IL GABBIANO MORTO
di
Marco Vitale
Marettimo.
Non avevo mai visto un gabbiano morto. Ne ho visti e ammirati nelle più diverse
situazioni. Li ho visti sfrecciare con velocissimo volo trasversale o salire
serenamente trasportati dalle correnti ascensionali, o planare, senza un
battito d’ali, seguendo le correnti discendenti. Li ho visti azzuffarsi in
acqua per strapparsi i pezzetti di pane che buttavamo dalla barca. Li ho visti
all’alba, col sole bruciante, al tramonto. Una volta vidi un gabbiano notturno.
Ero convinto che, di notte, i gabbiani, come la maggior parte degli uccelli
diurni, si rifugiassero nella loro “cuccia”. E invece in una notte buia, senza
luna, mentre ammiravo il cielo stellato dal terrazzino alto, vidi sopra di me
come l’esplosione di un lampo bianco. Era un gabbiano che sfrecciava
velocissimo nel buio, donandomi una grande sorpresa ed emozione. Li ho visti,
con il binocolo, nel tempo della cova, sulle rocce di Cala Bianca, quando il
solo avvicinamento in barca li mette in grande allarme. Ma poi li ho visti, da
vicino, galleggiare sull’acqua, per guidare i piccoli, da poco nati, ai primi contatti
con l’acqua e con il volo. Imparano prestissimo, diventano rapidamente
autonomi, facendo presto squadra con i loro coetanei. Questi gruppi di
giovanissimi che galleggiano sull’acqua sono deliziosi, perché sono meno
diffidenti sicché, nuotando silenziosamente e lentamente, è possibile
avvicinarli molto da vicino. Una volta riuscii a sfiorarne uno con la mano e fu
un’altra grande emozione. Naturalmente ero ben consapevole che i gabbiani tanto
sono meravigliosi in volo tanto sono goffi sul terreno. Per fortuna sulla
nostra isola gabbiani che si muovono sul terreno quasi non si vedono. Ciò è
dovuto principalmente al fatto che nessuno dà loro da mangiare sul terreno.
Qualche volta capita di vedere qualche gabbiano che zampetta sul muretto sul
mare o su qualche scoglio o sul bordo di qualche barca. Ma sono piccoli
movimenti che si sciolgono rapidamente in un nuovo volo. Il gabbiano è stato
concepito e costruito solo per volare. Per questo, in tanti decenni, avendo
osservato migliaia di gabbiani, non mi era mai capitato di vederne uno morto.
Certamente anche i gabbiani muoiono, ma, pensavo, solo per vecchiaia, quando
decidono loro e muoiono in mare, il loro immenso cimitero. E, invece, questa
settimana ho visto un gabbiano morto, anzi l’ho visto morire.
Tre
giorni fa, tornando dalla barca, verso il tramonto, nella nostra stradina battuta
sia dai venti del Nord che da quelli del Sud, trovai un piccolo assembramento
di turisti che giocavano con un gabbiano che si era infilato zampettando nella
nostra stradina. Capii subito che la presenza in un luogo così anomalo di un
gabbiano che cercava, faticosamente, di zampettare era dovuta semplicemente al
fatto che il gabbiano era molto malandato. Non aveva più le forze né per
volare, né per procurarsi da solo il cibo. Perciò che gli dessero qualcosa da
mangiare poteva essere solo tristemente utile. “Lo abbiamo adottato” mi disse
un giovanottone del Nord con un sorriso ebete. Dal colore delle penne dedussi
che il gabbiano malato era giovane. La sua straordinaria magrezza dimostrava
che era sofferente da parecchio tempo. Si reggeva su una zampa sola. L’altra la
trascinava a stento. Non sembrava ferito. Probabilmente era gravemente ammalato
e non era bello trattarlo come un giocattolo, come accadde per due giorni.
Stamattina, alzandomi all’alba, l’ho trovato rannicchiato sul gradino esterno
di una casa nostra dirimpettaia. Sembrava morto ma era vivo, perché alzò la
testa e mi guardò con uno sguardo dolcissimo. La proprietaria di quella casa è
una donna brusca e sgradevole. Se lo avesse trovato in quella posizione, sul
suo gradino di casa, lo avrebbe certamente cacciato con le brutte maniere, probabilmente
aiutandosi con una scopa. Il piccolo gabbiano, quasi consapevole di ciò, si
alzò e faticosamente scese dal gradino e dal marciapiede e, con grande lentezza
e difficoltà, attraversò la stradina e incominciò a salire sul marciapiede
opposto. Fece un enorme sforzo per salire, prima con una zampetta e poi con
l’altra, sul marciapiede. Arrivato si distese sul marciapiede come per
riposarsi. Socchiuse gli occhi ma la testolina restava eretta, e il vento di
tramontana che si infilava nella nostra stradina era fresco ma gradevole. Forse
il piccolo pensava ai compagni di volo e di giochi insieme ai quali, da poco,
aveva imparato a galleggiare sull’acqua ed a volare. Rientrai in casa per pochi
minuti. Quando ritornai lo vidi nella stessa posizione, ma con il capino
ripiegato. Era morto. E così restò, morto e abbandonato, per una intera
giornata. Solo un bambino, passando, disse: poverino.