AMEN
di
Cataldo Russo
La morte
della regina Elisabetta II: le celebrazioni del nulla mescolato al niente.
In questi giorni straboccanti di titoloni
e retorica (Oltre quattro milioni di persone giunte a Londra da tutto il mondo
per le esequie a Sua Maestà, trenta ore di attesa e code per oltre otto
chilometri, e chi ne sa più ne dica!), apparenze e doveri protocollari per la
morte della regina Elisabetta II, mi sono risuonati spesso nella testa i versi
che il Manzoni volle dedicare nel 1821 a Napoleone, due mesi dopo la sua morte,
con la poesia Cinque Maggio, precisando che il suo genio poetico
non aveva scritto nulla sul grande condottiero quando era in vita, perché non aveva
voluto mescolarsi con i tanti adulatori e poeti cortigiani che sprecarono fiumi
di inchiostro per ingraziarselo, e che ora gli dedicava un’ode perché
sinceramente commosso per la morte di un uomo così geniale, così complesso ma
anche così contraddittorio che, come lui, dove aver abbracciato l’Illuminismo, si
era riconciliato con la fede.
Scorrendo
i versi a uno ad uno, l’unico paragone che sono riuscito a fare tra il genio di
Napoleone e la regina Elisabetta II sta solo il quel passato remoto “Ei Fu”.
Sì, “Ella fu”, e basta. Per il resto buio fitto. Non solo non sono riuscito a
stabilire alcun legame tra Napoleone e la Regina, ma nemmeno tra Sua Maestà e
le tante personalità che hanno dominato la scena politica mondiale del secolo
appena passato.
Se
penso a Gandhi, Nelson Mandela, Ho Chi Minh, Mao Zedong, Theodore Roosevelt, Winston
Churchill, J.F.G. Kennedy, Martin Luther king, Che Guevara e molti altri che
non sto qui ad elencare, mi vengono in mente sentimenti e ideali forti quali: determinazione, lotta, carcere, sofferenza per
la conquista dell’indipendenza e dell’unità
del proprio paese o dei diritti civili per le minoranze discriminate, oppure
grande impegno profuso per la ricerca di nuovi equilibri dopo la tragedia della
Seconda Guerra Mondiale che aveva seminato morte a iosa e lacerato le coscienza.
La deputato Lidia Thorpe (ironica)
giura a pugno chiuso di essere fedele
al colonialismo inglese...
Se,
al contrario, rifletto sulla Regina Elisabetta più che venirmi in mente
completi pastello dai colori più strani, cappellini, borsette, spille e
collane, macchine di lusso e carrozze, non mi viene nient’altro. Non capisco, quindi,
perché la maggior parte dei media, con in primo piano la televisione, abbiano
voluto celebrare il nulla trasmettendo a ripetizione migliaia di foto,
immagini, filmati, interviste e raccontando aneddoti di poco o nessun valore,
un circo mediatico, insomma, che ha portato
milioni di persone a Londra con sommo piacere per ristoratori e
venditori di gadget.
Uno
spettacolo, quello che ci è stato offerto, francamente tanto ridondante quanto
inutile, fatto principalmente di apparenze, medaglie e croci al valore, non si
sa quanto di circostanze o quanto meritate, pennacchi, lustrini, divise, abiti di cerimonia, paillette. Uno
spettacolo, dicevo, privo di spontaneità e di pathos vero, quello che
scaturisce dalle tragedie, contrariamente a quanto le centinaia di inviati
dell’etere e della carta stampata hanno preteso di raccontarci e documentarci.
Vedere
i membri della famiglia reale, il potere politico inglese, i simboli più significativi della G.B. e del
Commonwealth, le alte gerarchie della Chiesa d’Inghilterra e non solo, nonché
le centinaia di militari impegnati nel servizio di scorta al carro con il
feretro della regina, trainato da
cavalli bardati anche loro per le grandi occasioni e particolarmente addestrati
per reggere lo stress della cerimonia, era come vedere muovere i vestiti
ecclesiastici nel film di Fellini “Roma”: vestiti vuoti con dentro niente e nessuno, a simboleggiare che troppo spesso è
l’abito a fare il monaco e non viceversa.
I
componenti del corteo più si sforzavano per apparire compunti e tristi tanto
più mi sono sembrati goffi, innaturali, come se fossero stati calchi di
polistirolo in un tempio greco.
giura a pugno chiuso di essere fedele
al colonialismo inglese...