I
procedimenti penali per i tumori professionali:
Giustizia o
Ingiustizia?
di Michele Michelino (*)
Un momento del Convegno |
Al
lavoro è peggio che in guerra.
L’Italia è il
paese che, subito dopo l’incendio che uccise 7 lavoratori bruciati vivi nel
2007, ha visto gli industriali applaudire i dirigenti assassini della
ThissenKrupp.
Pochi giorni fa (il 14 settembre) un
operaio egiziano di 53 anni padre di 5 figli, che
stava partecipando a un picchetto all'esterno di un'azienda di logistica a
Piacenza, è stato assassinato, travolto e ucciso dall'autista di un TIR. Un
assassinio premeditato che, da quanto riferiscono testimoni, è avvenuto su
istigazione di un dirigente della logistica, che incitava l’autista ad avanzare
nonostante il picchetto. Ennesima dimostrazione di una giustizia padronale, di
classe, che protegge i diritti dei carnefici e assassini a scapito delle
vittime, non a caso l’assassino - dopo una notte in questura a Piacenza - è
stato prontamente rimesso in libertà: è indagato a piede libero per omicidio
“stradale”
Ogni giorno si muore sul lavoro e di lavoro. Il 17 settembre
proprio mentre si manifestava a Piacenza contro l’assassinio di Abd
Elsalam Ahmed Eldanf, altri 3 lavoratori morivano sul lavoro e la lista si
allunga ogni giorno.
Anche
se la Costituzione afferma che l'operaio e il padrone sono uguali, entrambi
“cittadini”, ed hanno stessi diritti, la condizione di completa subordinazione
economica sancita dall'ordinamento giuridico fa sì che la "libertà" e
la "uguaglianza" dei cittadini sia solo formale. In realtà, in una
società divisa in classi, i lavoratori vivono una condizione astratta di
uguaglianza giuridica, e da una situazione concreta, reale, di disuguaglianza
sociale ed economica.
L’art.
32 della Costituzione recita che: "La Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e
garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un
determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge
non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona
umana".
In
realtà, con la privatizzazione della sanità pubblica, quest’articolo – tuttora
formalmente valido e mai abrogato - è ormai carta straccia. La tutela della
salute è diventata un affare per le assicurazioni, per la sanità privata e per le
multinazionali farmaceutiche a scapito del diritto alla salute dei cittadini.
Dietro
le vuote parole della democrazia si nasconde la cruda realtà della dittatura
del capitale fatta di violenza, licenziamenti, assassinii contro chi si oppone e
ostacola la “libera accumulazione del profitto”.
Processi e
Istituzioni: ruolo della magistratura, dell’ATS (ex ASL), dell’INAIL e INPS nei
contenziosi con le vittime dell’amianto e delle malattie professionali
Il ruolo della magistratura
nelle lotte operaie e popolari.
Verità storica e
verità giuridica
Una
delle parole d’ordine che abbiamo sempre sostenuto in fabbrica fin dagli anni
‘70 è stata: “La salute non si paga – la nocività si elimina”. Per
questo ci siamo scontrati con il padrone (che dava la paga di posto più alta
per i lavori nocivi e mezzo litro di latte), con il sindacato che barattava
salario e salute, e anche con alcuni nostri compagni di lavoro che vedevano
nell’indennità di nocività la possibilità di arrotondare (anche se di poche
lire) il salario, senza essere coscienti dei pericoli che correvano. Per il
medico di fabbrica anche gli operai malati e quelli con problemi respiratori
erano sempre “abili e arruolati” e costretti a lavorare in reparti e ambienti
nocivi. Questa concezione è tuttora dominante.
Nei
processi penali e civili si continua a monetizzare la salute e la vita umana.
I
giudici se gli imputati risarciscono le parti civili - anche nei pochi casi in
cui siano condannati e non intervenga la prescrizione - generalmente concedono
le attenuanti generiche. In molti casi,
i manager pur essendo stati riconosciuti colpevoli di omicidio colposo sono
rimasti impuniti e nessuno di loro ha pagato.
Questa
è la verità storica che emerge e la “verità giuridica” diventa una chimera,
perché riconoscere questi fatti significherebbe mettere sotto accusa un intero
sistema industriale, quello stesso sistema che oggi produce 1.000 morti sul
lavoro, altre a decine di migliaia per malattie professionali, e un milione di
infortuni ogni anno.
Il
progresso sociale è lastricato di sangue proletario, del sangue di lavoratori e
cittadini, esseri umani considerati come dei numeri o al più solo come una
merce “usa e getta”.
Il
mercato, la produttività, la competitività e soprattutto il profitto sono gli
obiettivi di tutti i governi, delle multinazionali e della Confindustria.
Questi obiettivi nella crisi si realizzano ancor più sulla pelle dei lavoratori
e cittadini, annullando il diritto alla salute, alla sicurezza e alla vita. In
Italia l’unico diritto riconosciuto, è quello di fare profitti, a questo sono
subordinati tutti gli altri “diritti umani”. Le leggi, le norme, una giustizia
di classe che protegge in ogni modo i padroni, i manager e un intero sistema
economico, politico e sociale fondato sul capitalismo fa sì che la salute e
vita umana, davanti ai profitti, passino in ultimo piano.
Ancora
oggi nel 2016, nella” moderna e democratica” società capitalista, gli operai e
i lavoratori continuano a morire di lavoro - e di non lavoro - come nell’Ottocento.
In
questa guerra del capitale contro i lavoratori - negli ultimi anni sono in
forte aumento anche i suicidi di lavoratori disoccupati, cassintegrati o
colpiti dalla repressione e dal dispotismo padronale nel totale silenzio delle
istituzioni e della stampa Tv, e non è un incidente di percorso o una
dimenticanza il fatto che la magistratura non apra inchieste o sia di parte.
Il
licenziamento di 5 operai della Fiat, licenziati per aver “impiccato” il fantoccio di Marchionne come protesta contro due suicidi di cassintegrati
con il giudice che dà ragione all'azienda è un’ulteriore prova dell’imbarbarimento
della società. Anche sui mesoteliomi ci sono problemi. Recentemente un’ex
lavoratrice malata di mesotelioma di un palazzo del Comune di Milano, chiuso da
circa 4 anni per amianto con un periodo lavorativo di
esposizione all’amianto dal 1985 al 2010 presso il Comune di Milano, si è vista
respingere la richiesta di malattia professionale prima dall’ATS (ex ASL) e poi
dal P.M.
Il magistrato ha chiesto al GIP l’archiviazione, sostenendo che la
signora durante le ferie (meno di un mese l’anno) andava in una località in cui
c’e una forte presenza di eternit.
Per l’ATS e il P.M. la lavoratrice non si sarebbe ammalata nei 25
anni in cui era esposta alla sostanza cancerogena, ma quando andava in ferie.
La richiesta di archiviazione è arrivata ad agosto durante le
ferie e ci sono solo dieci giorni per fare opposizione. In ogni caso il nostro
Comitato per la Difesa della Salute nei Luoghi di Lavoro e nel Teritorio,
insieme alla lavoratrice, a Medicina Democratica e l’Associazione Italiana Esposti
Amianto che aveva fatto l’esposto - denuncia tramite la nostra avvocata Laura
Mara è
riuscito a presentare l’opposizione entro i termini e vedremo come finirà.
Questo dimostra che a fianco di P.M competenti che svolgono indagini accurate
ce ne sono altri incompetenti di orientamento diverso o peggio ancora.
Il
nostro Comitato e tutte le associazioni che fanno parte del Coordinamento
Nazionale Amianto da anni si battono in fabbrica e sul territorio per il
rischio zero. Basta con l’ipocrisia di chi legittima e sostiene lo sfruttamento
per realizzare maggiori profitti e poi in pubblico versa lacrime di
coccodrillo.
Per
noi ogni strage, anche una sola morte sul lavoro o malattia professionale sono intollerabili
e vanno impedite. Per questo riteniamo molto grave e offensiva verso le vittime
che il ministro dei trasporti Delrio commentando la richiesta di condanna dei
P.M. a 16 anni di reclusione per l’ex amministratore delegato di Fs Mauro
Moretti per la strage di Viareggio in cui morirono bruciati vivi 32 esseri
umani abbia dichiarato: “E’ difficile
pensare che l’amministratore delegato di Fs possa avere una responsabilità cosi
enorme, questa richiesta va oltre la responsabilità individuale”.
Le
lotte nelle fabbriche, nelle piazze e nei tribunali - con presidi e
manifestazioni insieme alla presenza anche nelle aule giudiziarie dei
lavoratori e dei cittadini - è determinante.
Noi
abbiamo sperimentato che i risultati a favore delle vittime si ottengono quando
anche i lavoratori diventano protagonisti del loro destino partecipando
attivamente insieme alle procure, ad avvocati, medici del lavoro, consulenti e
tecnici, nel rispetto dei ruoli, senza però delegare la difesa dei loro diritti
e interessi ai soli “esperti” o ai politici .
Noi
dobbiamo creare nel paese un movimento operaio e popolare di lotta per la
salute, la sicurezza sui posti di lavoro e nel territorio. Insieme a
magistrati, avvocati, medici, tecnici della salute e soprattutto a lavoratori e
cittadini coscienti, per raggiungere l’obiettivo di impedire che si continui a
morire per il profitto, per “costringere” il legislatore a varare una legge che
sancisca che i disastri ambientali, gli infortuni, le morti sul lavoro e di malattie professionali non vadano
mai in prescrizione e siano considerati crimini contro l’umanità. Il movimento operaio e popolare si
deve battere per il rischio zero nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Non
possiamo accettare, sotto il ricatto del posto di lavoro, che le esigenze del
“mercato” ci costringano a rimetterci la salute e la vita, e a ipotecare il
futuro delle nuove generazioni inquinando il pianeta.
Il ruolo dell’INAIL e
dell’INPS
Da
anni è in atto un contenzioso tra le vittime dell’amianto e delle malattie
professionali contro l’INAIL e l’INPS. Questi enti si comportano con i
lavoratori come se fossero degli istituti privati e non Enti pubblici.
L’INAIL
sul territorio nazionale tende a respingere di solito le malattie
professionali, in primis i
mesoteliomi, costringendo i lavoratori a lunghe e costose cause legali che
spesso giungono a compimento quando il lavoratore è ormai deceduto, causando
danni economici anche agli stessi enti.
Anche
l’INPS si comporta nello stesso modo. Molti dei nostri compagni e associati ex
esposti amianto, che hanno un’aspettativa di vita media inferiore di 10 anni
rispetto al resto della popolazione (circostanza riconosciuta dalla stessa
legge), per far valere i loro diritti previsti dalla legge 257 del 1992 sia per
i cosiddetti “benefici contributi” che per le malattie professionali, hanno
dovuto aspettare i tre gradi di giudizio con tempi e costi elevati che spesso
hanno vanificato i risultati positivi raggiunti.
In
molti casi ormai i lavoratori non ricorrono neanche più al tribunale ma rinunciano
a far valere i propri diritti perché, oltre al danno in caso di sconfitta
legale, spesso subiscono anche la beffa di pagare le spese processuali e legali.
Noi
- comitato e associazioni del Coordinamento Nazionale Amianto- da anni
denunciamo il conflitto d’interessi di questi enti. In particolare dell’INAIL,
un’assicurazione pubblica che deve certificare la malattia professionale, ad
esempio l’esposizione all’amianto e altre sostanze cancerogene, e nello stesso
tempo è l’ente che deve risarcirlo.
E’
assurdo che in reparti divisi solo da una striscia gialla per terra, dove è
stata accertata la presenza di lavorazioni nocive (amianto, cromo, manganese
ecc.) questi enti riconoscano la malattia professionale o i cosiddetti “benefici”
- che sono invece un risarcimento - ad alcuni lavoratori e non ad altri che
lavoravano nello stesso capannone a pochi metri di distanza, solo perché divisi
da una riga gialla che determina l’appartenenza a un altro reparto della stessa
azienda.
Nella
nostra esperienza abbiamo sperimentato che la lotta paga. insieme alle cause
legali, la cosa più importante per raggiungere un poco di giustizia, per quanto
tardiva, è stata la mobilitazione e partecipazione delle vittime, la lotta dei
lavoratori con manifestazioni e presidi davanti alle sedi di INAIL, INPS e ai
tribunali.
Intervenire
sul governo e sui ministri competenti, affinché INAIL e INPS riconoscano i
diritti dei lavoratori e delle vittime esposte a sostanze cancerogene e nocive,
perché sia un ente terzo e non l’INAIL quello che deve certificare la malattia
(lasciando a questo ente solo il compito di indennizzarle come spetta
all’assicurazione pubblica). Questo è l’obiettivo che oggi ci poniamo per
risolvere il conflitto d’interessi dell’INAIL.
(*) Presidente del Comitato per la Difesa della Salute
nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio-
Sesto
San Giovanni (MI)