerato il corretto contesto temporale. L’attuale oratore tenne quel discorso oltre un anno e mezzo fa, nel Giugno del 2023, quando si presentava come candidato indipendente alla carica di presidente degli Stati Uniti. Progetto che poi abbandonò nell’Agosto 2024, per appoggiare la candidatura dell’attuale presidente. È dunque evidente che si tratta di un discorso elettorale e qui lascio al lettore qualsiasi parallelo con discorsi elettorali de’ noantri… Non credo pertanto che si possano utilizzare quelle parole per conoscere l’impostazione nei confronti dell’idea di pace da parte dell’attuale amministrazione americana. In altre parole è un “wishful thinking”. Tradotto letteralmente significa pensiero beneaugurante ma condito dal dubbio che mai si realizzerà. In pratica un “aspetta e spera”. Inoltre, il fatto che il relatore insista sui suoi ricordi personali di quel discorso dello zio e di quei tempi in cui bazzicava nella Casa Bianca coi suoi cugini e fratelli, è un altro elemento che deve essere contestualizzato. RFK jr a quel tempo aveva nove anni, un’età in cui la percezione dei concetti che esprime nel suo discorso non è certamente formata. Infatti lo si può riconoscere molto più fedelmente nella sua narrazione del bambino che, avvertito che il telefono rosso non si può toccare, appena sfugge al controllo, prova a sollevarlo…

  

Vale inoltre la pena ricordare altri dettagli del suo proseguimento della corsa presidenziale dopo aver ritirato la sua candidatura. Egli spiegava ai suoi elettori che il voto per lui, in uno Stato “rosso” o “blu” non avrebbe danneggiato alcuna delle due candidature principali ma gli avrebbe consentito, in caso di risultato paritetico (269 a 269) dei due principali contendenti, di salire comunque alla Casa Bianca. Un comportamento che svela una attitudine di sconcertante opportunismo. Non proprio l’investitura popolare che ci si dovrebbe attendere da un fervente populista quale ha dimostrato di essere da quando si è affacciato alla vita pubblica; a cominciare dalla sua opposizione alla prevenzione vaccinale in nome di principi sconfessati già da molti anni dalla ricerca scientifica ed epidemiologica. Il fatto che la presente amministrazione gli ha affidato l’incarico del ministero della salute, fa venire un certo brivido lungo la schiena. Siamo alla proposta di somministrazione di ipoclorito di sodio per via orale o parenterale per contrastare la pandemia, tanto per ricordare la famosa uscita “out of the box” dell’attuale presidente durante il suo primo mandato all’epoca del Covid-19.
In conclusione, stante questa ennesima prova da parte di RFK jr di fondamentale e profondo scostamento dai principi propugnati nell’azione politica e di governo da suo padre e dai suoi due zii, dobbiamo prendere in seria considerazione qual è effettivamente la sua relazione col resto della famiglia che continua a riconoscersi in quei valori e di cui lui sfrutta il nome e la fama contando sulla scarsa conoscenza della vera natura della sua personalità. Sua sorella Kerry Kennedy, anche a nome dei suoi numerosi fratelli e cugini, ha reso una dichiarazione pubblica che recita pressappoco così “…La decisione di Bobby (RFK jr) di appoggiare oggi la candidatura di Trump è un tradimento dei valori più cari a nostro padre e alla nostra Famiglia. La triste fine di una storia triste.”  
Mi scuso per la eventuale delusione. 

A PIAZZA UNITÀ A TRIESTE     



  

ALL’ANPI DI CRESCENZAGO 

   



ALLA CASA ROSSA DI MILANO




AIRAGHI A LAINATE
Con L’ isonnia di Persefone




 

mercoledì 26 febbraio 2025

LA POESIA
di Angelo Gaccione


 
Passioni

Passioni mie tremende

quanto ho pagato caro…

A me siete costate

almeno mezza vita.

[Milano, 24 febbraio 2025] 

PASSIONI


Opera
di Gennaro Regina

Sono un dono e una maledizione”
Lodovica San Guedoro

AFORISTI
di Antonio Castronuovo
 
Rinaldo Caddeo

Che un pensionato riesca a rimuginare - per un intero giorno, per una intera notte - fino a tratteggiare forme brevi come queste è un fenomeno non dico soprannaturale, ma di certo sorprendente. E rimarco l’espressione «forme brevi»: siamo qui nella vasta famiglia delle scritture concise, ma non spoglie, come prova a sufficienza la prosperità della loro fattura. Non li chiamo insomma «aforismi», almeno nel senso classico del termine: formule che abbiano il sapore di un motto, che espongano un precetto di vita o un’elegante ironia su certi costumi dell’umano contegno, briciole che contengano una pointe: ciò che ci attende alla fine di ognuna è sì una minima deviazione da quanto abbiamo letto nella prima parte della frase, ma non proprio una puntura, semmai una piccola festa dell’intelligenza visionaria. Eh sì, ora è meglio contornato il campo in cui ci sta portando l’autore: nel mezzo delle sue visioni, di certe fantasie sognanti, di taluni fugaci rapimenti; certamente nell’area di alcune proiezioni surreali, che però alludono a un reale concreto: «Tra un tuono e l’altro, in fondo alle scale, ho sentito il silenzio». Quanto al contenuto, mi chiedo dove collocare questi frammenti. Vorrei arrischiare di accoglierli nella filiazione del pensiero negativo, ma mi freno, nulla di negativo, forse solo di infelicemente desolante, in una rivelazione come questa: «Mentre di cenere si occultano le guerre, le paci si scoprono di polvere». E mi torna alla mente quanto scrisse una volta Tim Parks commentando schegge di Mario Andrea Rigoni: che l’aforisma riesce nell’antico progetto di «recuperare la negatività attraverso l’estetica», di distillare anni di disillusione «in un istante di ebbrezza». No: nulla di negativo, piuttosto istanti estetici, di piccola vertigine; schegge di artificio che funzionano da rifugio luminoso fra le tenebre dell’oscurità montante. Rifugi surreali: prove che mirano a salvare qualcosa, anche l’effimero, in un panorama di disintegrazione. E tutto formulato con uno stile assai originale, che fa emergere un sentore di pensiero gnostico: facciamo in modo che l’effimero sia bello, e funzioni infine come una sorta di salvezza.

 
Rinaldo Caddeo
Le giornate e la notte di un pensionato
Babbomorto Editore 2025
Pagg. 12 - s.i.p.
 

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