PROCURE IN CONFLITTO
di Luigi Mazzella
È quasi fare
il verso a Monsieur Jacques De Chabannes De La Palice dire che la
corruzione di un impiegato (pubblico) “indipendente” risulta molto
più agevole di quella di un suo collega gerarchicamente inquadrato. Il
primo non è, per così dire, “sorvegliato” da nessuno: il secondo lo è. Il primo
sceglie l’operato che ritiene più opportuno, a sua unica discrezione; il
secondo qualche obbligo di motivazione ce l’ha! Che si tratti
di un’affermazione scontata lo ha dimostrato un recente fatto di cronaca
relativoalla neverending story del cosiddetto “delitto di
Garlasco”, il cui unico punto fermo è la condanna definitiva di Alberto Stasi,
un giovane che ha scontato sedici anni di carcere per l’assassinio
(non provato) della sua fidanzata Chiara Poggi. A distanza di
vent’anni dall’omicidio ben due procure, quella di Pavia e quella di Brescia,
stanno ancora indagando su quei fatti caratterizzati da punti molto
oscuri. E altri “attori” sono comparsi sulla scena: Andrea Sempio, amico
del fratello di Chiara Poggi (con genitori e zii), le due gemelle Paola e
Stefania Cappa (cugine dell’assassinata) e soprattutto (ai fini illustrativi
della mia nota) il Procuratore di Pavia, il magistrato Mario Venditti. Tale
Pubblico Ministero è indagato col sospetto di avere ricevuto una somma indebita
di denaro dell’ordine di 20-30 mila euro dal padre di Andrea Sempio per
disporre l’archiviazione degli atti a carico del figlio. (Indagando, indagando, a Brescia è venuta fuori,
a carico di Venditti, anche un’altra inchiesta per “mala gestione” dei fondi
della Procura di Pavia che non riguarda il caso Garlasco ma non manca di
gettare altre ombre pesanti sull’operato di quel pubblico Accusatore). In
un tale contesto e nella consapevolezza delle molte iniziative avviate e finite
male (per loro) dei Pubblici Ministeri non credo che ci sia da esultare per le
parole di Carlo Nordio secondo cui la sua riforma “non apre per niente la
strada alla sottoposizione della pubblica accusa al potere esecutivo, perché
nel provvedimento v’è una chiara affermazione della autonomia e indipendenza
della magistratura giudicante e requirente”. A mio avviso,
invece, è proprio ciò che dovrebbe preoccupare. Gli italiani, pur
dopo la riforma, dovrebbero ancora temere che gli emuli del magistrato Venditti
continuino a non rispondere di niente e a nessuno per le loro malefatte: a meno
che non incappino in disavventure esclusivamente di tipo
giudiziario.
Il Parlamento, l’organo sovrano di
ogni democrazia, continuerà a restare all’oscuro di tutto, perché anche i
magistrati requirenti continueranno a godere lo stesso autoritarismo di chi
giudica, non avendo autorità ad essi superiori. Ora che un
Ministro della Giustizia non abbia nessun potere per evitare transiti di denaro
in uffici da lui dipendenti (e dai contribuenti pagati) tra indagati e
indagatori è cosa accettabile solo in una Repubblica delle banane (con tutto il
rispetto per questo frutto delizioso).


