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UNA NUOVA ODISSEA...
DA JOHANN GUTENBERG A BILL GATES
Cari lettori, cari collaboratori e collaboratrici, “Odissea” cartaceo ha compiuto 10 anni. Dieci anni di libertà rivendicati con orgoglio, senza chiedere un centesimo di finanziamento, senza essere debitori a padroni e padrini, orgogliosamente poveri, ma dignitosi, apertamente schierati contro poteri di ogni sorta. Grazie a tutti voi per la fedeltà, per la stima, per l’aiuto, per l’incoraggiamento che ci avete dato: siete stati preziosi in tutti questi dieci anni di vita di “Odissea”. Insieme abbiamo condiviso idee, impegni, battaglie culturali e civili, lutti e sentimenti. Sono nate anche delle belle amicizie che certamente non saranno vanificate. Non sono molti i giornali che possono vantare una quantità di firme prestigiose come quelle apparse su queste pagine. Non sono molti i giornali che possono dire di avere avuto una indipendenza di pensiero e una radicalità di critica (senza piaggeria verso chicchessia) come “Odissea”, e ancora meno quelli che possono dire di avere affrontato argomenti insoliti e spiazzanti come quel piccolo, colto, e prezioso organo. Le idee e gli argomenti proposti da "Odissea", sono stati discussi, dibattuti, analizzati, e quando occorreva, a giusta ragione “rubati”, [era questa, del resto, la funzione che ci eravamo assunti: far circolare idee, funzionare da laboratorio produttivo di intelligenza] in molti ambiti, sia culturali che politici. Quelle idee hanno concretamente e positivamente influito nella realtà italiana, e per molto tempo ancora, lo faranno; e anche quando venivano avversate, se ne riconosceva la qualità e l’importanza. Mai su quelle pagine è stato proposto qualcosa di banale. Ma non siamo qui per tessere le lodi del giornale, siamo qui per dirvi che comincia una una avventura, una nuova Odissea...: il gruppo redazionale e i responsabili delle varie rubriche, si sono riuniti e hanno deciso una svolta rivoluzionaria e in linea con i tempi ipertecnologici che viviamo: trasformare il giornale cartaceo in uno strumento più innovativo facendo evolvere “Odissea” in un vero e proprio blog internazionale, che usando il Web, la Rete, si apra alla collaborazione più ampia possibile, senza limiti di spazio, senza obblighi di tempo e mettendosi in rapporto con le questioni e i lettori in tempo reale. Una sfida nuova, baldanzosa, ma piena di opportunità: da Johann Gutenberg a Bill Gates, come abbiamo scritto nel titolo di questa lettera. In questo modo “Odissea” potrà continuare a svolgere in modo ancora più vasto ed efficace, il suo ruolo di laboratorio, di coscienza critica di questo nostro violato e meraviglioso Paese, e a difenderne, come ha fatto in questi 10 anni, le ragioni collettive.
Sono sicuro ci seguirete fedelmente anche su questo Blog, come avete fatto per il giornale cartaceo, che interagirete con noi, che vi impegnerete in prima persona per le battaglie civili e culturali che ci attendono. A voi va tutto il mio affetto e il mio grazie e l'invito a seguirci, a collaborare, a scriverci, a segnalare storture, ingiustizie, a mandarci i vostri materiali creativi. Il mio grazie e la mia riconoscenza anche ai numerosi estimatori che da ogni parte d’Italia ci hanno testimoniato la loro vicinanza e la loro stima con lettere, messaggi, telefonate.
Angelo Gaccione
LIBER
L'illustrazione di Adamo Calabrese
FOTOGALLERY DECENNALE DI ODISSEA
Buon compleanno Odissea
lunedì 31 gennaio 2022
LA SCOMPARSA DI CRISTINA ANNINO
Ma anche altri sono stati i miei interventi, che
sarebbe immodesto e fuori luogo qui indicare, in suo favore. Sul piano
personale, la nostra conoscenza si era fatta meno vaga al tempo del suo
trasferimento a Milano, purtroppo durato troppo poco. Cristina era andata a
stabilirsi in corso di Porta Ticinese, tra le Colonne di San Lorenzo,
Sant’Eustorgio e la Darsena. Un posto dei più autenticamente e storicamente
milanesi della città. Certo non le dispiaceva la vivacità multiforme del
quartiere, che anch’io amo molto. Ogni tanto andavamo insieme per un aperitivo
o un pranzetto proprio alle Colonne, cosa che ricordo con piacere. Ma purtroppo
non si era mai del tutto sentita a suo pieno agio nella nostra città, lei che
era toscana e a lungo era vissuta a Roma. Così decise di cambiare nuovamente
aria dopo troppo pochi anni e così, da allora, ci siamo quasi persi di vista. E
oggi che se ne è andata ancora di più me ne rincresce. Ciao Cristina, sempre
con affetto.
L'opinione
VENTI DI GUERRA IN UCRAINA
di Vincenzo Brandi
Roma. I venti di guerra che si
intensificano nella zona di frontiera tra Russia e Ucraina rischiano di
degenerare in uno scontro globale tra grandi potenze militari con conseguenze
nefaste per tutta l’umanità.
Questa crisi ha le sue radici profonde nella politica
aggressiva attuata già da 30 anni dagli USA e della NATO consistente nel
portare i confini della NATO a ridosso della Russia alle cui frontiere vengono
ammassate truppe (tra cui anche truppe italiane, oltre che statunitensi) e
impiantate nuove basi militari fornite di missili puntati sulla Russia.
L’ultimo e più grave episodio, gravido di pericolose
conseguenze, è avvenuto nel 2014 quando il governo neutrale dell’Ucraina –
regolarmente eletto in regolari elezioni – che si sforzava di avere relazioni
amichevoli e corrette sia con la Russia che con l’Occidente, è stato abbattuto
dal colpo di stato di Piazza Maidan. A questa operazione, sponsorizzata dai
servizi segreti occidentali ed in particolare da quelli statunitensi, hanno
partecipato attivamente bande armate appartenenti a due formazioni apertamente
naziste, i cui militanti armati si distinguono per i simboli simili alle
svastiche che portano sulle braccia e sulle loro bandiere.
Ne è nata una guerra civile che si è conclusa con gli Accordi di Minsk, che
prevedevano un’ampia autonomia per le regioni orientali dell’Ucraina abitate da
Russi, accordi che non sono mai stati rispettati.
Dopo un periodo turbolento ed incerto, ma in cui i
pericoli di guerra globale sembravano lontani, improvvisamente il presidente
“democratico” Biden ha dato una forte accelerata alle tensioni allo scopo di
far entrare ufficialmente l’Ucraina nella NATO.
Ha lanciato appelli allarmistici e mandato armi e truppe nel paese.
Contemporaneamente, persino dall’altra parte del mondo sono state fatte
provocatorie “esercitazioni” navali anche nei mari cinesi, per ammonire la
Cina. I paesi europei della NATO, tra cui l’Italia, che non ha più un solo
leader politico che si rispetti, seguono pedissequamente la politica USA.
Solo forse la Germania, che ha concluso importanti accordi con la Russia
assicurandosi un approvvigionamento abbondante di gas combustibile attraverso
il gasdotto North Stream, sembra premere per una politica meno aggressiva.
Anche la Turchia si offre come mediatrice avendo buoni rapporti con la Russia,
e forse sottobanco anche la Grecia che ha avuto sempre un rapporto speciale con
la Russia. Ѐ
necessario premere sui nostri governanti perché frenino le provocazioni
bellicose del grande fratello USA che ci espone a pericoli di guerra ed anche
ad una grave crisi delle economie europee che hanno tutte (in particolare anche
l’Italia) ottimi rapporti commerciali con la Russia, rapporti che sarebbero
interrotti.
Si continuano a denunciare spostamenti di truppe russe (si badi bene:
all’interno di un paese sovrano!), ma non ci si chiede cosa dovrebbe fare un
paese che si sente minacciato ed accerchiato da una corona di basi militari e
missili puntati su Mosca e San Pietroburgo, posti a pochi chilometri dai propri
confini. Se basi e missili fossero posti anche all’interno dell’Ucraina (paese
legato alla Russia da più di 1000 anni!) dopo una sua adesione alla NATO, la
situazione diverrebbe gravissima.
SCELTE
di
Fulvio Papi
Gabriele
Scaramuzza ci ha regalato ancora una volta un bellissimo libro, il sentiero
dominante della sua esperienza (Scelte,
Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2021) in uno stile critico/narrativo come si è
selezionato nel suo lungo percorso di teorico di filosofia dell’arte: la
coesistenza di tratti di estetica, di critica, di memorie il cui vissuto
ritorna con il suo sentimento, la saggezza astratta che si incarna nella parola
vivente, poiché, in verità, non vi è altro modo perché essa possa rendersi
manifesta. La
vita del concetto è molto più complicata rispetto a chi in esso vuole vedere
solo il tronco di faggio centenario. Questa descrizione è molto povera, ma
forse riesce a farsi udire dal lettore nel suo pacato circuito. Quanto
a una interpretazione più complessiva, dico di due temi dominanti il libro.
L’uno è la tragica opposizione tra la morte voluta da Primo Levi e la vita
ritrovata di Liliana Segre. Nel loro tempo più giovanile vi è in comune lo
sterminio nazista dei cittadini ebrei, la criminale passione antisemita che
nasce da una o da più forme dell’antisemitismo, demone che è un senso di
naturale dominio nella propria anima perversa. Primo
Levi percepisce negli anni della sua vita scampata alla strage il ritorno dello
spirito distruttivo del nazismo con un linguaggio che oscuramente ma
sicuramente ne riporta il senso: un occulto destino che segna il cammino della
nostra vita. È un tempo circolare che ci coinvolge in ogni caso senza
possibilità di scambio. Il suo rifiuto radicale è dunque la morte.Al
contrario il caso di Liliana Segre, che risponde agli incubi della memoria con
una nuova invenzione della vita, la memoria tragica diviene il richiamo, per il
superstite, alle pressioni dell’esistenza nel quale ritrovare i doni
dell’esistenza. La testimonianza diviene ragione di un nuovo coraggio del
sapere, della bellezza, del senso della vita.Il
secondo elemento centrale del libro di Scaramuzza affronta il tema
dell’oggettività suprema dell’arte che può nascere dalla vergognosa e infame
scelta dell’ideologizzazione del suo autore.Semplificando
un po’, l’esempio è Wagner. La sua musica apre un’epoca nuova dell’arte che
informa gran parte della modernità, rende prossimo e sensibile il sublime (se
così si può dire). Ma nel suo animo è servo di un antisemitismo sulla strada
ideologica che conduce allo sterminio nazista. Come possono coabitare nella
stessa figura una coesistenza che unisce una antinomia morale. Il problema pare
poco solubile. Eppure penso che questa situazione possa accadere perché la
persona, il grande artista soprattutto, può far vivere in se stesso identità
opposte.Il
problema è rendersi conto, detto razionalmente, che le proprie prassi non sono
affatto un tutto armonico. Le possibilità simboliche sono plurali e l’una può
tacitare l’altra quando domina la scena.Andassi
a fondo dovrei parlare di linguaggi che sono una realtà complessa, che fa
dell’unità identitaria di un uomo un musicista sublime e uno sporco antisemita.
Se andassi a fondo, direi che questa antinomia appartiene all’accadere
musicale, ma non (per quanto ne so) alla letteratura, dove un’opera può
mostrare un uomo sul fronte di un proletariato povero e oppresso in un’opera, e
in un’altra un infame persecutore di ebrei. In più, che il linguaggio si
ricorda proprio l’unità dello scrittore, nel suo interiore colloquio etico. Ricordate
Céline?
Gabriele
Scaramuzza ci ha regalato ancora una volta un bellissimo libro, il sentiero
dominante della sua esperienza (Scelte,
Mimesis edizioni, Milano-Udine, 2021) in uno stile critico/narrativo come si è
selezionato nel suo lungo percorso di teorico di filosofia dell’arte: la
coesistenza di tratti di estetica, di critica, di memorie il cui vissuto
ritorna con il suo sentimento, la saggezza astratta che si incarna nella parola
vivente, poiché, in verità, non vi è altro modo perché essa possa rendersi
manifesta.
Quanto
a una interpretazione più complessiva, dico di due temi dominanti il libro.
L’uno è la tragica opposizione tra la morte voluta da Primo Levi e la vita
ritrovata di Liliana Segre. Nel loro tempo più giovanile vi è in comune lo
sterminio nazista dei cittadini ebrei, la criminale passione antisemita che
nasce da una o da più forme dell’antisemitismo, demone che è un senso di
naturale dominio nella propria anima perversa.
LA POESIA
In tempore clausurae
Claudio Zanini
"Fioritura" 2022
Notturna
fioritura
di steli
taglienti e acuminati
in occluse
stanze di clausura,
infiorescenza
oscura
che oltraggia
ogni chiarore.
Buio intrico
di racemi,
sta negletta
fioritura
in cattività
d’esilio stretta;
oltre sue
inferriate sbarre
siamo noi,
tuttavia, i reclusi
cui della luce
negato è il lume.
Claudio Zanini
"Fioritura" 2022
domenica 30 gennaio 2022
TRANSIZIONE ECOLOGICA
di
Franco Astengo
Non
è a costo zero.
“Piano Ue «Fit for 55», che prevede lo stop
nel 2035 alla produzione dei motori endotermici, transizione verso l’elettrico,
crisi dei chip e prezzi alle stelle di materie prime ed energia cominciano a
mietere vittime tra gli occupati. È il caso di Bosch e Marelli. Entrambi i
gruppi hanno annunciato esuberi e a essere interessati sono 700 dei 1.700
lavoratori dell’impianto Bosch di Bari e 550, tra impiegati e quadri, su un
totale di 7.900 occupati in Italia, per Marelli. La fabbrica Bosch, attiva dal
1999 a Modugno, produce componenti per i motori Diesel ed è la più grande tra
quelle del gruppo in Italia”.
Questa
notizia che abbiamo riassunto in poche righe sta a dimostrare come il discorso
sulla “transizione ecologica” portata sul terreno della necessaria
riconversione industriale rechi con sé problemi molto complessi sia dal punto
di vista della programmazione, dello stare al passo dell’innovazione
tecnologica, dell’aspetto occupazionale. Per l’economia italiana il settore
automobilistico rappresenterà uno dei punti nevralgici della futura situazione
industriale. C’è un virus
che non abbandona il corpo cronicamente debilitato dell’economia italiana:
l’Italia è un paese senza progetto e l’approccio al PNRR fornito dal governo e
dal sistema industriale non può che confermare questo giudizio. La situazione italiana
alla vigilia - appunto – dell’avvio di un processo che dovrà essere di doppia
transizione (ecologica e digitale) può essere, ancora una volta schematizzata
in relazione alla nostra storia industriale dal dopoguerra in avanti. Si tratta
di argomentazioni già sostenute in varie sedi ma mai come in questo caso
“repetita juvant”.
Il punto di partenza non può che essere
quello degli anni ’70:la fase di avvio dello “scambio politico”, attraverso
l’operazione “privatizzazioni” realizzate in funzione clientelare rispetto alla
politica.
Negli anni ’80 le compensazioni delle
perdite avvennero a spese dei contribuenti (ricordate i BOT a 3 mesi?) con la
relativa esplosione del debito pubblico e all’inizio degli anni ’90, finiti i
soldi dello Stato, dichiarati incostituzionali i prestiti, l’IRI trasformata in
S.p.a.
L’esito
più grave della fase dello “scambio politico” infatti, si realizzò in una
condizione di totale dismissione del sistema delle partecipazioni statali (IRI
messa in liquidazione il 27 giugno 2000), mentre stavano verificandosi almeno
quattro fenomeni concomitanti:
1).
L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi
al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di
programmazione;
2).
La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della
produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica.
Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “produciamo cose che
l’indomani non si trovano al supermercato”;
3).
A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo
il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati
d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella
dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati
all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance
progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello
strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università
italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese
assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4).
Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva
obsolescenza delle principali infrastrutture, ferrovie, autostrade e porti e un
utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi
scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo
moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio.
Sono scomparsi principi fondamentali di
programmazione e di intervento pubblico in economia che sono stati affrontati
in un’ottica che tempo addietro l’ex-segretario della FIM-CISL Bentivogli
definì felicemente come keynesismo a fumetti.
Nel
quadro di una resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita
“globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione
dell’economia, “scambio politico”, assenza di una visione industriale,
incapacità di tenere il ritmo dell’innovazione tecnologica hanno rappresentato
fattori che evidentemente continuano a pesare in maniera esiziale sulle
prospettive dell’economia italiana.
TUROLDO
PER IL TRENTESINO DELLA MORTE
Domenica
6 febbraio 2022 alle ore 11 per ricordare il 30° anniversario della morte di
padre David Maria Turoldo, il “Comitato Amici di Turoldo”, i frati della
Basilica di San Carlo al Corso e il “Fogolâr Furlan” di Milano hanno deciso di
dedicargli la Sala ovale della Basilica dove verrà collocata una targa. Avranno luogo proiezioni, eseguiti canti, espresse testimonianze, e sarà celebrata una messa con la presenza del vicario
episcopale come da locandina qui riprodotta. Con le dovute cautele e nella più
assoluta sicurezza collettiva, cercheremo di svolgere al meglio questa giornata
in onore di un religioso, poeta e uomo da noi tanto amato. [A. G.]
sabato 29 gennaio 2022
QUIRINALE
di
Massimo Pamio
Qualche
considerazione sull’elezione del Presidente della Repubblica
L’indecoroso
spettacolo a cui stiamo assistendo in questi giorni in cui i grandi elettori
non riescono a eleggere il Presidente della Repubblica è stato sanzionato da
molti come esemplare immagine dello stato di crisi in cui verserebbe l’attuale
sistema democratico rappresentativo italiano. A mio avviso invece si sta
appalesando sempre di più la crisi del leaderismo, ovvero dell’attuale
inopinata delega che i partiti hanno affidato ai loro capi, responsabili unici delle
scelte e della gestione politica.
La
restrizione del modulo del partitismo al leaderismo è la questione irrisolta del
nostro Paese, che ormai affida le sue sorti agli umori personali. Evoca lo
stantio ricordo di monarchie e dittature.
A
che cosa è dovuto il passaggio dal partitismo al leaderismo? Alla
superficialità che proviene dalle esigenze dei tempi che l’attuale società
turbocapitalista impone, a tutto detrimento della vita riflessiva e molto più
consapevole che la vita sociale e il bene comune richiedono. Il leaderismo
porta inevitabilmente al prevalere degli interessi egoistici e privati e alla
formazione di ristretti centri di potere che vanno a occupare tutti i centri e
a dirigere l’intera dinamica sociale, creando squilibri, privilegi intoccabili,
differenze insormontabili, il consenso organizzato attorno a una gestione
sempre più ristretta.
Il
leaderismo è pericolosissimo, e il cosiddetto populismo di cui si è parlato a
proposito del consenso che questi leader riescono a conseguire nelle piazze e
presso le folle, sta a sancire proprio la mancanza di un dialogo democratico che
veniva organizzato fino agli anni Settanta in Italia dai partiti. I partiti non
esistono più, non esistono più i circoli dei partiti, le sedi dove la gente –
il popolo, la base – si riuniva per discutere i problemi della cittadinanza.
Tutto questo è scomparso per motivi legati ai tempi e ai tagli delle spese: gli
affitti delle sedi sono esosi, è meglio dibattere tra pochi leader, tanto il
risultato non cambia. A quanto pare, non è stato così. Ormai c’è un distacco
completo tra il leaderismo e la democrazia. I nodi vengono al pettine: i leader
non convincono più, non riempiono più le piazze, anzi, al contrario, la gente
li contesta, diffidando di loro che non riescono neanche a formulare un nome
apprezzabile per il Quirinale. Come se in Italia non ci fossero migliaia di Donne
e Uomini di alta cultura, dotati di elevate capacità diplomatiche. E di provata
fede antifascista, perché la Repubblica Italiana è nata dalla reazione al
fascismo e la continuità va mantenuta.
MEMORIA
di Giuseppe
O. Pozzi
Non
solo per la memoria ma per interrogarci sul mistero della vita.
Trovo importante celebrare il Giorno
della Memoria ma per ragioni differenti da quelli storici
consueti. Da clinico, so che la memoria è uno strumento delicato dal momento
che serve anche per dimenticare, non per cancellare. La questione è tutta nel
come si dimentica sapendo che l’essere parlante non fa che rimuovere ciò
che non riesce a tollerare. La realtà rimane nella traccia mnestica
ma la verità che sta dentro questa realtà storica, funziona in modo
differente e riguarda il soggetto, uno per uno, con la sua volontà di non
volerne sapere nulla. La verità può essere detta solo a metà, ci ricorda
Jacques Lacan, mentre la realtà è descritta e narrata da qualcuno. È questa
narrazione che fa il bagno costantemente nella verità che il soggetto narra a
sé stesso, prima ancora di narrarlo o testimoniarlo ai suoi simili. Certe
verità, tuttavia, viaggiano più facilmente, sulle ali dell’arte e della poesia
più che su quelli della narrazione storica. Per questo occorre investire nella
cultura e nella formazione di base di un popolo ma attraverso la responsabilità
con l’uno per uno dei soggetti. Non una formazione al sapere ma
una formazione al conoscere. C’è una bella differenza tra conoscere
e sapere. La conoscenza rimanda a Socrate ed al suo/nostro “Conosci te
stesso”. La domanda è sempre e solo quella: Chi sono io? e
ancor di più: Chi sono io per l’Altro? Il Das Ding che
abbiamo perso e che vogliamo ritrovare sta in quelle domande a cui nessun
essere parlante è mai veramente pronto a rispondere ma sono anche le uniche per
le quali vale la pena prepararsi. Il sempre negletto “Estote parati” è a
queste domande che si riferisce. Il sapere è diventato un prodotto
prêt-à-porter, un gadget della modernità per cui si sa tutto di tutti e di
tutto. Si tratta di un sapere che vale ormai sul piano dell’uno per uno ma nel
senso mortifero e dispersivo. Non esiste più la parola del maestro. La mia
parola vale quanto quella dello scienziato premio Nobel dove però, il valore
della parola ha perso il suo legame con ciò che significa. La parola per la
parola che, ormai, non conta più. Amara consolazione che, purtroppo, offre alla
parola/gadget il potere di illudere che si possa fare a meno di varcare la
porta della conoscenza. Porta che, per varcarla, occorre dimostrare a sé stessi
di non avere paura dell’angoscia che ne presidia il passaggio. Un passaggio che
spalanca il buco sull’Ade, come ben riconosce Dante. Senza Virgilio, però, a
nulla può il potere salvifico di Beatrice e, poi, è comunque attraverso di lei
che si arriva a riveder le stelle della conoscenza, le stelle
del chi sono io? e del chi sono io per l’Altro? Mi
è sempre apparsa palpitante e trasparente la frase misteriosa di un’anonima
signora morta nei Gulag sovietici che lascia una testimonianza vitale sul muro
che la seppelliva: Non puoi dire di avere amato fino in fondo, / se non
hai scritto fino in fondo (vedi C. Pieralli, La lirica nella ‘zona’:
poesia femminile nei Gulag staliniani e nelle carceri in https://fupress.com/archivio/pdf/2713_6338.pdf. E ancora, a pag. 233 dello stesso testo:
“Conservare i versi nella memoria era una necessità poiché era la via più
sicura per non incappare in ulteriori vessazioni. Non solo, ci si doveva
salvaguardare anche dalla possibilità che estranei vedessero o carpissero
parole. Una poesia di Platon Nabokov rende bene questa atmosfera, ribadisce la
necessità di non verbalizzare la propria verità che è definita sacra, di non
affidarla alla carta: Con l’anima erra solitario, / che gorgheggi e sbuffi
fino al limite, / ma un sorso di verità sacra / non affidarlo alla carta (Veselaja
2009:22-23). L’insegnamento è sempre orale ed ha valore perché sollecita alla
ricerca del non detto. Per questo ogni lettore, ogni ascoltatore sa di poter
imparare a partire da ciò che non sa. In analogia alla psicoanalisi,
l’analizzante riesce a leggere/ascoltare/incontrare sé stesso e cioè il proprio
inconscio a partire dal suo non sapere chi è. La burocrazia dei protocolli,
anche quelli che riguardano la scuola e la produzione del sapere non possono
nulla di fronte al mistero della vita dell’essere parlante. Occorre lasciare lo
spazio al lettore che vuole leggere ed ascoltare a partire da ciò che non sa,
dal mistero dell’esistenza umana che è il solo, paradossalmente, a poterlo
sostenere.
POESIA
Il girotondo della memoria
Non dimenticare uomo
il tempo dei mostri...
e non fu la favola di
Pollicino e dell'orco...
"Se questo è un uomo"
Non può dirsi tale per
tanto orrore e crudeltà.
Non potrà dirsi mai o
urlarsi nella valle...
anche l'eco è ammutolito.
Come può un uomo
inventarsi la ragione del diverso
per uccidere
fino allo sterminio...
Non lo fa un'ape e non lo fa
un fiore accanto ad un altro fiore...
I fiori sono diversi nel
mazzo colorato
per amore
e per i prati della libertà.
L'arcobaleno ha i colori
della pace e
vola
aquilone del bambino
per farne un uomo
giusto:
un uomo che
dipinge l'aria di pensieri
buoni
si toglie il suo
mantello per coprire chi
ha freddo
offre la sua borraccia a chi
ha sete
dà il suo pane a chi
ha fame.
I bambini prendono
l'arcobaleno per farne
intorno
un girotondo di memoria
per non dimenticare...
Mai!
[Laura Margherita Volante]
venerdì 28 gennaio 2022
SENZA MEMORIA NON C’È FUTURO
Verona. Subito
dopo la Seconda guerra mondiale c’era voglia di dimenticare, voltare
pagina, chiudere con il passato, guardare avanti. I nazisti, fuggendo, avevano
cercato di cancellare, bruciare le prove dei campi di sterminio, far sparire le
tracce. Era meglio, per tutti, fare finta di non sapere.
Se oggi abbiamo memoria di ciò che fu, è solo grazie
ai testimoni, ai sopravvissuti, agli ex deportati, che hanno
conservato indelebili ricordi, che hanno raccontato, che hanno mantenuto
la coscienza vigile. Grazie ad Associazioni come Aned (associazione nazionale
ex deportati nei campi nazisti), Anpi, gli Istituti storici della Resistenza,
oggi conosciamo perfettamente come il nazifascismo pianificò lo sterminio, come
fu possibile che ciò avvenisse nel cuore dell’Europa.
È questa “memoria” che ci spiega come l’Olocausto non
fu opera di un piccolo gruppo di pazzi gerarchi nazisti, ma fu una immensa
operazione politica e bellica preparata, finanziata, sostenuta, attuata
con il consenso di milioni di persone. La tragica Seconda guerra mondiale che
mise in ginocchio l’intera Europa, fu la conseguenza di quella pianificazione.
I treni, i forni crematori, furono il necessario corollario di quella politica
militarista. Questa è la verità che ci tramanda la Memoria.
L’immane massacro di milioni di ebrei, rom,
omosessuali, disabili, malati psichiatrici, oppositori politici, obiettori di
coscienza, disertori, renitenti, e di altri “diversi”, non sarebbe stato
possibile se la furia nazista non avesse trovato terreno fertile
nella collaborazione delle Istituzioni e in buona parte delle
popolazioni dei Paesi occupati. Furono italianissimi funzionari obbedienti alle leggi
razziali del 1938 a predisporre gli elenchi di cui poi si sarebbero avvalse con
facilità le SS per arrestare e deportare. Non sarebbe bastato l'esercito
nazista a sterminare gli ebrei ucraini, ungheresi, rumeni, francesi, greci, e
molti altri ancora, se in ciascuno di quei Paesi il razzismo, l’antisemitismo,
il collaborazionismo, la delazione non avessero spianato la strada agli
assassini in divisa.
Solo con la resistenza nonviolenta, con l'obiezione di
coscienza, con la disobbedienza civile alla barbarie che vuole
tornare, solo con la promozione dei Diritti umani e il rispetto della
Costituzione, sarà possibile fermare lo sterminio oggi ancora in atto. Dobbiamo
recuperare la memoria del passato, per trovare la forza di agire nel presente.
Ciascuno di noi è chiamato oggi a costruire
l'antibarbarie.
Dunque, dobbiamo essere infinitamente grati a quelle
donne e quegli uomini, a chi con la nonviolenza resistente si oppose alla
violenza nazista, a chi non ha taciuto, a chi ha saputo dire no, se oggi
celebriamo la Giornata della Memoria.
Le parole di speranza scritte da Anna Frank
nel suo Diario sono rivolte a noi:
“Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto,
odo sempre più forte l'avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo
al dolore di milioni di uomini, eppure, quando guardo il cielo, penso che tutto
si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che
ritorneranno l'ordine, la pace e la serenità”.
Tocca a noi, qui ed ora, alzare la testa
per guardare il cielo.
[Movimento Nonviolento]
CONVIVERE
CON IL COVID
O ABITUARCI
ALLE MORTI?
Sono 145.159 vittime da febbraio 2020 ad ieri 27 gennaio.
Continua lo scandalo della gestione della pandemia della Giunta Regionale
lombarda. Incurante del caos totale in cui versa la sanità lombarda, Moratti
persegue un’abile strategia: pur se ogni giorno i dati sulle
morti sono pesanti, punta solo ad accreditare la ipotesi che ci parla del
plateau del picco e del lento sfumare dei contagi. Anche se si
verificherà, gli esperti mettono in guardia dall’allentamento della vigilanza e
ci parlano di possibili nuove ondate anche con altre varianti, (vedi la 5°
ondata in Israele) la Giunta invece si prepara a farci convivere con il virus,
rassegnandosi alla sua endemicità. Ci dicano Fontana e Moratti se
convivere con il virus significa:
1) considerare normale, scontata,
inevitabile l’impennata ancora in atto delle morti per Covid (ieri 352 morti in
Italia, 87 in Lombardia);
2) continuare a lasciarlo correre
indisturbato, puntando solo sulla vaccinazione, quando si sa che i responsabili
dei contagi non sono i non vaccinati, ma le migliaia di asintomatici che lo
trasmettono senza saperlo e che continueranno a farlo ancor di più se verranno
attenuate le precauzioni;
3) Continuare a non fare il necessario
nei trasporti locali, nelle scuole, nella sanità programmando un immediato
piano di assunzioni pubbliche. Per queste inadempienze ad ogni ondata si ripete
il fallimento di questa Giunta. È difficile farsi curare, persino avere una
ricetta in tempi accettabili dal Medico di Medicina Generale, quando c’è;
4) occultare e una strage nascosta: il
numero delle morti avvenute di chi non è stato curato a causa del Covid. Eppure
sarebbe facile scoprirlo: la mortalità del 2020-2021 a confronto di
quella del 2019, ci fornirebbe la dimensione dei risultati drammatici di questa
gestione regionale e nazionale subalterna alle multinazionali del Farmaco (non
si toccano i diritti di proprietà dei brevetti), alla Confindustria e alla
Confesercenti (prima la produzione e il profitto, le compere delle feste, etc),
che mina alle fondamenta il nostro Servizio Sanitario Nazionale, lascia in
completa solitudine i cittadini malati e i loro famigliari e li spinge
verso la medicina privata.
Non si deve convivere con il Covid,
bisogna fermarlo a livello mondiale vaccinando al più presto tutta la
popolazione, sospendendo i brevetti sui vaccini e ripristinando in Italia un
servizio sanitario nazionale pubblico in grado di prevenire e curare tutte e
tutti. I soldi ci sono, usiamoli per realizzare veramente l’art 32 della
Costituzione.
Fabrizio
Baggi, segretario regionale
Giovanna
Capelli, responsabile regionale Sanità
Partito
della Rifondazione Comunista
Sinistra Europea Lombardia
Memoria
NON È MAI TROPPA
L’ascolto
della canzone “Aushwitz” - Canzone del bambino nel vento - di Francesco Guccini
mi ha trasportato la mente verso le immagini di film e documentari con
ambientamento sui campi di sterminio, nonché all’incontro ravvicinato con Primo
Levi, sopravvissuto a quella terribile e disumana prigionia insieme a pochi
innocenti compagni di sventura.
Immaginavo
l’odore acre del fumo che saliva lento dai camini dei forni crematori, portando
con sé il dolore lancinante di tanti innocenti bruciati per non lasciare tracce
del loro passaggio terreno. Il vento disperdeva nell’aria in tanti rivoli quel
fumo intenso e cancellava ogni traccia dei misfatti dei carcerieri, mentre
intorno un silenzio surreale sapeva di solitudine, di freddo, di omertà e di
morte.
Quel
fumo concentrava al suo interno il pianto di tanti innocenti col solo torto di
essere vissuti in quel periodo storico e di essere stati dalla parte sbagliata.
Se il fumo e il vento avessero potuto parlare avrebbero detto che il sentimento
di pietà non abitava in quei luoghi di tortura. Tutte quelle povere vittime
erano materia prima da bruciare e alimentare il fuoco di quei forni assassini.
“Il
vento ha fatto il suo dovere di disperdere nell’aria l’appello che qualunque
uomo non ha il diritto di sopprimere la vita di un altro uomo”!
Quell’odore
acre di morte, a distanza di anni, continua a vivere nelle coscienze umane per
evitare che casi simili a quelli citati si possano ripresentare. Non a caso, è
stata istituita la Giornata Mondiale della Memoria per non dimenticare quei
misfatti, che tanto male hanno fatto all’umanità, affinché le nuove generazioni
siano sempre vigili sulla difesa della libertà e che prendano coscienza che la
storia potrebbe ripetersi, se girassero la testa dall’altra parte e lasciassero
fare senza intervenire nell’indifferenza generale.
Quel
vento, che non si è mai calmato, continua a far girare nell’aria mulinelli
intrisi di odore di morte di quei forni crematori: è un monito per ricordarci
che perdere il passato equivale a perdere il futuro. Quei morti innocenti
chiedono che la loro morte non sia stata vana e che sia da ammonimento alle
nuove generazioni per evitare tanti altri morti.
Il
male continua a vivere nelle menti malate e ce ne sono più di quanto uno si
immagini; i nostalgici di quei tempi brutti continuano a soggiornare in mezzo
alle persone sane. L’intelligenza al servizio del male è più efficiente di
quella al servizio del bene. Chi ha avuto la fortuna di ritornare sano e
vivo da quei campi di sterminio ammonisce di tenere sempre acceso il lume della
speranza sulla Giornata Mondiale della Memoria, perché quei fatti potrebbero
ripetersi. In qualche parte del mondo le mamme potrebbero partorire esseri
umani come quelle belve assassine. Poiché la storia si
ripete, bisogna dire al vento di non cancellare mai quel fumo che sapeva di
morte e di dire ai recalcitranti che al posto di quelle vittime innocenti
avrebbero potuto esserci loro, se fossero nati in quel periodo storico e se
fossero appartenuti a quelle categorie di persone sacrificate. Per non fare di
ogni erba un fascio, tanti esecutori erano obbligati a ubbidire ai comandi dei
superiori e non alla loro coscienza, per evitare insubordinazioni punite
severamente.
[Carmine Scavello]
Memoria
LA RESISTENZA CONTINUA OGNI GIORNO
Contro
lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Centinaia
di lavoratori delle fabbriche di Sesto San Giovanni Breda, Falck, Marelli,
Pirelli e di Milano, per essersi opposti al nazifascismo con gli scioperi
contro la guerra chiedendo pane, pace e libertà, furono deportati nei campi
nazifascisti e non ritornarono. Noi come sempre saremo presenti per onorare
tutti gli operai deportati, resistenti e i partigiani di montagna e città. Anche
se quest’anno non ci sarà il corteo, parteciperemo al presidio sabato
pomeriggio al Parco Nord in onore dei lavoratori deportati dai nazifascisti per
aver scioperato contro la guerra e di tutti i partigiani con il nostro
striscione, ricordando anche i nostri compagni deportati e partigiani scomparsi
alcuni anni fa come Ettore Zilli, operaio della Pirelli e deportato nei campi
di sterminio nazista di Rakenau e Dachau, e compagno di lotta del nostro
Comitato e del Centro di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli” ed Enzo Galasi,
partigiano in città, che fino all’ultimo istante della loro vita hanno
combattuto per un mondo migliore.
La
Resistenza continua contro lo sfruttamento capitalista.
Invitiamo
gli associati, amici e compagni a partecipare dietro il nostro striscione.
Centro
di Iniziativa Proletaria “G. Tagarelli
Comitato
per la Difesa della Salute
nei
Luoghi di Lavoro e nel Territorio
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