ELEZIONI 2022
di
Franco Astengo
Vincono
astensione e sondaggisti. Crolla l’Agenda Draghi, restano intatti i problemi
sistemici.
Elezioni
2022: Vincono astensione e sondaggisti. La vittoria dei sondaggisti è tale da
porre un interrogativo: costruita una tesi è parte dell'opinione pubblica che
vi si adegua e non chi esegue le rilevazioni seguendo l'andamento delle
opinioni? In realtà restano intatti i temi della fragilità del sistema politico
italiano in particolare sul versante della volatilità elettorale e della scarsa
credibilità dei governi (rapporto tra i due fattori: scarsa credibilità del
governo/ sale l'opposizione; finora dal 2008 in avanti non si è mai verificato
il contrario). Il tutto distorto dall'applicazione della formula elettorale che
rende possibile la costruzione di maggioranze di dimensioni ben diverse dal
reale responso delle urne. Il punto d'analisi vero risiede nella valutazione di
quanto ci sia di redifinizione a destra nel risultato delle elezioni 2022 e
quanto di ricerca del "nuovo" da parte di un elettorato ormai reso
"volatile" dalla vacuità delle presenze politiche. Da segnalare
ancora l'accentuarsi delle divisioni geografiche dell'orientamento elettorale
già ben evidenti in precedenti occasioni ma che adesso sta assumendo la dimensione
di una vera e propria spaccatura che non riguarda soltanto la
"tenuta" del M5S al Sud ma anche la crescita dell'Alleanza
Azione-Italia Viva al Nord, in particolare nelle parti più produttive del
Paese. M5S favorito nell'assegnazione dei collegi uninominali dalla forte
concentrazione del voto in determinate zone, tanto da potersi considerare quasi
"Partito del Sud" (circa il 40% dei voti complessivi raccolti tra
Calabria, Puglia, Basilicata, Campania e Molise). Andando per ordine con
riferimento al voto per la Camera dei Deputati sul territorio nazionale
(esclusa la Valle d'Aosta):
1) Al momento in cui scrivo
queste note mancano alla conclusione dello scrutinio 28 sezioni su tutto il
territorio nazionale, quindi all'incirca 17.000 voti.
2) Il primo dato da tenere
in conto è quello dell'astensione: elemento snobbato da molti commentatori che
hanno tirato fuori la vecchia litania del fisiologico allineamento con le
democrazie occidentali "mature". In realtà si è creata una vera e
propria voragine che peserà sull'intera capacità di tenuta del sistema. Nel
2018 ci furono 32. 841.705 voti validi, adesso siamo a 28.037.116 con un calo
di 4.804. 589 unità.
3) Il dato dell'astensione
si riflette naturalmente sul totale dei voti delle singole liste. Dal punto di
vista della maggioranza relativa Fratelli d'Italia ottiene 7.292.649 voti in
netto calo rispetto alla quota realizzata dal Movimento 5Stelle nel 2018 che
era di 10.732.066 (meno 3.439.417). In sostanza su di un corpo di 46.127.514
elettrici ed elettori il partito di maggioranza relativa rappresenta il 15,81%
(2018 : M5S 10.732.066 su 46.505.350 pari al 23,07 con un calo di 7,26 punti).
4) L'elemento di porre in
rilievo è quello della distorsione sul meccanismo di traduzione del voto in
seggi parlamentari dovuta all'applicazione della formula elettorale vigente
(legge n.165 del 3 novembre 2017) che non prevede, oltre a mantenere le liste
bloccate, la possibilità del voto disgiunto tra parte uninominale e parte
plurinominale della scheda. A questo punto entra in gioco la capacità
coalizione della forze politiche ed essendosi prodotta, in questo senso,
nell'occasione delle elezioni del 25 settembre una forte asimmetria tra la
tradizionale alleanza di centro-destra e la coalizione raccolta attorno al PD
si è verificato il caso che il centro-destra raccolto il 43,82% sul totale dei
voti validi (in realtà 12.285.587 su 46.127.514 pari al 26,6% dell'intero corpo
elettorale) abbia totalizzato l'83,44% dei collegi uninominali in palio per la
Camera dei Deputati (un effetto distorcente del 40%). In sostanza il centro
destra ha pagato i suoi collegi uninomimali 102.160 voti l'uno, mentre il
centro sinistra li ha pagati 610.101 voti e il M5S 422.143 (sfruttando la
maggiore concentrazione territoriale).
5) Non si può affermare
semplicisticamente che ci si trovi di fronte a uno "spostamento" a
destra che pure c'è stato, bensì sarebbe più corretto scrivere di
"ridefinizione" del profilo della destra. Complessivamente il centro-destra
ha raccolto il 25 settembre 12.285.587 voti una quota in lievissima ascesa
rispetto al 2018 quando i suffragi furono 12.152.345 (circa 130.000 in meno).
Deve essere ricordato come dal punto di vista della raccolta di consensi il
centro destra avesse toccato il proprio massimo storico nel 2008, quando
l'alleanza tra il Popolo della Libertà (che comprendeva già i neo-fascisti che
poi avrebbero dato vita a Fratelli d'Italia) e la Lega Nord ottenne 17.064.506
voti (quasi 5 milioni di voti in più rispetto al risultato attuale: in quel
momento il centro - destra rappresentava il 36,27% degli aventi diritto al
voto, oltre 10 punti in più rispetto ad oggi).
6) Naturalmente la
ridefinizione identitaria del centro-destra porta il segno della crescita di
Fratelli d'Italia saliti da 1.429.550 suffragi nel 2018 a 7.292.742 nel 2022.
Si tratta di un fenomeno da analizzare con attenzione nel quadro di una
crescente volatilità del voto in Italia, con un elettorato mobile costantemente
alla ricerca del "nuovo". Abbiamo già visto il fenomeno del 2008 quando
il Popolo delle Libertà conseguì la maggioranza relativa con 13.629.434 voti;
successivamente toccò al PD targato Matteo Renzi in occasione delle elezioni
Europee 2014 con 11.172.861, poi al Movimento 5 Stelle nelle politiche 2018 con
10.732.066 e ancora con le Europee 2019 alla Lega con 9.153.638 voti e adesso a
Fratelli d'Italia con i già menzionati 7.292.742 voti ottenuti il 25 settembre
2022: un cambio vorticoso di partito di maggioranza relativa dentro a un
costante calo di consensi.
7) Il successo di Fratelli
d'Italia è andato a scapito delle altre forze della coalizione di centro
destra. Tra il 2019 e il 2022 la Lega ha praticamente dimezzato i consensi
passando da 5.698.687 a 2.461.627 (perdendo voti anche nelle roccaforti
dell'antica Lega Nord) mentre Forza Italia è scesa da 4.596.956 a 2.275.948,
nello stesso tempo sono arretrati anche i cosiddetti "centristi" del
centro-destra: l'UDC nel 2018 aveva
ottenuto 427.152 voti mentre adesso la lista dei Moderati (nonostante il
sostegno di personaggi come il presidente della Regione Liguria Toti e il
sindaco di Venezia Brugnaro) si è fermata a quota 255.270.
8) Particolare attenzione
merita il voto ottenuto dal M5S. Tutti conoscono il travagliato iter che il
Movimento ha percorso nella XVIII legislatura: scissioni e microscissioni
mentre rimaneva costante la presenza al Governo con 3 diverse formule: alleanza
con la Lega, alleanza con il PD, governo tecnico sostenuto da "larghe
intese". Nel frattempo i sondaggi davano il M5S in costante discesa,
addirittura al di sotto della soglia psicologica del 10%. Alla fine, dopo un
mutamento di direzione politica e una campagna elettorale fortemente orientata
soprattutto alla difesa della misura-simbolo del reddito di cittadinanza, sono
arrivati 4.325.977 voti pari al 15, 42% sul totale dei voti validi (pari al
9.29% del totale degli aventi diritto). Occorre molta chiarezza su questi dati,
accolti con una sorta di velato e ingiustificato trionfalismo. Nel 5 anni
trascorsi al governo dopo aver conseguito la maggioranza relativa il M5S ha
lasciato sul campo 6.406.089 voti nella massima parte finiti nell'astensione
(che nessun partito è mai stato in gradi di frenare considerato che la
percentuale dei partecipanti al voto è in costante calo da decenni). D'altro
canto i transfughi del Movimento, in particolare l'ormai ex-ministro degli
Esteri Di Maio, hanno tentato nuove avventure politiche risultando del tutto
irrilevanti. Naturalmente il calo del M5S ha aperto, nella quota uninominale,
un vera e propria autostrada per il successo del centro-destra ma questo è un
elemento che chiama in causa la capacità coalizionale del PD, il suo asse
strategico di riferimento e - ovviamente - gli elementi distorsivi
anti-democratici presenti nella vigente formula elettorale che evidenzia
aspetti di sicura incostituzionalità. Rimane il dato di fondo degli oltre 6
milioni di voti perduti.
9) L'alleanza tra Azione e
Italia Viva ha inteso collocarsi al centro dello schieramento politico con il
deliberato proposito di svolgere una funzione interditrice al riguardo dei due
schieramenti ritenuti principali (sottovalutando tra l'altro il possibile esito
del voto al M5S). Alla fine sono arrivati 2.183.170 voti pari al 7,78% del
totale di voti validi: varranno un pugno
di deputati considerata la non competitività della lista nella parte
uninominale. In realtà la raccolta di voti del duo Calenda - Renzi
(assolutamente sovraesposto mediaticamente) è risultato di molto inferiore alle
attese dei due imprenditori politici di riferimento: rimasti alla fine le vittime
più illustri dell'impopolarità dell'agenda Draghi(nonostante l'apparente
consenso di cui sembrava godere il suo apparente estensore). Un analogo
tentativo fu svolto nel 2013 dall'uscente presidente del Consiglio Mario Monti
che (a differenza di Draghi) si espose in prima persona. Il risultato fu
considerato deludente ma sicuramente migliore di quello ottenuto dall'alleanza
centrista in questa occasione (da accompagnare tra l'altro con il fallimento
dell'ipotesi centrista portata avanti sul versante del centro destra). Prima di
tutto Monti, nel 2013, riuscì a comporre una coalizione che ottenne 3.591.451
voti, oltre un milione e mezzo di voti in più rispetto all'operazione di oggi,
e anche la sua lista con 2.823.841 voti (le altre componenti dell'alleanza
erano rappresentate dll'UDC e dall'effimera FLI di Gianfranco Fini) raggiunse
una quota superiore a quella del duo Renzi- Calenda di oggi.
10) Sul voto al PD pesa come
un macigno il duplice errore strategico compiuto dal suo gruppo dirigente:
prima di tutto la mancata riforma della formula elettorale da tradursi in senso
pienamente proporzionale; in secondo luogo, l'evidente incapacità di costruire un
fronte capace di fronteggiare adeguatamente il centro-destra nei collegi
uninominali. Da segnalare anche la disperata oscillazione nella campagna
elettorale partita all'insegna dell'agenda Draghi e terminata con velleità
simil-populiste di ritardato laburismo. Ciò nonostante, il voto al PD preso per
sé stesso non è pessimo: nel 2018 (fatto salvo che in quell'occasione la
perdita rispetto al 2013 era stata di circa 2.000.000 di voti) il PD aveva
ottenuto 6.161.896 voti scesi in questa occasione a 5.346.826 voti (con una
finta crescita percentuale dovuta alla diminuzione nei voti validi): 815.070
voti in meno. Si segnala però l'assoluta assenza di consenso raccolto da
alleati inseriti in lista (fra i quali 2 ex-ministri della Sanità). Il problema
principale per il PD sarà quello della segreteria e quello della crisi di
astinenza da governo in un partito fondato su correnti e sulla logica del
potere in centro e in periferia.
11) A sinistra va segnalato
il passaggio di soglia della lista Alleanza Sinistra- Verdi che, praticamente,
con un 1.017.652 voti raccoglie l'intero bottino di Leu nel 2018 che ammontava
a 1.114.799 voti. Si tratta di un dato che, oltre alla presenza parlamentare,
sarà da verificare se potrà essere considerato punto di partenza per una
necessaria ricostruzione a sinistra dopo le tante battute d'arresto fatte
registrare almeno dalla vicenda della Lista Arcobaleno nel 2008 in avanti.
Fallito completamente il tentativo di Unione Popolare nonostante il tentativo
di personalizzazione attorno alla figura dell’ex-sindaco di Napoli De Magistris
e l'intervento d'appoggio da parte di protagonisti della politica europea. Unione
Popolare si è fermata a quota 402.187 appena sopra alla quota di 372.179 voti
che era stata ottenuta dalla lista di Potere al Popolo (comprendente egualmente
Rifondazione Comunista) nel 2018. Anche questi sono dati che dovrebbero fornire
occasione per un ragionamento diverso dal consueto: tanto più che si è ben
notata la differenza tra un'elezione per un incarico di tipo monocratico
rispetto a un'elezione di tipo direttamente politico. De Magistris, infatti, presentandosi
alle regionali calabresi con una candidatura a Presidente aveva avuto
all'incirca il 16%: la lista di UP nella circolazione Calabria ha ottenuto il
25 settembre il 2,27%. Infine completamente fallito il tentativo di sfruttare
l'onda no-vax e no-Europa tentata dall'ex M5S Paragone bloccato a 533.190 voti
e con la lista VITA dall'altra ex-deputata pentastellata Cunial (201,370 voti,
0,8%). Lontana dal quorum anche la lista rossobruna comprendente il PC di cui è
segretario Marco Rizzo che ha avuto 347.713 voti pari all'1,24%.