MEMORIA
di Giuseppe
O. Pozzi
Non
solo per la memoria ma per interrogarci sul mistero della vita.
Trovo importante celebrare il Giorno
della Memoria ma per ragioni differenti da quelli storici
consueti. Da clinico, so che la memoria è uno strumento delicato dal momento
che serve anche per dimenticare, non per cancellare. La questione è tutta nel
come si dimentica sapendo che l’essere parlante non fa che rimuovere ciò
che non riesce a tollerare. La realtà rimane nella traccia mnestica
ma la verità che sta dentro questa realtà storica, funziona in modo
differente e riguarda il soggetto, uno per uno, con la sua volontà di non
volerne sapere nulla. La verità può essere detta solo a metà, ci ricorda
Jacques Lacan, mentre la realtà è descritta e narrata da qualcuno. È questa
narrazione che fa il bagno costantemente nella verità che il soggetto narra a
sé stesso, prima ancora di narrarlo o testimoniarlo ai suoi simili. Certe
verità, tuttavia, viaggiano più facilmente, sulle ali dell’arte e della poesia
più che su quelli della narrazione storica. Per questo occorre investire nella
cultura e nella formazione di base di un popolo ma attraverso la responsabilità
con l’uno per uno dei soggetti. Non una formazione al sapere ma
una formazione al conoscere. C’è una bella differenza tra conoscere
e sapere. La conoscenza rimanda a Socrate ed al suo/nostro “Conosci te
stesso”. La domanda è sempre e solo quella: Chi sono io? e
ancor di più: Chi sono io per l’Altro? Il Das Ding che
abbiamo perso e che vogliamo ritrovare sta in quelle domande a cui nessun
essere parlante è mai veramente pronto a rispondere ma sono anche le uniche per
le quali vale la pena prepararsi. Il sempre negletto “Estote parati” è a
queste domande che si riferisce. Il sapere è diventato un prodotto
prêt-à-porter, un gadget della modernità per cui si sa tutto di tutti e di
tutto. Si tratta di un sapere che vale ormai sul piano dell’uno per uno ma nel
senso mortifero e dispersivo. Non esiste più la parola del maestro. La mia
parola vale quanto quella dello scienziato premio Nobel dove però, il valore
della parola ha perso il suo legame con ciò che significa. La parola per la
parola che, ormai, non conta più. Amara consolazione che, purtroppo, offre alla
parola/gadget il potere di illudere che si possa fare a meno di varcare la
porta della conoscenza. Porta che, per varcarla, occorre dimostrare a sé stessi
di non avere paura dell’angoscia che ne presidia il passaggio. Un passaggio che
spalanca il buco sull’Ade, come ben riconosce Dante. Senza Virgilio, però, a
nulla può il potere salvifico di Beatrice e, poi, è comunque attraverso di lei
che si arriva a riveder le stelle della conoscenza, le stelle
del chi sono io? e del chi sono io per l’Altro? Mi
è sempre apparsa palpitante e trasparente la frase misteriosa di un’anonima
signora morta nei Gulag sovietici che lascia una testimonianza vitale sul muro
che la seppelliva: Non puoi dire di avere amato fino in fondo, / se non
hai scritto fino in fondo (vedi C. Pieralli, La lirica nella ‘zona’:
poesia femminile nei Gulag staliniani e nelle carceri in https://fupress.com/archivio/pdf/2713_6338.pdf. E ancora, a pag. 233 dello stesso testo:
“Conservare i versi nella memoria era una necessità poiché era la via più
sicura per non incappare in ulteriori vessazioni. Non solo, ci si doveva
salvaguardare anche dalla possibilità che estranei vedessero o carpissero
parole. Una poesia di Platon Nabokov rende bene questa atmosfera, ribadisce la
necessità di non verbalizzare la propria verità che è definita sacra, di non
affidarla alla carta: Con l’anima erra solitario, / che gorgheggi e sbuffi
fino al limite, / ma un sorso di verità sacra / non affidarlo alla carta (Veselaja
2009:22-23). L’insegnamento è sempre orale ed ha valore perché sollecita alla
ricerca del non detto. Per questo ogni lettore, ogni ascoltatore sa di poter
imparare a partire da ciò che non sa. In analogia alla psicoanalisi,
l’analizzante riesce a leggere/ascoltare/incontrare sé stesso e cioè il proprio
inconscio a partire dal suo non sapere chi è. La burocrazia dei protocolli,
anche quelli che riguardano la scuola e la produzione del sapere non possono
nulla di fronte al mistero della vita dell’essere parlante. Occorre lasciare lo
spazio al lettore che vuole leggere ed ascoltare a partire da ciò che non sa,
dal mistero dell’esistenza umana che è il solo, paradossalmente, a poterlo
sostenere.