FENOMENOLOGIA DEL POLITICO CON LO ZAINETTO
di
Paolo Vincenti
Non so ancora chi voterò alle
prossime elezioni politiche, ma so per certo chi non voterò. Non voterò mai il
politico con lo zainetto. Non si possono vedere questi neo deputati e neo
senatori fedeli adepti del nuovismo, reduci del renzismo, del grillismo, e
insomma di tutti gli “ismi” che infestano la società italiana, questi emergenti
che la riffa della fortuna ha portato agli onori, ma la inarrestabile ruota
porterà presto agli oneri della piccola storia, insomma questi recordmen
dell’attivismo, che girano in bicicletta per le strade di Roma.Ricordo che,
quand’ero al Liceo, il professore di filosofia veniva a scuola la mattina
pedalando allegramente. Oggi molti docenti lo fanno, ma a quel tempo non era
ancora consueto. Così il prof destava le battute salaci e le risa di scherno di
noi ragazzi impudenti perché ritenevamo in qualche modo poco consono, all’alto
ruolo, il mezzo usato. Sbagliavamo naturalmente. Si sa che a quell’età
qualsiasi pretesto è buono per metterla in berta e burletta. Però, un deputato
o un senatore che, occhiali da sole, zainetto in spalla, entra in bicicletta al
Parlamento, no! Dove sono finite le vituperate auto blu? Eppure (ricordate:
“venghino signori venghino!”?), l’ “asta tosta” di Renzi “Teomondo Scrofalo”
qualche anno fa è andata quasi deserta. Dice, sono stati votati proprio perché
scardinano le regole, rompono con il passato, hanno il favore della gente. Va bene, ma io ripenso che la fortuna è una
corsara e il popolo oggi insegue, domani persegue. Infatti, non voglio essere
profeta di sventura, ma già molto sta succedendo. Poi detesto il politico che
cinguetta tutto il giorno. Passi se abbaia, ruggisce, grugnisce, ma cinguettare
no! Il mio politico deve parlare dalla televisione o dalla radio, scrivere sul
giornale, comiziare nelle piazze, ma lasci la gestione dei new media al suo
staff, se ne ha uno. Inoltre, non voterò mai il politico che inizia i suoi
discorsi dicendo: “care elettrici e cari elettori”. Questo è un punto fermo per
me.
Ruffiani, farisei, si sente lontano
un miglio l’odore smielato della moina, dell’affettazione. Basta con queste
ipocrisie linguistiche per accattivarsi il favore dell’elettorato femminile.
Questa prassi, di anteporre il genere femminile a quello maschile, è ormai
dilagante, in tutte le cariche pubbliche e a tutti i livelli. Ho sentito
addirittura un amministratore di condominio che iniziava la riunione esordendo
con: “care condomine e cari condomini”. I
politici 2.0, ancor più le donne che gli uomini, esprimono la volontà di
rompere gli schemi persino nell’abbigliamento, sfidando le regole sul decoro
imposte da certi luoghi istituzionali come le Camere. Il loro ribellismo di
facciata vorrebbe lisciare il pelo all’arrabbiatura della gente (la quale è
incazzata per ben più drammatiche evidenze), e non infrange il luogo comune, ma
anzi finisce con l’onorare quel santuario della convenzione borghese che
vorrebbe demolire. Entrare in jeans in Parlamento o indossando magliette con
improbabili scritte non è da ribelli, è da scemi. Chi scrive avrà indossato giacca
e cravatta, che detesta, due, tre volte in tutta la vita, ma est modus in rebus, ed è una questione
di rispetto per i poveri sarti che cuciono gli abiti “che fanno il monaco”, i
quali rischiano di restare senza lavoro. Diversamente dal governante lezioso e politically correct, ma parimenti
detestabile, è il politico rissoso, volgare, che espone cartelli infamanti e
triviali nelle aule parlamentari, mima con gesti osceni l’atto o gli organi
sessuali, si azzuffa e si picchia a sangue, scatena risse, pestaggi e
“sceneggiate napoletane”, sotto gli occhi vitrei delle telecamere, dei commessi
parlamentari e degli studenti in gita scolastica (per questi ultimi credo ormai
che il Parlamento sia una delle mete più gettonate: ci vanno con più entusiasmo
che allo zoo o al circo, perché lo spettacolo offerto dagli onorevoli babbuini
e bertucce è di gran lunga più
esilarante). Ma il politico che non sia una macchietta, un personaggio da
avanspettacolo, dovrebbe saper dominare le passioni, vincere la rabbia per gli
insulti ricevuti da qualche scalmanato collega e mantenere un certo contegno.
Non deve far comandare il cuore, insomma, ma la ragione. Non mi
piace quello che, passando da una carica ad un’altra superiore, è
vendicativo. Come dice B. Gracian,
scrittore spagnolo del Seicento, il politico dovrebbe essere come Luigi XII di
Francia che Gracian porta a paradigma della gentilezza della nobiltà francese.
Infatti quello, che da duca era stato molto ingiuriato, una volta divenuto re,
trasformò la vendetta in generosità, affermando “il re di Francia non vendica
le offese fatte al duca D’Orleans!”: ma vai a spiegare questo grande detto ai
nostri piccoli e rancorosi politici. Non mi piace il politico che è innamorato
del suo ruolo di oppositore e spara a zero sul sistema di cui pure fa parte.
C’è chi si trova talmente a proprio agio, come censore e moralizzatore, che
sguazza nel putridume, pur di continuare a svolgere quel compito, vede sempre
il male anche nel bene e se proprio non riesce a trovar motivo di concionare,
leticare, è capace di inventare e di gabellare una buona azione per qualcosa di
squallido e oscuro, pur di fare il Momo maledico e irriverente. Ma anche in
questo caso, la puzza di affettazione si sente lontano un miglio. Non si può
perdonare il politico che ruba su un appalto milionario, peggio se l’appalto
riguarda la Sanità, ma non si può nemmeno perdonare quello che fa la cresta
sugli scontrini del ristorante. Come può un politicuccio micragnoso governare
una città, una regione o la nazione?
Il buon politico deve pensare alla grande
e agire di conseguenza. Ecco, bisogna
riconoscere che il vituperato Renzi, con la sua demagogica e autodistruttiva
operazione di rottamazione, ha contribuito a svecchiare la politica italiana.
Oggi la classe dirigente è costituita da gente mediamente più giovane
anagraficamente. Ad un certo punto, è sembrato davvero che alla strategia di
Renzi perfettamente si attagliasse quanto il suo illustre concittadino
Machiavelli scriveva nel “Principe”, a proposito della Fortuna: “perché la
fortuna è donna, ed è necessario, volendola tenere sotto, batterla e urtarla. E
si vede che la si lascia più vincere da quelli che freddamente procedono. E
però sempre, come donna, è amica dei giovani, perché sono meno rispettivi, più
feroci, e con più audacia la comandano”. Ma il Botero, nei suoi Detti
memorabili, attribuisce al Marchese di Marignano, cioè Giovanni de’ Medici,
questa frase: “alcuni, scottati si dolgono che le manchi in costanza quel
che ha troppo in femminilità… non solo ha l’instabilità della donna, ma la
leggerezza della giovinetta nel mostrarsi benigna ai giovani”. In
effetti Renzi è esemplarmente restato vittima della Fortuna. Quel che voglio
dire è che oggi il fattore anagrafico è diventato un alibi che serve a coprire
inadempienze, deficienze. “Stanno sbagliando, sì però sono bravi, solo hanno
poca esperienza”. Detesto questo
giovanilismo che finisce ad impillaccherare serietà, competenza, studio, rigore
di alcuni statisti del passato (anche se pochi) davvero degni di questo nome.
Dice: “preferisco che siano giovani e belli, se proprio devo farmi prendere per
il culo!” Eh no, il mio orgoglio si ribella! Io, se proprio devo esser gabbato,
preferisco farmi turlupinare da un sessantenne, settantenne, che ne sappia
molto più di me, piuttosto che da quattro mocciosi rampanti.
Ruffiani, farisei, si sente lontano un miglio l’odore smielato della moina, dell’affettazione. Basta con queste ipocrisie linguistiche per accattivarsi il favore dell’elettorato femminile. Questa prassi, di anteporre il genere femminile a quello maschile, è ormai dilagante, in tutte le cariche pubbliche e a tutti i livelli. Ho sentito addirittura un amministratore di condominio che iniziava la riunione esordendo con: “care condomine e cari condomini”. I politici 2.0, ancor più le donne che gli uomini, esprimono la volontà di rompere gli schemi persino nell’abbigliamento, sfidando le regole sul decoro imposte da certi luoghi istituzionali come le Camere. Il loro ribellismo di facciata vorrebbe lisciare il pelo all’arrabbiatura della gente (la quale è incazzata per ben più drammatiche evidenze), e non infrange il luogo comune, ma anzi finisce con l’onorare quel santuario della convenzione borghese che vorrebbe demolire. Entrare in jeans in Parlamento o indossando magliette con improbabili scritte non è da ribelli, è da scemi. Chi scrive avrà indossato giacca e cravatta, che detesta, due, tre volte in tutta la vita, ma est modus in rebus, ed è una questione di rispetto per i poveri sarti che cuciono gli abiti “che fanno il monaco”, i quali rischiano di restare senza lavoro. Diversamente dal governante lezioso e politically correct, ma parimenti detestabile, è il politico rissoso, volgare, che espone cartelli infamanti e triviali nelle aule parlamentari, mima con gesti osceni l’atto o gli organi sessuali, si azzuffa e si picchia a sangue, scatena risse, pestaggi e “sceneggiate napoletane”, sotto gli occhi vitrei delle telecamere, dei commessi parlamentari e degli studenti in gita scolastica (per questi ultimi credo ormai che il Parlamento sia una delle mete più gettonate: ci vanno con più entusiasmo che allo zoo o al circo, perché lo spettacolo offerto dagli onorevoli babbuini e bertucce è di gran lunga più esilarante). Ma il politico che non sia una macchietta, un personaggio da avanspettacolo, dovrebbe saper dominare le passioni, vincere la rabbia per gli insulti ricevuti da qualche scalmanato collega e mantenere un certo contegno. Non deve far comandare il cuore, insomma, ma la ragione. Non mi piace quello che, passando da una carica ad un’altra superiore, è vendicativo. Come dice B. Gracian, scrittore spagnolo del Seicento, il politico dovrebbe essere come Luigi XII di Francia che Gracian porta a paradigma della gentilezza della nobiltà francese. Infatti quello, che da duca era stato molto ingiuriato, una volta divenuto re, trasformò la vendetta in generosità, affermando “il re di Francia non vendica le offese fatte al duca D’Orleans!”: ma vai a spiegare questo grande detto ai nostri piccoli e rancorosi politici. Non mi piace il politico che è innamorato del suo ruolo di oppositore e spara a zero sul sistema di cui pure fa parte. C’è chi si trova talmente a proprio agio, come censore e moralizzatore, che sguazza nel putridume, pur di continuare a svolgere quel compito, vede sempre il male anche nel bene e se proprio non riesce a trovar motivo di concionare, leticare, è capace di inventare e di gabellare una buona azione per qualcosa di squallido e oscuro, pur di fare il Momo maledico e irriverente. Ma anche in questo caso, la puzza di affettazione si sente lontano un miglio. Non si può perdonare il politico che ruba su un appalto milionario, peggio se l’appalto riguarda la Sanità, ma non si può nemmeno perdonare quello che fa la cresta sugli scontrini del ristorante. Come può un politicuccio micragnoso governare una città, una regione o la nazione?