Ci risiamo: ampliamo il porto e intasiamo la
riviera.
E che Santa Margherita ci aiuti.
Testo e foto di Paolo
Maria Di Stefano
L’Italia e il turismo sembrano avere un rapporto visceralmente
distorto. Non a caso siamo riusciti a precipitare lungo la scala del richiamo dei
turisti pur disponendo, si dice, di un patrimonio culturale unico al mondo e
pur potendo mettere a disposizione degli ospiti -e questo è sicuro- bellezze
naturali seconde a nessuno. Io ho in materia un’opinione personale che non
riesco a correggere: siamo incapaci di gestire gli scambi che concretano il
mondo del turismo. E questo principalmente perché siamo improvvisatori,
arruffoni, disordinati, incapaci di pianificare, inaffidabili e, soprattutto,
dediti alla ricerca del profitto immediato ed alla furbizia a danno dei turisti
in genere e di quelli provenienti da altri Paesi in particolare. Forse, il “pochi
maledetti e subito” è una legge di comportamento legata al nostro dna, in una
con quella che invita a cogliere le opportunità nell’immediato, senza
preoccuparci della gestione nel lungo periodo. Che è la ragione per la quale si
consente alle grandi navi da crociera di raggiungere piazza San Marco, forse in
attesa di passare alla storia anche per qualche incidente di portata planetaria.
Una insipienza, una incapacità, una disonestà, un opportunismo che investono
tutto il nostro modo di essere, nel grande come nel piccolo. Non di tutti,
ovviamente, e non sempre, ma in materia di immagine basta poco per
generalizzare e decidere che è meglio (più economico, più sicuro, più
soddisfacente) scegliere altre mete.
Punto e a capo.
Una ennesima situazione
esemplare: il porto di Santa Margherita Ligure è di nuovo in ballo, con due
progetti di ampliamento: Santa Benessere & Social, da un lato, e Porto
Cavour, dall’altro. E, probabilmente, in qualche cassetto altri ne dormono,
nell’attesa di un momento di distrazione degli amministratori o anche
dell’arrivo di tempi ancora più propizi perché qualcuno possa arricchirsi
nell’immediato, declamando argomentazioni che generano l’illusione di nuove
opportunità per il futuro. E in questo caso non soltanto rivolte agli abitanti
“stanziali”, ma soprattutto a tutti coloro che Santa l’hanno scoperta, creata,
e animata come piccola parte di un paradiso in cui trascorrere tranquille e
colorate ore di felicità. Milanesi in testa, poiché Santa Margherita Ligure è
anche creatura di Milano.
L’ennesimo attentato a quel poco
che rimane delle bellezze naturali italiane e, peggio, a quel che resta della
riviera ligure: non proprio pochissimo, ma certamente molto vicino alla
sparizione. E non soltanto per le improvvide decisioni relative alle
urbanizzazioni, in genere avvenute con il solo criterio dello sfruttamento
intensivo delle aree e senza rispetto alcuno per la natura (tanto che non a
caso si è creato a suo tempo il lemma “rapallizzazione” e “rapallizzare”, dal
significato chiaro quanto negativo da sempre, ormai), ma anche e forse
soprattutto per la cieca volontà di attrarre a terra tutto ciò che può arrivare
via mare.
La riviera si avvia, così, a
divenire un solo grande porto turistico, da Sestri a Ventimiglia, per di più
gestito da privati, e quindi sottratto alla utilità pubblica a favore della
massimizzazione di un profitto per la realizzazione del quale “il privato” è
disposto ad ogni compromesso. Forse per la gioia immediata dei negozianti e
degli albergatori, ma certamente prologo all’abbandono da parte di tutti quelli
che amano e cercano e vivono la tranquillità, la bellezza, il silenzio rotto
appena dalla brezza marina, il profumo della salsedine.
Tutte cose, peraltro, già
precarie anziché no.
Io credo che il problema -di
Santa e di Portofino e di Camogli e della Riviera tutta- non sia quello di
saturarsi di turisti rumorosi e ruminanti, fonte di inquinamento di tutti i
tipi e a tutte le ore (caratteristiche del cosiddetto turismo di massa), bensì
di garantire una qualità di vita di rilievo assoluto, e anche per questo
lontana il più possibile dal sovraffollamento, dal traffico, dalle code, dalle
centinaia di automobili ferme in ogni anfratto intese a trasformare le strade
in viottoli scomodi e maleodoranti.
Tra l’altro, sono proprio queste
le argomentazioni di vendita che possono premiare Santa e la Riviera: un
prodotto di altissima qualità per godere del quale valga la pena di spendere
qualche risorsa in più.
E il turismo di qualità vale
anche, naturalmente, per coloro che dovessero giungere via mare. I posti in porto possono essere
affittati a prezzi molto più remunerativi, se a terra l’attenzione alla qualità
di vita è ai massimi livelli.
E la qualità di tutto e in tutti
i sensi non è mai facilmente conciliabile con il numero e con la quantità.
Il problema non è, quindi,
moltiplicare le capacità recettive del porto, bensì realizzare quella
eccellenza della qualità di vita capace di attrarre un turismo propenso a
impegnare risorse, oltre che colto e in grado di apprezzare il meglio.
Naturalmente, di questa
“eccellenza di qualità di vita” gli abitanti di Santa Margherita non solo
devono sentirsi responsabili, ma devono conoscere ed attuare le
caratteristiche, che spaziano dall’educazione alla cultura, anche la più
sofisticata.
In questa direzione, possono
essere ipotizzate una serie di attività che vanno dalla formazione turistica
(recettività, movimentazione, culinaria, rapporti di ospitalità …) degli
abitanti all’offerta di “occasioni culturali” (e perché no? sportive) agli
ospiti, sulla scia di quanto già accade proprio a Santa con i programmi della
Tigulliana, e via dicendo fino ad una serie di eventi (teatro, musica,
balletto, convegni e congressi, giostre e fiere…) che vedano collaborare tutte
le località della riviera in realizzazioni pianificate e organizzate, in modo
tale da non elidersi a vicenda.
E qui si aggancia quello che io
credo essere il problema dei problemi: il marketing territoriale. Solo un
accenno: da noi, e non solo, per marketing si intende fare qualche ricerca, un
po’ di pubblicità e qualche iniziativa promozionale. Che ha una sola certezza:
il costo in genere elevato, al quale sempre in genere non corrispondono
risultati degni di nota.
E per marketing territoriale, il
nulla. Che è sbagliato.
Fare marketing significa gestire
in ogni suo aspetto qualsiasi tipo di scambio, con chiunque e per qualsiasi
tipo di prodotto, a cominciare proprio dalla ideazione del prodotto
stesso. E gestire lo scambio vuol dire
occuparsi a fondo di ogni suo aspetto.
Ecco allora che si disegnano i
compiti di tutti e di ciascuno. E occorre dare risposte affidabili alle famose
domande, quelle di cui tutti parlano a proposito e più spesso a sproposito: i
5W e l’H. Ed è questa ultima domanda che implica le risposte più difficili:
come facciamo a realizzare gli obbiettivi?
Beh: intanto, cominciamo a
descrivere il prodotto Santa e gli obbiettivi che ci proponiamo. Che è più
facile di quanto possa non apparire, dal momento che si tratta di operare su di
una realtà esistente, non solo, ma non ancora degradata in modo irreversibile.
Potrebbe essere un inizio:
ragioniamo su cosa vorremmo fosse Santa Margherita e cosa vorremmo che
diventasse e perché. Facciamolo insieme, abitanti stanziali e ospiti.
Se lo avremo fatto in buona fede,
funzionerà.
Per quanto riguarda il resto
d’Italia… Qualcosa vieta, forse, di utilizzare un sistema corretto di gestione
del territorio, magari anche solo a fini turistici? Occuparci di Santa
Margherita Ligure potrebbe essere un buon inizio. Addirittura, Santa potrebbe
divenire la capofila di una “università del marketing territoriale”, con tutte
le conseguenze scientifiche ed operative e con tutte le opportunità facilmente
immaginabili.
Certo, deve esistere una premessa
assolutamente necessaria: bisogna individuare i reali bisogni ed i reali
interessi di Santa come di tutte le aree implicate e soddisfare i primi e
perseguire i secondi in modo prioritario ed esclusivo, drasticamente impedendo
che altri e diversi interessi prendano il sopravvento. Mafie e corrotti in
testa.