È
MORTO DARIO FO
Scompare una delle ultime voci libere e
scomode
della cultura italiana ed internazionale
di Angelo Gaccione
Dario Fo |
Milano. Il premio Nobel ci ha lasciati.
La notizia ci è arrivata presto in questa piovosa e gelida mattina di ottobre,
rendendo la città ancora più gelida. Milano perde un altro dei suoi grandi
figli e protagonisti, mentre la nostra agenda vede allungarsi la lista dei
morti. Da dove cominciare per ricordare questo pluriforme artista sempre in
conflitto con i poteri di ogni sorta, questo militante sempre pronto a sposare
le cause più disperate? Potrei cominciare dagli anni della Palazzina Liberty,
quando avendogli negato ogni spazio per il suo teatro politico (i proprietari
di case rifiutavano persino di fittargliene una, per paura di attentati, e
perché certi che le avrebbe trasformate in un “covo” di sovversivi), dopo aver
peregrinato da un luogo all’altro (e noi sempre dietro a seguirlo), si decise
di occupare quella bellissima struttura immersa nel verde dei Giardini Marinai
d’Italia, in Porta Vittoria, che l’Amministrazione Comunale di allora aveva
lasciato languire e andare quasi in rovina. Mettemmo le bandiere rosse, i
cartelli, i volantini con cui tappezzammo il quartiere e iniziammo a portar via
le macerie. Eravamo giovani studenti, lavoratori, appassionati di teatro per lo
più, antifascisti e militanti di quel vasto arcipelago dell’opposizione alla
disgustosa politica di compromessi e di corruzioni tanto in voga. La Palazzina
Liberty rinacque. Il Collettivo Teatrale “La Comune” divenne un luogo di
riferimento per la città e non solo. Mamme e bambini presero a frequentare il
parco, i fascisti che avevano la sede in via Mancini si tenevano alla larga. La
domenica si animava di canti e suoni; c’erano quelli del Canzoniere popolare, c’era
la solidarietà con i militanti in galera e c’era il Soccorso Rosso militante.
Franca e Dario |
Sulle tavole di quel teatro, perché teatro divenne, con Dario e Franca, la sua
inseparabile metà, il teatro divenne vita, e la vita vi entrò con tutte le sue
spietate contraddizioni. Dario l’aveva adornata di pannelli con i suoi
magnifici disegni e dipinti. Quanto la repressione e le autorità detestassero
quel teatro e quella Palazzina, chi vi era attivamente coinvolto ne sa
qualcosa. Alla fine finirono per riprendersela: preferirono tenerla vuota per
altro tempo ancora, inutilizzata ma a loro modo “pacificata”. Il contenzioso
con la giustizia si protrasse un bel po’: occupare un luogo in rovina, renderlo
bellissimo con le proprie risorse e le proprie fatiche non contava per i normalizzatori
della città. Se per noi la proprietà (lasciata al degrado) era un doppio furto,
per loro era un reato. E così uno dei più grandi attori della scena
internazionale, amatissimo in ogni dove, non aveva a Milano un luogo dove fare
il suo teatro. Avversato come gli amici del Living Theatre, anch’essi ignorati
e ostacolati in ogni modo dalla Milano istituzionale, costretti a presentare le
loro performance in luoghi marginali e di fortuna, finché il presidente
francese Mitterand non manderà un aereo a prelevarli e portarseli a Parigi.
Dario Fo durante la mostra a Palazzo Reale di Milano alle spalle il fondale dedicato a Francesco d'Assisi |
Potrei continuare con la marea di dibattiti e le mobilitazioni per le stragi,
per la battaglia sul divorzio, il movimento delle donne, il Vietnam… fino agli
anni più recenti e alle iniziative per rendere questa città più vivibile, più
respirabile. Aprì la sua casa in Corso di Porta Romana (a qualche metro da casa
mia) e costituimmo un Coordinamento di comitati ambientalisti che organizzò
manifestazioni e proteste. Noi di “Odissea” eravamo presenti con un gruppo
denominato “Aria Protetta”, che poi era il nome di una delle rubriche del
giornale. Ci vedevamo da Fo, ma ci vedevamo anche a casa della poetessa
Donatella Bisutti (anche lei collaboratrice di “Odissea”) in via Anelli, dove
venivano le scrittrici Gina Lagorio,
Grazia Livi e tanti altri amici letterati e non solo. Lettore di “Odissea” che
riceveva in copia doppia, una era per Franca di cui abbiamo pubblicato diversi
scritti, fu sempre generoso verso il giornale come lo furono entrambi verso di
me. Nel 2001 realizzò il disegno che avrebbe dovuto andare sulla copertina
della terza edizione del mio dramma teatrale “La Porta del Sangue”, ma che poi non andò in porto per questioni
editoriali che ora non ricordo, e quando fu raccolto in un unico volume tutto
il mio teatro da un altro editore, questi volle come titolo complessivo “Ostaggi a teatro”, e dunque il lavoro di
Dario rimase inedito.
Dario Fo "La Porta del Sangue" 2001 |
Anni più tardi donò dei suoi lavori pittorici quando
allestimmo allo “Spazio Lattuada” la vendita di materiali offertici da vari
amici per sostenere la vita del giornale. Mi convocò nel suo studio per donarmi
“Il compianto” da pubblicare su
“Odissea” accanto al ricordo che scrissi per la scomparsa di un altro
collaboratore del giornale e comune amico, il sacerdote don Luigi Pozzoli,
scomparso a fine dicembre del 2011. “Pubblicalo sul giornale e poi tienilo come
mio ricordo” mi disse. E ora è sulla parete del soggiorno assieme ai quadri di
altri amici, e dunque ce l’ho sotto gli occhi, ed il ricordo suo è costante.
Dario Fo "Il Compianto" 2011 |
Nel 2013, in occasione della pubblicazione della mia fiaba contro il potere “Vietato ridere”, gli avevo chiesto di
farne l’illustrazione, sapendo quando il tema gli fosse caro. Franca mi
telefonò per dirmi che era caduto e non avrebbe potuto disegnare, ma avendo
saputo che la fiaba sarebbe stata pubblicata su “A Rivista Anarchica”, avendo
una stima grande per gli anarchici e per quella rivista, ci fece dono di una
tavola inedita intitolata “Il volo
dell’anarchico”. Quel disegno diventò la copertina del numero 377 della
rivista, il numero del febbraio 2013 che contiene la mia fiaba. Non
dimentichiamoci che uno degli spettacoli più ironici e taglienti di Fo era
stato proprio “Morte accidentale di un
anarchico” dedicato all’omicidio di Pinelli e alla Strage di Piazza
Fontana.
La copertina di "A Rista Anarchica" |
Recentemente gli avevo fatto avere il dramma di Francesco Piscitello
dedicato a Giuda “L’apostolo traditore”
pubblicato dalle Edizioni Nuove Scritture, materia, quella dei Vangeli a cui
era particolarmente interessato. Non sono riuscito invece a portargli un
libretto di riflessioni e aforismi che avrebbe di sicuro gradito “Il lato estremo”, incasinato come sono
stato per tutta l’estate, e coinvolto con gli amici nel “Comitato di Odissea
per Turoldo”, di cui ricorre il centenario della nascita. Ogni volta che imboccavo
il Corso di Porta Romana e passavo davanti al suo portone mi dicevo: “Uno di
questi giorni lo farò”, e poi rimandavo. Il destino purtroppo non rispetta i
nostri tempi, e così questa mattina la notizia mi è giunta di buonora, proprio
mentre stavo finendo di scrivere una nota al libro di Franco Celenza per la
rubrica ‘Officina’ di “Odissea” dove potete leggerla.
Le telefonate di amici
che avevano saputo della morte si sono susseguite e ho dovuto di continuo interrompere
questo ricordo; l’ultimo mi è giunto per iscritto da Novara, dalla saggista e
autrice di teatro Chiara Pasetti che ne fissa questo ricordo: “Ho saputo della morte di Dario Fo. Ho avuto
solo una volta il piacere di vedere un suo spettacolo a Milano, nel 1995.
Applausi a non finire. Due anni fa, mentre mi trovavo ad Arona per intervistare
Dacia Maraini, a un certo punto è arrivato... Si sono alzati tutti in piedi. Io
gli ho stretto la mano, emozionata, e gli ho detto: sono onorata di conoscerLa,
Maestro, e ho aggiunto: sono qui come giornalista ma io in realtà voglio
scrivere, anche per il teatro. E lui ha sorriso e ha detto: "Fai bene bambina... insieme a quello dell'attore è il
mestiere più bello del mondo". E se
ne è andato circondato da un sacco di gente... Volevo solo condividere questo ricordo con te”.
Anche tutti noi.