LA VITA AI TEMPI DEL CORONAVIRUS
di
Guido Peter Broich
Uno spettro circola in Europa.
Piccolo, invisibile e letale. Salta da uomo a uomo, si nutre dei contatti,
della vicinanza, degli affetti. Potremmo dire che è un male perverso, male non
perché esiste, ma perché antitetico al bene. Anche qualora non ci porta alla
morte, ci allontana dalla vita, ci divide, separa, impedisce la convivialità,
il contatto fisico, ci isola. Un male che ci impone di portare una maschera,
non solo comportamentale come descrive Pirandello, ma addirittura tangibile,
reale, fisica. Un male cabalistico della mancanza, una esistenza non perché è,
ma perché l’essere vero si è ritirato. Il vuoto creato dal non essere. Uno
spettro che viene da oriente come lo fece la luce della sapienza che ci fece
uscire dalla nostra animalità. Ex Oriente lux, ex oriente mors.
Un ciclo di nascita e morte, di evoluzione spengleriana della cultura e della
vita. Tutta la nostra ricchezza moderna è basata sulla unione fluida degli
uomini, su condivisione, scambio e commercio di quanto a cui riconosciamo un
valore. Oggi la vita vissuta è lontana come mai dai monasteri delle riflessioni
solitarie, della felice unione poligamica tra poltrona, libro, sigaro e fine,
distillato con il loro padrone e Signore, l’Uomo. La nostra realtà odierna
obbedisce alle regole del formicaio di un bazar, è multiforme e anomica,
plasmatica, ed eccitante. E qui il nostro piccolo fantasma introduce la
peggiore delle anomalie. Una anomalia il cui effetto disruttivo peggiore non è
nemmeno la pur deplorevole morte individuale. In un formicaio brulicante di
vita, ove il numero ha ormai sopravanzato ogni altra riflessione, alla morte
pone rimedio veloce e assoluto la nascita! Del resto siamo troppi su questo
pianeta, pochi anni fa ancora si poneva a un miliardo e mezzo il limite della
sostenibilità, ed ora abbiamo superato i sette miliardi! No, se mai per molti
il rinnovo portato dalla morte individuale dovuta al nostro piccolo
protagonista è visto con soddisfazione malcelata. Molti vedono nella vecchiezza
un fastidio, un eccesso, un’anomalia esecrabile.
No, la morte dei vecchi è vista come una necessità e non turba questo nostro mondo moderno, lontano da Confucio come la terra dal sole. Il pericolo vero e lo sconvolgimento che il nostro piccolo ospite porta tra le formiche, è il suo essere muro, sepimento, ostativo fisico alla naturale promiscuità, alla quale gli uomini portano religiosi doni in raduni oceanici, opinioni maggioritarie e convinzioni ferree. La divisione fisica è insopportabile, soprattutto per coloro che di sopportazione sono del tutto ignari, e l’ansia regna sovrana. Se l’ansia già si diffondeva tra gli uomini, ora impera e governa. Vi è poi l’impatto economico del nostro amico oscuro. Questo nostro stanco e favoloso mondo dall’impronta europea trae la sua ricchezza non dalla fruttifera terra, solida e costante, ma dal mercantile interscambio, dal miscuglio di popoli e beni, in una miscela che diventa fondamento al nuovo mondo da molti adorato, da alcuni temuto ma a cui nessuno è estraneo. La sua ricchezza deriva dal mercato, e la crescita è possibile solo nella misura in cui tale mercato cresce. Per vivere rigoglioso questo sistema necessita di una crescita costante e così ad ogni bisogno soddisfatto deve sempre corrispondere un bisogno nuovo, da soddisfare ancora. Siamo ormai capaci di produrre con tale efficienza, che i bisogni basilari potrebbero essere ampiamente soddisfatti da fabbriche automatizzate con pochissimi operatori altamente specializzati. Diventa così necessario creare effimeri bisogni per evitare che il popolo inoperoso viva in peccaminoso ozio, ma venga trattenuto al lavoro, incatenato dai propri desideri iniettati da un pensiero straniero come il ramo domestico innestato in una pianta selvatica. Ed è proprio questo mondo che il nostro terrorista rivoluzionario aggredisce, è questo che lui distrugge.
Togliendoci i viaggi, i contatti umani, le masse
brulicanti nei bazar, la euforia della creazione di sempre nuovi bisogni.
Interrompe in uno schema in cui nulla deve sopravvivere troppo a lungo perché
saturerebbe il mercato, dove una automobile deve essere cambiata ogni tre anni,
costi quel che costi. E così quel malandrino riporta il mondo indietro, toglie
ricchezza e costringe l’uomo a nuove fatiche, lavori e penurie. Equanimemente
lo spettro si appresta a distribuire una democratica povertà, di affetti e di
beni, una privazione sistematica, un isolamento sociale nutrito di quella paura
esistenziale che crea i miti e le superstizioni. La paura regna sovrana, le
reazioni spesso inconsulte, poco riflettute ed estemporanee dei nostri
governanti ne sono l’esempio più evidente. Nascono le cure miracolose, come
durante la peste del 1300, alcune sensate, altre totalmente folli, ma tutte
accomunate da una caratteristica: la retrocessione del pensiero scientifico,
come codificato da Cartesio e l’illuminismo settecentesco, di fronte alla
inferenza intellettuale, ideologica, ove la speranza salvifica genera
teleologiche convinzioni. Il vaccino ci salverà tutti, si dice. Speriamo. Ma quando
si puntualizza la povertà di dati scientifici, la risposta è che si sono
vaccinati il Presidente americano e questo o quell’attore famoso. La scienza
provata retrocede ed avanzano inferenza sociale, convinzioni e speranze. Tutto
questo è opera del virus? No di certo. La nostra società sta facendo il suo
percorso da molti anni e i punti fondamentali sono evidenti da tempo. Per
citarne alcuni: il trasferimento della ricchezza da terriera ad economico
produttiva nel periodo da fine Ottocento alla Seconda guerra mondiale, è ora
seguito da un secondo trasferimento dall’economia produttiva alla finanza
internazionale, completando il percorso di immaterializzazione. Con il
contemporaneo trasferimento della ricchezza personale e relativa disponibilità
economica dalle persone fisiche alle persone giuridiche, ove la più diffusa
forma di godimento di un bene non sarà più il possesso, ma l’affitto sotto
varia forma.