Eppure
la Svizzera non delira
di Giovanni Bianchi
Uomo economico
Nella comunicazione tutta falsata
dall'avidità pubblicitaria il delirio dei populismi appare un ottimismo
possibile: perché il falso è coerentemente falso (produttore di fantasmi) come
l'universo che lo ha partorito e lo culla. Infatti l'uomo non può evitare di
sognare, e quindi o fa sogni costruttivamente progettuali, o produce deliri
secondo lo spirito del tempo. E nella falsità della comunicazione complessiva
tutto il procedimento appare reale e perfino orientato al futuro e alla
realizzazione. Que toda la vida es sueño…
Altrimenti
come potrebbe la vetrina di un negozio di Lugano gridare impunemente: "Noi
costruiamo il futuro"? Può stare qualsiasi futuro nel business provinciale
di una agghindata e ammiccante vetrina? L'incanto pubblicitario merita
finalmente un risveglio.
All'incoerenza
dei sondaggi risponde il delirio dei voti plebiscitari, per cui è sempre meglio
e saggio seguire quel vecchio cinico di
Pareto che invitava in casi simili a giurare piuttosto sul Decamerone.
Il
calcolo consiste sardonicamente contro il pensiero e suggerisce (a voce alta e
sguaiata) che pensare è inutile. Se l'economia è classicamente la "legge
della casa" perché genera in continuazione "senzatetto" e homeless?
Ma
ritorniamo sul piano teorico: la filosofia, le scienze e la stessa teologia
politica devono rituffarsi in mezzo alla quotidianità, così come l'etica del
Parini, gran lombardo, si metteva a rischio di caduta nel fango della vita. Se
non si riparte dai comportamenti e dai riferimenti (da punti autorevoli di
riferimento) ogni discorso è inutile e ogni prospettiva preclusa. Non solo
bisogna weberianamente ritentare l'impossibile, ma il rischio non può essere
evitato quando i tempi si fanno stretti e precipitosi, quando la ripartenza
dalle periferie propugnata da papa Francesco indica che le chances si danno
fuori e lontano dal Vecchio Continente.
Le
cifre dell'economico sono da tempo tutte schierate contro di noi. La serva
Italia è più che cenerentola, così derelitta e così miope da non trovare la
scarpina. Dopo avere distrutta la siderurgia ci stiamo riprovando, ma
continuamente strabici e continuamente in cerca di stampelle esterne: la
tragedia di Taranto è più che eloquente. Marcegaglia lavora con il leader
mondiale del settore, gli indiani di Arcelor Mittal; Arvedi pensa all'ipotesi
di allearsi con la Cdp. C'è evidentemente un problema di fiducia degli
imprenditori italiani sul futuro del nostro Paese, che dovrebbe essere anche
loro. Un'anaffettività e una disaffezione che dura da decenni.
Le
aree dismesse di Sesto San Giovanni, ex vertice di un polo industriale ed ex
Stalingrado d'Italia, il più grande sito di aree dismesse d'Europa, sono la
radice della fine del fordismo italiano, il suo emblema, la dichiarazione di
rinuncia a cercare un posto nella divisione del lavoro internazionale. Delle 28
maggiori operazioni dal 2012 ad oggi –come scrive su "la Repubblica"
di lunedì 24 novembre 2014 Federico Fubini– in ben 18 casi il compratore era
straniero. Ma perfino il commercialista del mio dentista romano che lavora
tutto ed essenzialmente sulla piazza di Roma ha provveduto a trasferire i
propri uffici contabili in Romania. (E non credo abbia conseguentemente scontato
le parcelle dei clienti.)
Non
solo questo capitalismo ha vinto. Non solo hanno ragione i più grossi
finanzieri americani a scrivere che la lotta di classe esiste e che la loro
classe la sta vincendo alla grande, ma tutti i discorsi di rilancio del Paese
viaggiano sui binari di disuguaglianze crescenti per rimetterci al passo degli
altri capitalismi. La favola è vecchia e la denunciò il solito Obama nel primo
discorso di insediamento alla Casa Bianca: non tanto il capitalismo ha vinto –un
sistema al quale ci siamo tutti giudiziosamente rassegnati–, ma al primo posto
s'è insediata l’avidità finanziaria del capitalismo medesimo. La formula è
dunque semplice e perfino schematica: il capitalismo crea l'antropologia
globale; spetta alla democrazia provvedere ad educarla.
Ecco
perché il problema politico non è destra o sinistra, ma un problema di
democrazia. Ecco perché Amartya Sen scrive le cose che scrive da ultimo. Ecco
perché mi sono affezionato alla metafora del frigidaire: ognuno degli attori
rientra nottetempo affamato, spalanca la porta del frigo e si serve. Mai
nessuno che ricarichi il frigidaire della democrazia. Così accadrà un giorno o
una notte che apriremo quella porta e troveremo il frigidaire della democrazia
desolatamente vuoto…
Ritorno a Lugano
Anche
Lugano non è più la Lugano di una volta e quindi non è più la "Lugano
bella" degli anarchici. Al posto degli anarchici s'è insediata la
'ndrangheta che l'occhiuta e scorbutica vigilanza delle guardie di frontiera
non è riuscita ad evitare. I leghisti ticinesi se la prendono con i frontalieri
(65.000 su 250.000 lavoratori) e i comici ne hanno tratto una serie di sketch e
perfino un paio di film che imperversano nelle sale del Cantone italiano.
Tutti
sappiamo che la Svizzera è il più solido tempio del capitalismo europeo. Che è
fondata sulle banche (e il loro scricchiolanti segreti) oltre che sulla
cioccolata. Piccola sede di grandissime e potenti multinazionali. Aperta da
secoli a più confessioni religiose, ma devotissima del mammona finanziario.
Eppure ha mantenuto una lunga serie di fabbriche nel settore della chimica e in
quello della meccanica di precisione. Eppure una domenica luganese è in grado
di stupire l'italiano frastornato da un capitalismo nazionale che vorrebbe
apparire rampante. Perché? Perché, sorpresa!, salvo pochi bar, i negozi di
Lugano sono tutti rigorosamente chiusi.
Non
è da noi il "domenica siamo aperti" il segno della solerzia e lo
squillo d'attenzione al cittadino consumatore esibito con maramalda generosità
dai supermercati e dai centri commerciali? Forse gli svizzeri sono meno attenti
ai bisogni del consumatore e meno interessati al profitto? Il capitalismo
svizzero non è meno selvaggio e corso da animal spirits meno ruggenti di quelli
italici. Il problema sta altrove.
Sta
nel rapporto tra l'antica democrazia svizzera e le sue regole e lo sviluppo di
questo capitalismo. La democrazia non deve essere sempre moderna e à la page per poter efficacemente
funzionare. Anche l'intoppo e la lentezza di regole antiche aiutano il suo
magistero. Non solo in una piccolissima nazione racchiusa tra i monti dove
perfino le vacche sembrano chiedere il permesso sugli alpeggi per le ampie
defecazioni che le caratterizzano. Ma anche negli immensi Stati Uniti si
continua a votare il martedì dopo il primo lunedì nel mese di novembre
nonostante i mutamenti e
i pericoli climatici indotti dal riscaldamento del globo che rende
intollerabili e talvolta omicide le perturbazioni atmosferiche.
La
democrazia cioè funziona anche grazie ai suoi ritardi, perché è pura illusione
italiana di risolvere i problemi della politica mettendo continuamente mano
alle regole anziché ai soggetti che la politica devono esercitare
salvaguardando la democrazia.
È
con i referendum e la loro minaccia che gli svizzeri, che amano il danaro più
degli italiani, hanno tuttavia messo al riparo le proprie vite e la propria
salute fisica, mentale e spirituale. Come non ricordare la barzelletta che
costò a De Gaulle una mezza crisi internazionale? "Se vedete che uno
svizzero si butta dalla tour Eiffel, seguitelo! C'è senz'altro qualcosa da
guadagnare"…
Una
sommessa lezione da chi ha fatto dire al segretario di Stato Maurer in una celebre intervista che gli
svizzeri hanno ridotto la politica ad amministrazione.
Ho
scritto altra volta che è una riduzione
che non mi piace. Devo oggi aggiungere che la trovo comunque meglio di una
democrazia gonfiata e resa velocemente non credibile nei talkshow. Meglio cioè il silenzio impacciato
piuttosto di una narrazione continua che crea il vuoto mentre quotidianamente
lo rappresenta.