SU PRODI E L’EUROPA
di Stefano Vannucci

Romano Prodi
Ho letto l’articolo di Giacomo Costa su Prodi e l’Europa su Odissea del 19
Marzo. Concordo con le sue osservazioni, ne ho tratto allo stesso tempo un
senso di desolazione nel leggervi il resoconto dell’intervista di Prodi
rilasciata al Fatto del 15 Marzo, che non avevo letto. Quel senso di
desolazione mi è suscitato non tanto da quello che Prodi dice - che è almeno in
buona parte corretto - ma da quello che omette, e dalla conseguente debolezza
ed inconsistenza del messaggio politico che trasmette. Come fa osservare
Giacomo Costa alla conclusione del suo articolo, la cornice di riferimento
condivisa per raggiungere e consolidare una situazione di pace e sicurezza
condivise non può che essere qualcosa che assomigli ad una ‘legge
internazionale’: che non può che essere allo stato attuale la carta
dell’ONU.
Ma la rilevanza - per non dire l’efficacia - della carta dell’ONU
presuppone che gli stati aderenti - a cominciare innanzitutto e soprattutto dai
membri dotati di armi di deterrenza termonucleare - riconoscano la piena
legittimità e la rilevanza dei reciproci interessi, e la necessità di
concorrere a negoziare soluzioni reciprocamente accettabili in caso di
controversie suscettibili di generare conflitti. Dunque, in sostanza, il
comune riconoscimento della realtà di un mondo multipolare. Ed il comune
riconoscimento della legittimità degli interessi di sicurezza di ciascuno dei
‘poli’, come minimo. Espressi nel concreto dalle rispettive politiche
estere.
Per dimensioni di economia e popolazione complessiva, l’Europa (intesa nel
senso usuale, come entità che esclude la Russia) ha tutti i numeri per essere
uno di questi ‘poli’. Ma esercitare tale ruolo richiede la capacità di
articolare una propria politica estera, che a sua volta richiede una
istituzione di governo unitaria rappresentativa (dunque in pratica legittimata
dal voto): che l’UE tuttora non ha, o almeno non ha ancora. Ed è solo
sulla base di una comune politica estera, che ha senso parlare seriamente di
una difesa comune. Ed è inoltre proprio dalla natura della politica estera
prescelta che dipendono necessariamente caratteristiche e dimensioni
appropriate della difesa comune. Ora, una UE che rinuncia ad articolare
una propria politica estera accettando al contrario di esercitare un ruolo
vassallo di un altro ‘polo’, e per di più di un ‘polo’ non disposto a
riconoscere la realtà multipolare perché determinato ad affermarsi come unico
‘polo’ dominante sugli altri, è una UE che scommette tutte le sue carte sulla
realizzazione della aspirazione del suo polo-guida alla ‘uni-polarità’.
E accetta di farlo sebbene sia chiaro che quella aspirazione ‘unipolare’ del polo-guida
di cui la UE ha scelto di farsi entità vassalla si è sempre più concretizzata
in un accantonamento di fatto della carta ONU e nel conseguente discredito
della ‘legge internazionale’.
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Romano Prodi |
E nel concomitante tentativo di rimpiazzarla con un ‘ordine basato su regole’ o ‘ordine liberale’ ossia con un ‘ordine unipolare’.
Questo tipo di entità-vassalla a cui la UE ha di fatto accettato di ridursi
non può ora aspettarsi di avere un ruolo significativo sulla scena
internazionale senza neanche cominciare a liberarsi dalla condizione di
‘vassallaggio’ (e dal suo polo-guida come tale, non dall’uno o
dall’altro dei leaders politici di quel ‘polo’). Tanto più quando il suo polo-guida
si trova a sua volta costretto a riconoscere suo malgrado la realtà multipolare
delle relazioni internazionali.
Sono tutte connessioni abbastanza ovvie che ci si aspetterebbe emergessero
almeno implicitamente nel ragionamento di un politico esperto e di ‘lungo
corso’ come Prodi. E che naturalmente suggeriscono che, una volta riconosciuto
infine anche dagli USA che il conflitto ucraino è di fatto essenzialmente un
caso di guerra per procura degli USA contro la FR (ed un caso estremo del
genere, oltretutto, per la significativa partecipazione diretta di personale
tecnico-militare USA), una entità non dotata di una politica estera
autonoma dagli USA non può sensatamente essere coinvolta nella trattativa di
pace. Niente politica estera propria (cioè autonoma), niente ruolo possibile
nella trattativa. E, allo stesso tempo, nessun possibile ritorno di
credibilità per la legge internazionale senza un pieno riconoscimento della
realtà multipolare da parte di tutti. Eppure, queste connessioni
piuttostoovvie sono evidentemente assenti nel ragionamento di Prodi. Che, in
particolare, insiste a rivendicare un ruolo negoziale per la UE senza sollevare
il problema della costruzione di istituzioni europee in grado finalmente di
identificare un interesse comune europeo, e di articolare sulla base di tale
interesse una politica estera europea autonoma. Come minimo, molto ma molto
deludente. La via da fare per un ritorno alla ragionevolezza dei paesi europei
sembra ancora lunga. E spero di sbagliarmi, ma i destini della UE mi sembrano
al momento ancora più grami.
[Siena 31 Marzo 2025]