LEGGE DI BILANCIO
di Alfonso Gianni
Un coacervo di norme senza respiro politico.
Habemus legem. Non
c’è da esultare, ma comunque la legge di bilancio verrà approvata entro la fine
dell’anno, malgrado fosse stata presentata in Parlamento con inconsueto ritardo,
evitando così il temutissimo esercizio provvisorio. Non sarebbe stato un buon biglietto
da visita per Bruxelles in attesa dei fondi del Recovery. Gli esponenti della maggioranza hanno voluto sottolineare
che il testo del governo è stato arricchito da una discussione bipartisan in cui finalmente il
Parlamento ha potuto dire la sua, dopo che ha passato un anno a convertire
decreti del governo e a subire ripetuti voti di fiducia. Vero, ma solo per un
ramo del Parlamento. La Camera ha discusso, il Senato ha ratificato. Lo stesso
Presidente della Repubblica, che avrebbe secondo la Costituzione un mese per
farlo, promulgherà la legge nell’attimo di un sospiro. In sostanza si è
realizzata una sorta di monocameralismo di fatto, distorto e distorcente,
oppure, se si preferisce, di un’anticipazione della entrata in vigore della riduzione
di un terzo dei parlamentari infierendo particolarmente sul funzionamento del
Senato ridotto a un moncherino. Certo non viviamo in tempi normali, solo che
l’eccezione è diventata regola.
È un anno che si vive di provvedimenti aventi
natura finanziaria, questo è il nono. E non è finita, poiché oltre al
tradizionale Milleproroghe a gennaio andrà in scena un altro scostamento di
bilancio per finanziare un nuovo “ristoro”. A dimostrazione della fallacia del
pareggio di bilancio inserito a suo tempo in Costituzione. Secondo l’Istat rispetto
al secondo trimestre 2019 gli occupati sono calati di 841.000 unità, di cui
quasi la metà under 35 e ieri l’ufficio
studi della Confcommercio ha stimato che il tasso di
mortalità delle imprese, rispetto al 2019, risulta quasi raddoppiato per
quelle del commercio (dal 6,6% all’11,1%) e addirittura più che triplicato
per i servizi (dal 5,7% al 17,3%). Ma guardando l’insieme dei provvedimenti
economici lungo l’anno non si scorge che il tentativo di venire incontro
all’emergenza, Difficile non concordare con la tagliente definizione
dell’Ufficio parlamentare di bilancio (organo indipendente istituito nel 2014)
che definisce questa legge “un coacervo di misure senza disegno”. Ove al
tradizionale assalto alla diligenza e alla logica dispensatrice neocorporativa -
la pioggia dei bonus, dagli occhiali
agli smartphone, alcuni persino più
ridicoli che scandalosi - si è aggiunta anche una qualche attenzione ai
problemi sociali per soddisfare le esigenze più immediate, tra conferme e
novità.
Come i 267 milioni destinati all’assegno di ricollocazione esteso ai
disoccupati Naspi e Discoll da oltre 4 mesi e ai cassaintegrati per cessazione
di attività; la proroga di 12 settimane di Cig (ma senza oneri per le imprese);
le facilitazioni per lo scivolo verso la pensione: la nona salvaguardia per gli
esodati; l’istituzione di un fondo di 1 miliardo per il 2021 per l’esonero dai
contributi previdenziali per le partite Iva con calo di un terzo del fatturato.
Viene da chiedersi come tra tante provvidenze non sia riuscito a trovare posto
il rinvio del taglio del fondo per l’editoria. Domanda retorica, essendo la
risposta già nota con la vaga promessa che forse se ne riparlerà nel Milleproroghe.
Mentre per il Sud si ricorre alla solita scelta dello sgravio contributivo per
le aziende del 30% fino al 2029. Ma proprio questa norma mostra il fiato corto
e lo sguardo miope della manovra. Come diceva lo storico Rosario Romeo la
mancata ripresa del Sud - sempre più a fondo in questa crisi - compromette la
ripresa nazionale. Ed è un problema che riguarda i vari sud dell’Europa. Ci
penseranno i fondi del Recovery? C’è
da dubitarne, visto il modo con cui si stanno preparando i progetti, diventati
ostaggio di una lotta scriteriata che vede Renzi protagonista per imporre un
Conte ter, ovviamente senza passaggio elettorale che per l’uomo di Rignano
sarebbe la disfatta. Il tema lavoro si riproporrà in termini esplosivi quando
finirà il blocco dei licenziamenti il 31 marzo, peraltro già bucherellato da
precedenti normative. Lo riconosce lo stesso Conte quando afferma che sulle
politiche del lavoro bisogna fare di più e che non si può affrontare l’anno
entrante con la legislazione vigente e gli stessi ammortizzatori sociali. Ma i buoni
propositi, obbligati a fronte di un’evidenza così clamorosa, non fanno una
politica. Per questo la partita del come utilizzare i fondi europei non si
gioca a tavolino, indipendentemente dal numero di coloro che vi sono assisi.
Senza un conflitto sociale articolato mosso da una proposta alternativa di
sviluppo - dalla conversione energetica (ove il tema dell’idrogeno verde è
strategico) alla rinascita del Sud, passando per il lavoro e
l’universalizzazione del welfare e del reddito di cittadinanza - quella partita
è persa. Intervenire sull’emergenza è inevitabile. Non si può dire a chi
soffre: aspettate il piano generale. Ma restare prigionieri
dell’emergenzialismo significa consegnarsi a un triste declino. Ed è questo il
vero limite originario di questo governo, sorto per evitare soluzioni peggiori,
ma incapace di trovare il filo di una politica degna di questo nome.