IN CANTO
di Paolo Vincenti
Maurizio Nocera
“Fatti di dolore” di Maurizio
Nocera
Fra le
opere di Maurizio Nocera, poliedrico intellettuale salentino, scrittore, poeta,
storico e ricercatore, questa che qui si segnala è forse la sua più importante
e intensa. Compianto (7156 ore) è un
lungo canto d’amore per la madre e il padre di Maurizio Nocera, scomparsi
entrambi a pochi mesi di distanza l’una dall’altro. Come spesso succede, chi
scrive non conosce altro modo per eternare un ricordo che quello di scrivere, a
volte in preda alla commozione ancora viva e palpitante, fogli che poi magari
si strapperanno, a volte con animo più disteso, quando ormai il tempo ha
sedimentato il cordoglio, fogli pieni di parole che sublimano quell’affetto
filiale, facendone poesia, pura e semplice, ma immortale. Un Atto di dolore è
quello che Maurizio Nocera sembra voler recitare attraverso questo sfogo
confessione, lettera aperta alla madre scomparsa, viatico poetico per un’anima
sensibile, onesta, delicata, la “Madre scolpita nel dolore”, come scrive
Roberto Carifi, “l ‘Angelo che veglia fino all’alba, tace sulla soglia”. E un
angelo appare la madre di Maurizio nella ricostruzione del poeta, in questa
elegia dedicata alla sua “Mater dulcissima”, citando Quasimodo, nella quale
Maurizio, come il Cristo dell’Anonimo Romano del Quattrocento, sembra voler
dire: “O Madre, io sono il tuo figliol verace qual partoristi, prendi ormai
conforto”, per sentirsi rispondere dalla madre-Madonna: “Figliuolo, abbraccia
la tua madre cara che in gaudio è volta la sua pena amara”.
Abbastanza travagliata la genesi di questo libro, così
come complesse le vicende editoriali ad esso legate. Questa lunga poesia,
infatti, ebbe in un primo momento il titolo provvisorio di “Madre mia”, poi di
“Lamentazione”, poi di “Lamento” e infine di “Compianto”. Il numero dei versi
variò in seguito alle varie stesure dell’opera, allungandosi via via, fino
all’ultima. La prima edizione di Compianto
(7156 ore) risale al 2002. Venne pubblicato nelle Edizioni del Pescecapone
di Giuseppe Conte. E in questa edizione compariva una Prefazione di Mario
Geymonat, professore di Latino all’Università Ca’ Foscari di Venezia, il quale
scriveva: “C’è musica in questi versi, a volte una semplice ninnananna come per
cullare la moribonda, altre volte un ritmo complesso, simile alle Lamentazioni
cinquecentesche di Pierluigi da Palestrina”. Nel libro, inoltre, Nocera, con un
operare del tutto inconsueto, inserì le lettere ricevute da alcuni eminenti
intellettuali salentini ai quali aveva inviato il testo in visione, onde avere
dei consigli in merito. La prima lettera è quella di Mario Marti, il quale
aveva ricevuto due testi da Nocera, un primo che Marti indica come Redazione A, dal titolo “Questa madre”, già
pubblicato sulla rivista “Foglie di noce marcite” di Vignacastrisi, un secondo,
appunto l’inedito, che Marti indica come Redazione
B. Marti dà dei preziosi consigli all’autore, di carattere più che altro
stilistico. A completare la lettera di Marti viene pubblicato anche il testo
“Questa madre”, precedente a “Compianto”, quasi a permettere anche al lettore
più esperto di tracciare un parallelismo fra le due versioni della lamentazione
e quindi un confronto. La seconda
lettera inserita è di Ennio Bonea, il quale scrive a Maurizio: “il tuo pianto
del figlio mi ha richiamato, in maniera coercitiva il pianto di Iacopone sul figlio, bianco
e vermiglio”. E ancora una lettera di Donato Valli, il quale scrive: “Il
valore del componimento è determinato anche dal suo equilibrio stilistico,
mediato tra movimenti di popolare cantilena, echi di alti modelli letterari,
archetipi di una antropologia mediterranea e meridionale”.
Nocera inoltre aveva
inviato il testo a Nicola G. De Donno, il quale aveva fatto pervenire le
proprie riflessioni quando ormai il libro era stato pubblicato. Sicché Maurizio
decise di pubblicare il testo di De Donno sulla rivista della Società di Storia
Patria, sez. di Maglie, “Note di storia e cultura salentina” nel 2005. Nello
stesso anno, Compianto venne
ripubblicato dalle prestigiose Edizioni Tallone di Alpignano (Torino) in veste deluxe, rarità per bibliofili. Infatti
il libro, dato il suo grande valore economico, venne stampato in un numero
limitato di copie, solo 103, composte a mano con i caratteri di Alberto
Tallone, di cui 85 su carta Magnani di Pescia, 10 su Amatruda di Amalfi e le
rimanenti su carte esotiche della Cina e del Giappone. Un volume molto
particolare, quindi, che ora soltanto pochi fortunati amici di Maurizio
possiedono, come ad esempio Francesco Saverio Dodaro, il quale scrive in una
lettera indirizzata a Nocera e pubblicata sulla rivista “Arte e Luoghi”, Lecce,
del gennaio 2007: “La pagina di Tallone è un capolavoro. Palpita. Pagina
antropica, attraversata dai segni: un perfetto sistema venoso. Parole vive.
Vagiti. Urli. Che emozione l’ascolto! Che sensazione carezzare la parola
impressa sul corpo. Sentirne il respiro”. Nel volume compariva la “Prefazione”
di Mario Geymonat e una nuova “Postfazione” di Sergio Vuskovic Rojo, Professore
di Filosofia all’Università Playa Ancha di Valparaiso (Cile). Ed eccoci giunti
a questa ultima versione, pubblicata nella collana “I Poeti de L’Uomo e il
Mare” (Tuglie 2009). Il nuovo titolo dato da Nocera è (F)atti di dolore. In questa più completa versione, compare
innanzitutto una “Avvertenza” di Maurizio Nocera. Poi viene ripubblicato lo
scritto di Nicola G. De Donno, che fa una lunga disamina del poema, ricca di
suggestioni, con una dotta esegesi del testo, linguistica, sintattica,
stilistica. Spiega Nicola De Donno: “L’autore del poema è Maurizio Nocera,
artista, scrittore, poeta di largo ingegno e versatile cultura. Nella quale
egli include, per niente secondari, i valori della sua famiglia, di cui
continua a sentirsi partecipe. Immensa gli era, e gli è, la venerazione della
mamma, idolatrata. In due tempi, novembre 2000 e giugno 2001, cioè in circa 8
mesi, Maurizio, l’autore, ha dedicato alla mamma non un solo poema ma due.
Evidentemente ha scartato il primo poema, dopo averlo stampato: ne ha certo
sentito una qualche falsità ben lontana dalla idolatria verso la mamma. Il
titolo del primo poema era Questa madre,
il titolo del secondo è Compianto.
[…] Intercorre, dicevo, una distanza di soli 8 mesi: ma è una distanza che
vorrei dire abissale. Nella iniziale, Maurizio ha composto un dolore artistico,
letterario: nella seconda, quasi che della prima provi vergogna, egli scoppia
in una forma di dolore più assai che letterario, dolore vero, e con ciò
artisticamente letterario”. E in questo De Donno concorda con Marti che aveva
fatto una analoga osservazione. E poi, più oltre: “Maurizio, autore, ritorna
alla terra perché ritorna alla mamma. Meglio: è la mamma a chiamarlo alla terra
di entrambi. Ciò Maurizio è riuscito a scoprire, di colpo forse, ripensando
definitivamente alla mamma perduta, morta. Oppure in un pensamento ha scoperto
le processioni consacrate alla maestosa, grande statua dell’Addolorata. Nelle
terre del leccese, le imponenti statue delle Vergini vengono dette dei sette dolori, in quanto contengono,
ficcate a corona nei cuori, sette autentiche piccole spade di ferro”. E in questo De Donno ci aveva visto molto
bene tanto che lo stesso autore, Maurizio, scrive, in una nota al testo: “Sui
sette dolori, Nicola G. De Donno coglie nel segno, perché si tratta proprio dei
Sette Dolori dell’Addolorata, nel nome di Maria, la Madonna -mamma di Cristo”.
“Madre / oh madre
mia, / madre di sette dolori, / e di stupendi amori, / tu che la gioia davi, /
tu madre che soffrivi, / sospiravi /”. Questi i versi con cui si apre il
poemetto noceriano, che definirei un moderno epicedio, un canto funebre nel quale
sembra di risentire gli alti lamenti che fino a pochi anni fa nel Salento, con
consumata teatralità, emettevano, sul corpo del defunto, le prefiche, donne specializzate nelle
lamentazioni dietro pagamento, il che ci riporta alla tradizione e alla cultura
classica di cui noi tutti siamo imbevuti. “Madre, / oh madre mia, / madre che
la vita davi, / e che di fiori ti adornavi, / tu che al campo amato dormivi, /
tu che al mercato del venerdì andavi, / i tuoi avi veneravi. / All’incontro con
la Morte / già da tempo t’eri preparata, / tremando come ramoscello di tenero
ulivo. /”. Quando Maurizio scrive: “il tuo ampio ventre di madre grande”,
sembra voler ritornare “un piccolo bambino”, come Joseph Roth in “Dove?”, ma
l’accento acuto della sua disperazione ci fa capire che egli ritiene sia tardi,
“è tardi ormai”, come dice Attila Jòzsef.
Il corpo del libro è costituito dal Compianto, il poema in morte della madre, 7156 ore, in morte del padre, anche qui viene ripubblicata “Questa
madre”, prima stesura di Compianto e
inoltre una poesia dedicata al fratello Silvio Nocera. La lirica A Silvio esprime il dolore dell’autore
di fronte a questa ennesima, devastante perdita.
“Madre, / oh madre mia, madre che bambino mi lavavi, e
che sempre mi asciugavi, tu che il calore davi, tu madre che in silenzio te ne
andavi, mi lasciavi/”. Davvero belli e vibranti, si dipanano lungo le pagine
del poemetto i versi di questo canto monodico, lo scoperto dolore di Maurizio
per la madre che lascia questa terra nel giugno del 2001. Come vibranti,
sebbene più concentrati, sono i versi del poemetto in morte del padre, il quale
si spegne nell’aprile del 2002, seguendo il destino della sua compagna di vita.
Si tratta di un canto continuo, un flusso lungo di
pensieri, di ricordi, nei quali si spiega la lamentazione dell’autore, laddove
i versi hanno spesso e forse volutamente una caduta prosaica (caratteristica
questa di tutte le poesie noceriane) e dove l’inserimento di termini presi dal
parlato quotidiano nonché di lessemi ed anche costruzioni tipicamente
dialettali spezza la cantabilità del poema, ne interrompe la metodicità.
L’autore si abbandona al canto funebre con animo intatto, incorrotto: “Madre, /
oh madre mia, / madre che alle cave di pietra andavi, / e tra le pietre
partorivi, / tu madre che ora immobile stavi, / più non ti sentivo, / tra i
pianti della casa/”. A volte invece è il ritmo a prendere il sopravvento con
frequenti reiterazioni di lessemi (in
primis “madre”, che ritorna ciclicamente in tutto il poema) che si
sciolgono quasi in un mantra, un salmodiare lento e ipnotico che fa venire in
mente, e non potrebbe essere diversamente, il canto delle prefiche di cui abbiamo già detto. Nocera si riappropria di un
sentimento, in questo poemetto in cui più che in altri viene in evidenza la
temporalità e la limitatezza del significante rispetto alla extratemporalità,
all’universalità del significato. Il
vissuto personale dell’autore diventa cioè simbolico e il suo lamento diviene
l’interrogarsi di tutti gli uomini, accomunati da un abbraccio di uguale
destino, meditazione filosofica su un grande tema, la morte, che tutti noi
appassiona e coinvolge. Molto
significative sono le foto che compaiono nel libro e che ritraggono spesso la
madre di Maurizio, il padre, Maurizio bambino con i suoi fratelli, scene di
vita famigliare e lavorativa, immagini bucoliche che ci riportano ad un tempo,
quello della fanciullezza di Maurizio, e ad un paesaggio, quello
tugliese-gallipolino, che sembrano così lontani e diversi dalla facies che hanno assunto oggi. Dopo una poesia di Silvio Nocera e alcune
foto che ritraggono il noto e apprezzato pittore tugliese con le amate civette,
vi è il testo di Maurizio: “T’ho amato / Silvio / oh! Se t’ho amato / e quanto!
/ Testimone mi è la luna / che conosce gli squarci del cuore / lo sgomento
dell’anima / la tristezza della solitudine /”.
Alla fine del libro si trova una “Postfazione” dello
stesso Nocera, il quale riporta in una lunga lista gli autori più importanti
che hanno scritto della perdita della madre: da Sant’Agostino a Giovanni
Pascoli, da Umberto Saba a Leonardo Sinisgalli, da Salvatore Quasimodo a
Giorgio Vigolo, ma anche Franco Fortini, Eugenio Montale, Giuseppe Conte, Carlo
Betocchi, e via dicendo. Così, fra ricordi vicini e lontani, si arriva alla
fine del libro che, sulla quarta di copertina, riporta proprio un olio di
Silvio Nocera, con i suoi caratteristici colori. Sul colophon, in forma di
calice perfetto, c’è scritto: “I poeti de L’Uomo e il Mare, quaderno fuori
collana, stampato a Tuglie nella Tipografia 5 Emme, su carta Old Mill 130 gr,
carattere Garamond, corpo 10, in 300 esemplari fuori commercio, destinati a
parenti e amici di Maurizio Nocera, 3 settembre 2009, in memoria di Silvio
Nocera”. È vero, siamo “fatti di dolore”, ma con il canto degli uomini che
addolcisce la triste ineluttabilità del nostro destino, il dolore, forse, si
può lenire.