DEMOCRAZIA PARLAMENTARE
di Franco Astengo
Mi permetto di intervenire sul tema del dibattito aperto dal
cosiddetto “Decreto Sicurezza”
esaminandone l’aspetto della qualità di procedura democratica seguita dal
governo nell’occasione su di un tema di così estrema delicatezza. Prendo anche a prestito alcune frasi che l’ex-ministro
della Sanità Renato Balduzzi, oggi presidente dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti,
ha scritto nella lettera mensile pubblicata dalla stessa Associazione. Balduzzi ha esaminato il quadro complessivo dell’iter
legislativo in questione rilevando la forza della polarizzazione del conflitto
giuridico e istituzionale la cui versione oggi prevalente appare tornata a
tratti quasi primitivi. Di conseguenza proprio la radicalità del conflitto e
della relativa polarizzazione consiglierebbe ai giuristi e, in particolare, ai
costituzionalisti di ritornare a interrogarsi sulle questioni fondamentali e
sulle ragioni che fondano la forma e la sostanza di una comunità politica, della
nostra comunità politica. L’occasione per
questo tipo di riflessione è appunto rappresentata da parte del governo dall’adozione
(e l’emanazione da parte del Presidente della Repubblica) del decreto-legge n.
48 del 2025, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del
personale in servizio, nonché di vittime dell'usura e di ordinamento
penitenziario».
Nel caso emerge una
constatazione evidente: siamo di fronte - anche a giudizio del presidente dell’AIC
- a una torsione della forma di governo parlamentare in senso maggioritario e
della forma di Stato democratica in senso decidente. Questa evidenza dovrebbe
da un lato, renderci avvertiti di quali e quante siano le conseguenze che
possono derivare da mutamenti, impliciti e a maggior ragione espressi, della
forma di governo, dall’altro, indurci a riproporre, con coraggio, la questione,
da tempo avanzata in dottrina e della quale non si è sempre percepita
l’importanza, se il decreto con “forza” di legge del Governo sia davvero atto
“equi-valente” alla legge parlamentare, e ciò pur nella piena consapevolezza
che, in un Parlamento inteso come comitato esecutivo del Governo, sia
contestualmente mutato anche il senso della legge (sia detto per inciso, una
tale questione è stata posta in questi corretti termini dalla sentenza n. 146
del 2024 della Corte costituzionale).
Ho lasciato intatta la formulazione usata da Balduzzi per porre un interrogativo fondamentale per l’indirizzo che sta assumendo la trasformazione della democrazia repubblicana. Una formulazione ancorché di lettura abbastanza complessa perché sembra proprio arrivato il momento di avviare un confronto di merito sullo spostamento istituzionale in atto verso una forma di governo diversa da quella parlamentare. Non ci troviamo di fronte soltanto ad un fatto di natura procedurale ma ad un “evento” di piena natura politica. Può discutersi di tutto questo, ma ciò che appare fuori discussione, che è indiscutibile, è che la forza di legge nella Costituzione vigente è la negazione della legge della forza, anche ove questa sia la forza dei numeri. Occorre far notare, inoltre, che l’attuale legge elettorale in vigore in Italia riduce fortemente la capacità rappresentativa delle Camere, per una molteplicità di ragioni: dal premio di maggioranza, alle liste bloccate. Inoltre la riduzione nel numero dei parlamentari ha sottratto sia rappresentanza territoriale sia equilibrio nella rappresentanza politica. A futura memoria si ricordano le cinque principali funzioni parlamentari seguendo la sostanza del dettato costituzionale:
1) La funzione
d’indirizzo politico, inteso come determinazione dei grandi obiettivi della
politica nazionale e alla scelta degli strumenti per conseguirli, in
specificazione dell’attualizzazione e dell’opposizione - dai diversi punti di
vista - del programma di governo;
2) La funzione
legislativa, comprensiva dei procedimenti legislativi cosiddetti “duali” che
richiedono cioè la compartecipazione necessaria del Governo o di altri soggetti
dotati di potestà normativa;
3) La funzione di
controllo, definita come una verifica dell’attività di un soggetto politico in
grado di attivare una possibile attività sanzionatoria;
4 La funzione di
garanzia costituzionale, da interpretarsi come concorso delle Camere alla
salvaguardia della legittimità costituzionale nella vita politica del Paese;
5) La funzione di
coordinamento delle Autonomie, sempre più complessa da attuare in un sistema
che, nelle sedi di raccordo esistenti sia a livello internazionale che infra-nazionale
tende a privilegiare il dialogo tra esecutivi.
In conclusione si può affermare che nell’utilizzo specifico dello strumento della decretazione è stata chiamata in causa l’attività del Parlamento come organo dello Stato-ordinamento: cioè la Repubblica e di conseguenza la priorità dell’assolvimento del compito della più elevata capacità rappresentativa della molteplicità di articolazioni politiche, sociali, culturali, esistenti nella realtà nazionale. Ne consegue, come ricorda la “Lettera” dell’AIC una minor forza del provvedimento legislativo: passaggio delicato verso una forma dell’esercizio di governo fondata sulla priorità del “comando” rispetto all'esercizio democratico della sovranità parlamentare.