TEATRO ALLA SCALA. LA “PRIMA”
di
Gabriele Scaramuzza
Da incallito (di bocca buona magari, dirà qualcuno,
ma non acritico) melomane - non musicista né musicologo tuttavia - ero ben
disposto verso la strana “Prima” di quest’anno. La mia impressione iniziale è
stata buona, non mi vergogno a dirlo. Come sempre, sono
attratto per prima cosa dalla musica, e uno ad uno i brani scelti mi hanno
attratto, non tutti, ma per lo più; e non sono
tutti da buttare solo perché sono stranoti o scontati. Gli interpreti mi hanno coinvolto quasi tutti, per voce
e presenza; per i balletti Bolle; Livermore meglio di quanto temessi. Chailly:
complice e vittima, certo; credo bene che felice non dev’esser stato, ma ha
diretto benissimo, per i miei gusti almeno. Mi ha subito preso (perché tacerlo?)
l’inizio col preludio di Rigoletto, poi Don Carlo...
Qualcuno (non Vitale*) sembra
prendersela con Michela Murgia; non la conosco, quello che ha detto alla Scala
mi è parso scontato ma ragionevole. Di buon senso ce n’è talmente poco in giro
che tendo a valorizzarlo (non ovviamente l’ipocrisia di chi fa passare per buon
senso l’inaccettabile); non tutti gli ascoltatori sanno, magari ricordare loro
anche cose ovvie non è così sbagliato.
Riflettendo meglio tuttavia, ci sarebbe
innanzitutto da ridire anche solo sulla scelta dei brani: se si voleva dare
un’idea di quanto la Scala ha offerto, e tanto più negli ultimi anni, perché
escludere la musica
tedesca (Weber, Wagner, Strauss…), tanto più che la Scala ha offerto esecuzioni
prestigiose di essa; e perché dimenticare Britten, Janáček… che pure la Scala
ha rappresentato egregiamente. Un po’ di musica francese, scontata; e perché
tanto Giordano? Si doveva scegliere, certo, valutare le disponibilità
effettive. Soprattutto però aver chiare le finalità: a chi intendeva
rivolgersi, a quale tipo di pubblico, la Scala questo 7 dicembre 2020? Che idea
di cultura musicale perseguiva?
Indigeribile per un grande teatro poi
la cornice dell’evento. Brani tratti da opere sparse, in un insieme la cui
logica sfugge. Lasciamo perdere i Tre Tenori; ma più che San Remo, a me son
tornati in mente i vecchi Concerti Martini & Rossi (qualcuno li avrà pur
ancora presenti): arie astratte da ogni contesto che le metta in una luce
propria, esibite come gemme in una mostra. In proposito mi permetto tuttavia
una breve divagazione: quanti quadri esposti oggi nei musei sono estrapolati
dal contesto per cui sono stati dipinti, e che dava loro un senso che ora si è
perso; ma un diverso senso l’hanno pur tenuto vivo: andiamo con passione a
vederli (uno alla volta però, non tanti insieme…). Ciononostante resta di
dubbio spessore la “mostra” che ci ha offerto la Scala questa volta.
Vinicio Verzieri
"Giuseppe Verdi"
"Giuseppe Verdi"